Perché le formule di apertura e di chiusura delle mail (o delle lettere) sono così importanti?
Perché servono a calibare la relazione che si avvia o a definire il contatto che si chiude.
Se ci si pensa ‘Caro collega…’, ‘Gentile insegnante …’, ‘Salve a tutti…’, ‘Buongiorno o Buon giorno…’ sono espressioni comuni, ma non sempre è facile scegliere quale usare.
Sono spesso in difficoltà quando devo scrivere poche righe rivolte alle insegnanti per giustificare un’assenza o fare una richiesta. Non so mai bene come aprire e come chiudere. ‘Distinti saluti…’ oppure ‘Cordialmente…’? ‘A presto’ o invece ‘Grazie e a risentirci’?
Naturalmente le formule di apertura e di chiusura sono molte (e credo) in certi settori codificate. Mi sembra che in ambito commerciale ci siano alcune formule che vengono suggerite o prescritte. Ed anche nella comunicazione di impronta burocratica ci sono repertori e indicazioni.
In ogni caso sono interessato a fare una sorta di ricognizione. Se qualcuno dà un contributo attraverso i commenti mi impegno a sistemare le indicazioni e a rimetterle a disposizione di tutti/e. Sarebbe interessante non solo segnalare questa o quella formula, ma provare anche a dire perché la si sceglie, in quale occasione, alla ricerca di quale effetto… Per la verità è anche interessante raccogliere quali formule troviamo irritanti, fastidiose, inutili, fuori luogo e perché. (E se qualcuno/a mette in circolo anche indicazioni bibliografiche o sitografiche gliene saremo grati:-)
Ma il punto rimane… perché sono così importanti queste brevi espressioni che mettiamo all’inizio e alla fine delle mail? Secondo me funzionano come ‘connettori relazionali’. Dicono cioè a chi si parla (a chi si scrive) che tipo di contatto si intende tenere nel corso della conversazione o come si intende lasciarsi (e rimanere in contatto). Non è poca cosa avere dispositivi che orientano il nostro comportamento, lo precisano, lo chiariscono, ci consentono di sintonizzarci con l’altro al di là dello schermo. Si tratterebbe dunque di segnalatori: ci danno il via libera sul tono da tenere nei rapporti, e lasciandoci, stabiliscono (stabilizzano) il distacco.
Quando ci si parla di persona, questa funzione di regolazione è svolta dai movimenti del corpo, dai gesti, dagli sguardi, dalla mimica (dal sorriso o dal modo serio e compreso). Quando ci si scrive, si ricorre a formule. A volte inutilmente stereotipate, ma non per questo meno comunicative. Possono infatti segnalare poco interesse per la comunicazione (lo sappiamo tutti: non si può non comunicare), una certa superficialità, o semplicemente indicare che siamo spaesati e non sappiamo come comportarci a modo nello specifico frangente.
Aggiungo un aspetto che davvero mi interessa. Poiché le organizzazioni nelle quali lavoriamo, in modo sempre più consistente funzionano anche grazie a flussi ininterrotti di scambi di testi scritti, qualsiasi dispositivo che aiuta a collegare e a scollegare i contatti è essenziale per quello che dopo accadrà. Se non si curano i meccanismi di ‘attracco’ e le procedure che consentono di ‘salpare’, i bastimenti carichi di parole che arrivano e che partono rischiano di entrare male in porto e urtare il molo, o di partire senza avere chiuso i boccaporti e mollato gli ormeggi.
Ecco ho cercato di spiegare perché sono ‘attratto’ dalle formule di apertura e di chiusura di e-mail, sms, lettere, comunicazioni su diari scolastici e su diari delle consegne, appunti e post-it, biglietti di auguri, di saluto, di arrivederci e di addio, di benvenuto.
E adesso mi si pone il problema di salutare: come si chiude un post?
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