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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Compiti, cose da fare, accordi…

Spesso in chiusura di incontri di formazione, per chi conduce si pone la questione di proporre o promuovere attività da realizzarsi individualmente o in gruppo, nell’intervallo che separa dall’incontro successivo.

L’espressione utilizzata per designare queste attività può essere: “che compiti ci diamo per la prossima volta?”; o anche: quali sono le cose da fare per la prossima volta?”; o ancora: “possiamo stabilire accordi di lavoro per preparare il prossimo incontro?”. Si tratta, come si vede, di tre espressioni che dicono quasi la stessa cosa. Ma che non sono esattamente equivalenti.

Nel primo caso – in genere – il termine compiti fa venire in mente ai partecipanti la scuola. Qualcuno in genere suggerisce che i compiti sono gravosi, che non c’è tempo, che ci sono tante cose da fare. Le persone più o meno esplicitamente storcono il naso. Il termine compiti ha però il vantaggio di chiarire che si tratta di attività da realizzarsi e da portare per l’incontro di lavoro successivo, attività – è sempre opportuno chiarirlo – alimentano il lavoro comune in plenaria.

Il secondo caso è certamente più colloquiale e meno determinato. Quali che siano le cose, sono da fare, devono essere fatte. L’accento non è sugli oggetti, sui contenuti, quanto sulla cogenza e sulla irrimandabilità dell’azione. Da un lato la vaghezza non depone a favore di un convergenza di intenti, dall’altro ha il vantaggio di attivare la costruzione di ipotesi, la formulazione di proposte, per arrivare a determinare su cosa impegnarsi.

Nel terzo caso, accordi di lavoro è un’espressione di registro forse leggermente ricercato. Se l’accento cade sul termine accordi, la premessa implicita è che è possibile chiedere attività suppletive al di fuori dei momenti di formazione, ma si tratta di accordi che presuppongono del lavoro (anche se correttamente si potrebbe intendere accordi che ci ricordano di essere in un momento di lavoro seppure impegnati in attività di formazione).

In ogni caso le tre espressioni rimandano a un’attività produttiva che esorbita lo spazio di formazione d’aula, a un lavoro che certo si immagina renda più proficuo il lavoro comune, ma che si configura come aggiuntivo. Si potrebbe allora usare l’espressione: “che materiali possiamo preparare per il prossimo incontro?”. Questa sollecitazione ha il vantaggio di consegnare al gruppo l’opportunità di preparare il (e quindi prepararsi al)  lavoro collettivo attraverso la predisposizione di materiali. Ora se un impegno viene richiesto, questo non ha un prevalente scopo produttivo, ciò che viene piuttosto sottolineato è la rilevanza e cura dell’attività in corso, e quindi la comune responsabilità per l’esito della formazione.

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This entry was posted on 10 April 2010 by in Psicosociologia.

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