Dal lavoro con cooperative e consorzi sociali si possono raccogliere segnali di fatica e di evoluzione.
Naturalmente accompagnando alcune organizzazioni nei processi di riorganizzazione, entrando in contatto con figure che hanno responsabilità gestionali o di aree operative si ha un osservatorio parziale, e al tempo stesso molto vicino ai fenomeni e alle trasformazioni in corso.
Diverse le questioni che accomunano cooperative e consorzi sociali, in parte percepite come difficoltà di contesto, in parte come nodi non facili da districare.
Se penso alle cooperative sociali, è chiaro che non è sensato tracciare categorizzazioni semplificanti. Certo non è una fase espansiva, in cui la fiducia e l’immagine della cooperazione attrae quasi naturalmente consensi e fiducia sociale (mi pare prevalga piuttosto diffidenza). Alcune cooperative sono proprio in loop, avvitate in giri non propriamente evolutivi. Altre impercettibilmente stanno cambiando, stanno cercando soluzioni e strade non già prefigurate: ad esempio forme di partecipazione dei soci con intensità variabile; più consapevolezza della dimensione imprenditoriale che non può essere rimossa; una certa attenzione alle condizioni di lavoro e alle relazioni interne, in parte valorizzando le competenze presenti nei gruppi di lavoro, in parte facendo i conti con i molteplici interessi in gioco e le diverse idee di impresa (forse con maggiore aderenza al piano della realtà e minori idealizzazioni frastornanti).
Cooperative e dirigenze meno assertive e certe dei loro progetti, sembrano impegnate a recuperare legami con i territori, con i movimenti innovativi, critici, ma anche con i circuiti economici: con atteggiamenti meno difensivi e più disponibilità ad incontrare altri punti di vista, alla ricerca forse di punti di contatto, non totalizzanti, ma almeno praticabili con qualche concreto vantaggio, con la possibilità di esprimere il proprio punto di vista (magari nelle associzioni di imprenditori locali).
E i consorzi sociali? Quali sono le prevalenti attività dei consorzi? Alcuni enfatizzano il ruolo di general contractor, chiedendo deleghe forti ed impegnandosi a garantire spazi di mercato. Altri assicurano servizi amministrativi, forme di connessione apparentemente più leggere, giocate con servizi personalizzati e meno costosi, servizi home made certo, dalla qualità accettabile, concreti. Alcuni consorzi collegano ai servizi l’offerta – ad accesso piuttosto indotto e vincolato – di servizi di consulenza per lo sviluppo, la qualità, la progettazione, l’accesso ai bandi. Altri invece privilegiano il ruolo di rappresentanza e di promozione culturale, ruolo immaginato per mantenere e regolare i rapporti con gli attori del territorio, per assicurare visibilità, lasciando però alle singole imprese molto spazio di movimento. Naturalmente gli orientamenti segnalati non sembrano esclusivi, ma piuttosto di vertici di attenzione, che possono essere compresenti o avere rilevanze molto diverse.
Alcuni consorzi, in particolare quelli che sommano servizi amministrativi e servizi culturali da un lato aggregano e compattano le forze, dall’altro costruiscono confini, forse anche per reggere l’urto della competizione sociale. Si tratta di organizzazioni che hanno abbandonato l’idea del consulente come soggetto esperto (individuo o organizzazione) che intervine in affiancamento e a cui esternalizzare pezzi di servizi. Tra le due possibilità – make or buy – si orientano verso la prima. Preferiscono realizzare in proprio, esplorando anche aree relativamente poco conosciute. In genere costituiscono task force nella forma di raccordi, interni composti da alcune (poche) persone che ricoprono ruoli di responsabilità o di coordinamento e che si propongono in qualità di consulenti interni, pronti ad intervenire in un micro-mercato di pertinenza esclusiva: la compagine consortile. Vi sono consorzi che strutturano una sorta di dipartimento di ricerca e sviluppo e consorzi che invece costituiscono ad hoc gruppi di lavoro, mobili e temporanei. In altri casi ancora può essere una delle cooperative che si specializza (o viene costituita con la specifica funzione) per offrire servizi al sistema di cui fa parte. In altri casi ancora questo ruolo di organizzazione di consulenza viene svolto dal sistema consortile, dalla struttura dirigente, affiancata da uno staff operativo, che interviene come struttura accessibile e competente, in grado di offrire molteplici servizi: dalla valutazione dell’opportunità di partecipare a gare, a proposte formative, alla promozione di seminari, alla cura della promozione, della comunicazione e del marketing. Struttura interna che può anche essere chiamata in causa in situazioni di innovazione, o per accompagnare processi di introduzione di strumenti (carte dei servizi, bilanci sociali, modelli di responsabilità sociale, certificazioni).
In qualche modo questi staff consulenziali e di ricerca si costituiscono anche come interfaccia dei consulenti esterni le cui prestazioni (ed i conseguenti costi) vengono contenuti. Ai consulenti si chiedono interventi complessi, di confronto, che non solo promuovano cambiamenti o accompagnino l’introduzione di strumentazione con forme di supervisione leggera, ma si chiede anche si supportare la task force interna, le persone che ne fanno parte, in processi di apprendimento, di modo che il consorzio non solo si doti di uno specifico dispositivo o introduca un nuovo processo, ma anche sviluppi competenze non giò presenti e consolidi quelle esistenti a vantaggio della compagine di imprese sociali che si raccordano nel sistema consortile.
Da organizzazioni che possono richiamare forme organizzative a legame debole, che spesso si raccontano come conflittuali e dispersive, si coglie qui invece un segnale di ricompattamento e un tentativo di serrare i ranghi, riconoscendo e valorizzando le risorse interne.
A questo punto si potrebbero svolgere anche considerazioni sulle organizzazioni di rappresentanza, sulle centrali cooperative, sul loro ruolo di indirizzo e di costruzione di opportunità di contesto…
Bianca, su Facebook, ha commentato questo post: …”ben inquadrati i ‘punti dolens’… mi consola sapere che non siamo i soli…”.
Questo pensiero mi dà lo spunto per una considerazione (che riprenderò in un successivo post al momento in elaborazione). Mi sembra di vedere che le organizzazioni (le dirigenze) quando attraversano momenti di difficoltà tendono a sviluppare pensieri di solitudine e comportamenti conseguenti.
In effetti non si è soli.
A volte basta segnalare il problema (nel modo giusto, da va sé, senza farsi del male) e si scopre che altri si trovano in condizioni simili, o che hanno affrontato frangenti analoghi e ne sono usciti (o stanno affondando).
La percezione di solitudine enfatizza i problemi ed è una componente che agisce da moltiplicatore nelle crisi.
Mah, così, a caldo…
Un saluto
Graziano
PS
Ciao Bianca!-)