Non sembra vero.
Il corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni 2009-2010 è finito.
Quasi.
Mancano le autovalutazioni e le restituzioni (voti…), qualche incombenza burocratica, la registrazione, la consegna del registro. In effetti giovedì 17 giugno 2010, la mattina, ci sarà il primo appello. Seguirà dalle 11:30 alle 14:30 un laboratorio sulla scrittura dell’e-mail di autocandidatura. Insomma il corso è finito (ma non del tutto).
Cosa sia la fine di qualcosa è questione esplorabile. Da un punto di vista filosofico, ma non solo.
Me la cavo alludendo a Michel de Certeau, secondo il quale scrivere la storia (valutare, potremmo dire in una prospettiva psicosociologica), nominare e descrivere qualcosa che (si) è concluso, equivale a fare spazio alle nuove cose che verranno (cfr. La scrittura della Storia, Jaca Book, 2006 (ed or. 1975), pp. 101-120).
E’ proprio così. Ho già aperto nuovi file e nuove cartelle. Alcune consulenze – tenute in stand-by – premono. Ma devo trovare il modo per raccogliere e archiviare l’esperienza di questi mesi. Non può restare in giro, almeno non in modo così intenso e diffuso.
Ma qual è il modo di finire di un percorso formativo?
E’ la prima volta che ci penso (in modo non tecnico, ma riflessivo).
Posso provare a dire cosa sta accadendo a me, adesso.
E adesso che ci penso, mi viene in mente l’ultimo giorno della scuola materna (in fondo possiamo considerare anche la scuola materna un percorso formativo) di Giacomo, mio figlio grande, che a giorni compie 11 anni, ma che all’epoca stava per compiere i 6 anni. L’ultimo giorno è stato un giorno speciale. Tutti insieme in giardino. Le maestre chiamavano i bambini/e uno alla volta e consegnavano loro un diploma da appendere, con la foto del loro gruppo e la poesia di Rodari Una scuola grande come il mondo. I genitori si sono commossi. Poi c’è stata una grande festa.
Se davvero è come l’ultimo giorno di scuola , a costo di perdere l’equilibrio e di scivolare verso il sentimentalismo anni ’70, provo a dirla così, con le parole di Gianni Rodari:
Una scuola grande come il mondo
C’è una scuola grande come il mondo.
Ci insegnano maestri e professori,
avvocati, muratori,
televisori, giornali,
cartelli stradali,
il sole, i temporali, le stelle.
Ci sono lezioni facili
e lezioni difficili,
brutte, belle e così così…
Si impara a parlare, a giocare,
a dormire, a svegliarsi,
a voler bene e perfino
ad arrabbiarsi.
Ci sono esami tutti i momenti,
ma non ci sono ripetenti:
nessuno puo’ fermarsi a dieci anni,
a quindici, a venti,
e riposare un pochino.
Di imparare non si finisce mai,
e quel che non si sa
è sempre più importante
di quel che si sa già.
Questa scuola è il mondo intero
quanto è grosso:
apri gli occhi e anche tu sarai promosso!
Qualcuno, su Fb ha commentato che forse ero il più felice. Non lo so. Certo ero felice. E anche abbastanza stupito;-)
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allora mi raccomando un bel trenta a tutti:)….
ciao G.
ma tutte queste faccine giovani e allegre , dovranno sostenere l’esame???con te?
Ragazzi/ e in bocca al lupo…( si usa ancora questo termine?))……
Anna
sì sì…si usa!
CREPI! :p
Certo che sostengono gli esami, che non finiscono mai;-/
E li sostengono faccia a faccia con la mia faccina allegra;-))