Pubblico la relazione che ho presentato nell’ambito del seminario Promuovere l’integrazione lavorativa. Il seminario è stato organizzato da Codebri Azienda Consortile Desio Brianza, in occasione dei 20 anni di costituzione del SIL e si è tenuto il 23 settembre 2010 a Cesano Maderno (MB).
Quali sono alcuni possibili fattori di successo di servizi per l’integrazione socio-lavorativa? Riformulando la domanda: quali sono le nuove questioni e le nuove domande che si trovano ad affrontare – e a cui devono dare risposta – i servizi per l’integrazione socio-lavorativa se vogliono (continuare ad) essere efficaci?
Provo a presentare alcuni punti di attenzione che considerano altrettante questioni o domande che mi sembra si presentino oggi alle organizzazioni impegnate nel progettare, attivare, accompagnare, seguire e sostenere processi di inserimento al lavoro e di inclusione socio-lavorativa.
Punti che, va da sé non sono sequenziali, semmai si richiamano tra loro e si co-implicano.
L’espressione ‘fattori di successo’ merita una rapida considerazione. Certo molti saranno gli ingredienti, gli elementi in gioco, gli aspetti che sono in grado di influenzare o di co-determinare il successo. Già, il successo… Cos’è il successo e perché si è scelto questo termine? Proprio nel titolo troviamo un indizio, un segnale della attuale delicata fase che attraversano i servizi per l’integrazione socio-lavorativa (e forse in generale i servizi per il welfare). Servizi che corrono il rischio di non avere (più) successo, di essere poco apprezzati, di non essere valorizzati. Ecco forse perché ci si interroga sui fattori di successo. Se definissimo il successo come la capacità di raggiungere risultati utili e riconosciuti, la questione si farebbe forse più esplicita, ma non meno complessa. Il successo – l’efficacia riconosciuta – è oggi per i servizi un aspetto che li mette in difficoltà. Non solo si trovano a dovere lavorare per rispondere in modo adeguato alla complicate domande che vengono loro rivolte, ma operano in un’atmosfera sociale carica di tensioni e di sfiducia.
Perché i servizi per l’integrazione socio-lavorativa sono importanti? Forse prima di una risposta che metta in luce la loro attuale utilità funzionale è necessaria una considerazione sulla ‘materia’ trattata dalla loro azione. Il lavoro appunto.
Siamo in presenza di servizi che lavorano perché concretamente l’accesso al lavoro sia un diritto per tutti, servizi che operano per costruire una società inclusiva, che promuova eguaglianza nelle opportunità.
Proprio quando il lavoro sembra essere un bene scarso per tutti, scattano rincorse forse comprensibili, si manifestano esclusioni subdolamente legittimate: “C’è già poco lavoro, perché dobbiamo spendere soldi per persone in difficoltà?” Il tentativo di affrontare i problemi (che ci sono!) in chiave collettiva, provando a ricercare modalità per affrontarli (la costruzione di politiche sociali) sembra perdere di significato.
Un modo per attribuire senso al lavoro dei servizi è non schiacciarsi sul tecnicismo operativo, ma assumersi una parte di elaborazione culturale a proposito del tema lavoro. Un impegno che significa non legarsi a prospettive ideologiche forse superate e difensive, quanto piuttosto assumere che un pezzo dell’attività operativa è pensare, riflettere, ragionare, contribuire al dibattito.
Non credo sia semplice riaffermare il senso del lavoro per l’accesso nella nostra società, senza correre il rischio di trasformare l’importanza del lavoro in una celebrazione retorica. Il lavoro non è solo lo spazio dell’integrazione è anche spazio di fatiche e manipolazioni, di relazioni svalutanti… Ad esempio come parliamo oggi di qualità della vita al lavoro? Come teniamo insieme lavoro e responsabilità sociale?
Un secondo aspetto che possiamo includere nei fattori di successo riguarda l’attenzione nei riguardi dei riferimenti di pensiero e le rappresentazioni che utilizziamo sul campo: possiamo esaminare le parole che usiamo per pensare.
Integrazione, cioè? Quali sono le parole adeguate per dire il lavoro che viene fatto dai servizi di cui stiamo ragionando? Quali sono le parole per pensare, dire, promuovere il lavoro dei servizi per l’integrazione socio-lavorativa? Quali sono le rappresentazioni in circolo, e quali le idee che vorremmo venissero accolte?
Considerando che anche le parole sono un bene pubblico, che i nomi sono un modo (apparentemente semplice) per condividere il senso del proprio lavoro, il nome dei servizi costituisce un’etichetta che posizione, distingue, identifica e determina uno status operativo. Il nome che descrive i servizi serve anche ad esprimere la specifica cultura che quel servizio intende perseguire e che mira a costruire. Integrazione, inserimento, transizione, accompagnamento socio-lavorativo…
In passato si è fortemente insistito sulla parola integrazione. Poi è stato il momento del termine inclusione. Integrazione è un costrutto che ci aiuta a lavorare, non una finalità astratta. Un costrutto che va qualificato e reso comprensibile, che indica interventi di mediazione con altri servizi sociali, per formazione, per il collegamento fra parti dell’esistenza delle persone: lavoro, relazioni sociali, tempo libero, salute… Ci possono essere idee diverse di integrazione. In una certa accezione integrazione è rendere integro, compatto omogeneo. Se pensiamo alle zone di integrazione sono quegli ambienti dove coesistono (magari non sempre in armonia) esperienze, culture, lingue diverse. Le zone di integrazione sono luoghi di confine, dove dalle coesistenze si sviluppano (o non si sviluppano) soluzioni impreviste, conoscenze inattese, competenze.
