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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Partire dagli obiettivi?

A margine di un incontro di lavoro, una collega mi ha fatto notare che per assicurarsi la riuscita di un momento di lavoro collegiale è necessario esplicitare gli obiettivi dell’incontro: “Solo se gli obiettivi sono chiari non ci si perde, non si perde tempo, non si perde il filo”.
Forse è vero. Forse no.

Tornando in macchina riflettevo sull’osservazione. La prima cosa che mi viene in mente è che ci sono tanti tipi di incontro, tante riunioni di lavoro (più di quel che non sarebbe portati ad immaginare). [E certamente ci sarà qualcuno che li ha classificati (indicazioni e sitobliografie welcome).]
Ci sono incontri nei quali l’aspetto più importante è ragionare, prendere contatto con i propri pensieri (e le proprie emozioni) e con i diversi punti di vista che le persone portano. Altri gruppi di lavoro in cui lo scopo principale è invece confrontarsi e provare ad immaginare una qualche proposta. Gruppi che hanno davanti una strada incerta, tutta da tracciare. Gruppi di lavoro che si trovano (volenti o nolenti) il cammino tracciato.
Messa così sembrerebbe proprio che sia possibile affermare che ci si incontra per obiettivi definiti (anche il dover decidere verso dove dirigersi è di per sé un valido obiettivo) e allora tanto vale esplicitarlo.
Mah, forse sì…

Però ci sono incontri in cui le persone si ritrovano per esplorare le possibilità di collaborazione, per identificare i problemi, per mettere maggiormente a fuoco le questioni da trattare e quelle da tenere da parte perchè non sembrano esserci le condizioni per affrontarle. Ci sono incontri dove si incontrano gruppi, servizi, rappresentanti di organizzazioni diverse, dove la diffidenza reciproca è piuttosto alta, la preoccupazione che la disponibilità possa venire estorta un sentimento presente e non sempre esplicitabile. Ci sono momenti di lavoro di gruppo in cui figure sottoordinate incontrano i capi per chiedere chiarimenti e indicazioni, per chiedere che le autorità si esprimano e prendano posizione. E non sempre si può essere diretti e frontali nel porre gli obiettivi: sia perchè dipendono da un accordo che ancora non c’è, sia perché la dissimmetria relazionale non lo consente.

Se dovessi dire, credo sia importante per chi convoca (o propone, o chiede, o sollecita) l’incontro avere un’idea abbastanza chiara (= aperta) sugli scopi (= sulle sue attese e se possibile sulle altrui disponibilità) , se possibile provare a far intravedere i possibili risultati che potrebbero scaturire dall’incontrarsi e dal ragionare insieme, magari anche immaginando un ordine del giorno (= un breve e non saturo elenco di punti da esaminare). Ma non sempre è efficace predeterminare gli obiettivi che si voglio raggiungere. Le persone possono sentirsi forzate, indotte… possono non starci (e disertare), irritarsi, sentirsi richiamate o rimporverate dalla sola convocazione. Credo sia importante provare a segnalare quando si fanno gli inviti cercare di chiarire quali sono le proposte di lavoro, quali gli argomenti, come si potrebbe lavorare. In particolare tanto più gli incontri sono interlocutori, tanto più si cerca il consenso, la disponibilità, l’apporto, tanto meno (mi sembra) sia opportuno predefinire (e in certo modo) chiudere le diverse vie d’uscita. Se ci si trova per discutere… Questo potrebbe essere l’obiettivo generale. Se ne uscirà più uniti? Dipende.
A me sembra che gli elementi che favoriscono la partecipazione agli incontri sono la dichiarazione del senso (prendibile o accettabile dalle persone invitate), l’esplicitazione del tempo richiesto, l’idea e l’esplicitazione se ci sarà una sorta di facilitazione o di regia che consentirà di lavorare in modo sufficientemente produttivo o se la conduzione è affidata a(qualcuno de)l gruppo stesso.

Poi nel corso dell’incontro mi sembra che sia importante ricapitolare gli apporti che man mano si siviluppano o i punti controversi che vanno prendendo forma e provare a segnalare i possibili accordi, sui quali chiedere l’assenso e la disponibilità.
L’idea che credo mi guidi non è tanto avere chiarissimi gli obiettivi intesi come esiti dell’incontro. Questo non si può sapere. Si può desiderare, prefigurare, esplicitare (a volte). Forse è utile avere in mente degli obiettivi intesi come attese o intenzioni, o come domande, o come proposte di lavoro (una sorta di senso ipotetico dell’incontro).

Insomma ci sono incontri facili e incontri difficili (e incontri così-così direbbe Rodari;-).
Ci sono conduzioni che sembrano facili, altre che sembrano difficili, facilitazioni che non sempre riescono, altre sembrerebbero essere di un qualche aiuto.
Chissà, da qualche parte ci sarà qualche manuale.
A me mi aiuta pensare che sono un po’ sempre ospite del gruppo di lavoro in cui vengo chiamato a fare un lavoro di facilitazione e di conduzione, e un po’ diplomatico (forse dalle esperienze dei diplomatici si può impare molto)…

Esperienze, critiche o spunti sono vivamente sollecitati:-)

One comment on “Partire dagli obiettivi?

  1. vittorio
    17 June 2010

    Nella foga con cui andavi seguendo i tuoi pensieri, le tue tante storie di incontri di gruppo che piombavano giù dal tuo cuore e dalla tua mente dritto dritto sulla punta della penna (invisibile, certo, perchè ticchetti sui tasti in realtà…), ho colto questo stare nella diversità della situazioni che si possono incontrare, uno stare in uno spazio un po’ incerto, un terreno leggermente scivoloso o traballante, un ostare che io trovo molto raramente nei gruppi di lavoro. Te hai fatto una descrizione di cose che in realtà conosco bene, che ho percorso vivendo e lavorando. Ma averne consapevolezza dovrebbe portare ad accettare maggiormente quell’incertezza che è connaturata al tempo che scorre, all’indeterminatezza di alcuni fenomeni, alla presenza inaspettata di variabili che, lavorando nell’umano, non si possono controllare completamente. Il mio rammarico è perchè tutti noi, quando eravamo piccoli umani, abbiamo imparato la stabilità proprio mettendo in gioco il nostro corpo nei più diversi e possibili squilibrii, cercando ogni volta il limite del baricentro o del precipitare, molto spesso accompagnando il tutto con risate e diffuso piacere sensomotorio. Ma poi, con triste solennità, dimentichiamo tutto e stiamo a roderci il vivere per cercare di mantenere tutto saldo, tutto bloccato, tutto cementificato.
    Un bel pensiero il tuo, comunque, Graziano!

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