Già in passato il film di Giorgio Diritti Il vento fa il suo giro (2005) mi ha fatto pensare alle connessioni (e alle connessioni di connessioni). Non è semplice accogliere (e rifiutare), stare in contatto e al tempo stesso mantenere distanze che ci consentano di intrecciare pian piano progetti comuni. Non è facile mantenere rapporti con gli altri, con aspetti, modi di fare o di pensare non immediatamente comprensibili, e neppure stare in contatto con le parti di noi che quasi non sospettiamo esistano o richiedono attenzione.
In una valle sperduta delle Alpi Cozie arriva con la sua famiglia un professore francese che ha cambiato vita, si è messo ad allevare capre e a fare formaggi. Cerca una casa e la possibilità di insediarsi…
Nella valle tutti sono attaccati ai loro progetti: promuovere la lingua occitana, rivitalizzare una valle che va spopolandosi, difendere i propri beni (terreni, prati, boschi, la montagna), la propria malga, il proprio allevamento in pianura e i ruoli famigliari, le tradizioni religiose, la distanza dal mondo pieno di cacofonie, la quiete della pensione lontano da Savona, il progetto di allevare capre a contatto con la natura…
Fra (grazie a?) queste connessioni autoreferenziali si aprono varchi per alleanze. Per il barista la possibilità di sviluppare la sua offerta. Per il sindaco e qualche altro amministratore locale la possibilità di dare concretezza ad un progetto politico di valorizzazione del territorio forse più vagheggiato che definito. Per un gruppo di paesani che si lascia tentare dal ritorno al passato, la possibilità di fare rivivere un rito antico, un momento di solidarietà comunitaria, avvertito come segno di rinascita. Per altri, la coalizione nasce dal poter identificare un nemico comune, un fuori posto, minaccioso e irriducibile: il professore-pastore francese. Tre distanze in una: alleva capre e non vacche, ha studiato, viene da via, è un foresto!
Per molti la connessione con il proprio progetto diventa una ragione di vita. Le vicinanze sono favorite dalla costruzione di nuovi distanziamenti. Forse per il protagonista(?) le vicinanze sono favorite dal trovare nuovamente le condizioni sfidanti per costruire un suo percorso di emancipazione dalla tecnica e dalla città.
Quasi nessuno sembra in gradi di abbandonare, anche per poco il proprio progetto, aprire varchi, intravedere possibili contatti con i progetti degli altri. Anche lo straniero-professore-pastore è troppo intento al suo progetto, a dare corpo alle ideologie che lo spingono e lo trascinano, per entrare in contatto con il mondo che incontra.
I piani individuali e quelli sociali si intersecano, e il sindaco – aiutato dal musicista – sembrano quasi consulenti: impegnati a tessere, a far comprendere, ad avvicinare, a convincere, a costruire occasioni (anche di dialogo chiarificatore). Sembrano anche troppo consulenti, al punto da non intravedere gli interessi che li spingono.
Gli attaccamenti sono polarizzati ed è proprio questa polarizzazione che sembra favorire la formazione di costellazioni di azioni. C’è un eccesso di connessioni? Di attaccamenti a se stessi, ai propri punti di vista non abbandonabili per ‘andare in visita’ da quelli di altri? Più che un progetto comune prende forma una comunanza di progetti.
Cosa rende insostenibile la possibilità di un cambiamento inatteso e spinge al punto di rottura, determinando il ritiro e il fallimento per (quasi) tutti?
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