Prendendo spunto da Weick e Sutcliffe (2010) potremmo proporre tre idee di integrazione. Una basata sull’assunto che integrare comporta costruire condivisioni forti, compatte, ordinate e armoniose. Una seconda che ammette differenziazioni e ritiene che integrare significhi lavorare per coesistenze parziali, da riconsiderare, rinnovare, mettere a punto. Una terza visione considera l’integrazione qualcosa di fragile, frutto di conflitti più o meno gestiti, di soluzioni non sempre bene definite, al più accettabili: l’integrazione è contenimento di frammentazioni. Ora gli autori suggeriscono di non prendere posizione per una delle tre rappresentazioni, ma piuttosto di provare a tenerle insieme nelle loro differenze e con consapevolezza. Questo suggerimento mi sembra indichi una via, impossibile e al tempo stesso percorribile (già percorsa da molti servizi per l’integrazione socio-lavorativa).
La parola integrazione ha poi un duplice versante.
> Si lavora per l’integrazione delle persone, si lavora perché le persone si possano inserire al lavoro, facciano buone esperienze, in situazioni accoglienti, diverse, autentiche.
> Si lavora affinché gli attori sociali e del mercato del lavoro, della formazione trovino forme di collaborazione produttiva.
Integrazione al lavoro per le persone, integrazione fra il lavoro degli attori sociali disponibili a lasciarsi coinvolgere o propositivi.
Servizi che lavorano ma non da soli. Non operatori soli, concentrati esclusivamente sui loro specifici compiti (accoglienza, selezione, valutazione partecipata delle competenze, monitoraggio, accompagnamento, ecc.). Servizi che non separano e isolano le loro doti, le loro propensioni, le loro capacità: non solo servizi socio-educativi ma servizi di consulenza e ricerca in grado di formulare proposte farsi riconoscere come interlocutori tecnici in grado di formulare alla politica e alle istituzioni (ai decisori pubblici e altre aree tecniche di intervento) domande, proposte, idee. Servizi che sanno farsi riconoscere e far riconoscere i problemi. Servizi che lavorano con altri Servizi.
Servizi propositivi. I decisori pubblici, gli amministratori pubblici, la politica – per essere espliciti – ha il compito di governare. Governare è decidere di assegnare risorse a progetti e anche decidere di seguirli, sostenerli, riconoscerli. Un limite nel decidere e nel promuovere è la mancanza di confronto nel merito dei problemi e sulla natura dei rischi. Se le strutture che hanno il compito di intervenire fanno mancare segnalazioni, dati, letture, valutazioni come si possono costruire conoscenze per interpretare i fenomeni, per stabilire linee di azione, per fissare obiettivi? Senza l’apporto dei servizi, dell’esperienza operativa, senza la riflessione sul lavoro e sul metodo, come si contribuisce a costruire proposte per affrontare la complessità di ciò che accade nella società? Se i servizi, i gruppi e le figure professionali che vi lavorano si ritraggono, se fanno mancare le informazioni, le intuizioni, i saperi che si formano sul campo, come è possibile sviluppare politiche per l’integrazione e l’inclusione. Uno dei punti più delicati che incontro nelle consulenze di sviluppo organizzativo dei servizi è aprire e mantenere un dialogo, rispettoso delle posizioni ma produttivo, fra le dimensioni tecnico-operative e le dimensioni politiche. Questo dialogo non può essere solo chiesto agli amministratori. La disponibilità ad entrare nel merito deve essere offerta e sollecitata. L’isolamento tende ad alimentare incomprensioni e immobilismi, polarizzazioni e fragilità nei progetti, disinvestimenti e dispersioni di energie.
Credo che i Servizi per l’integrazione debbano sostanzialmente fare quello che sanno fare e fanno già bene: collegare e connettere. Su più piani. Non solo un lavoro in collaborazione con le persone (gli utenti) e con altri servizi e le imprese per promuovere occasioni e percorsi di inserimento, ma anche un lavoro di traduzione, di connessione, di mediazione fra servizi, istituzioni, organizzazioni per promuovere condizioni di accoglienza, tenuta nei budget, accreditamento sociale.
Come possiamo intervenire? Come possiamo far fronte all’esclusione socio-lavorativa? Come mettersi in grado di fare proposte che trovino ascolto? Operatori e servizi che promuovono una cultura del lavoro come diritto, spazio di inclusione e di cittadinanza e intervengono sul piano educativo individuale. Ma questo essenziale lavoro educativo non può essere considerata l’unica o la principale attività – pena correre il rischio di non essere efficaci e di non avere forza per affermare le proprie proposte, correre il rischio di essere spazzati via. Il lavoro educativo si intreccia con il lavoro di consulenza, di orientamento, di ricerca, di costruzione di collaborazione. I Servizi per l’integrazione al lavoro in questa provincia, da tempo mi sembra ricerchino una prospettiva attiva, di sperimentazione, di interlocuzione senza pregiudizi(ali). Servizi che si presentano come sintesi aggiornate di riflessioni e di risposte a domande che si formano nella società. Servizi che provano a leggere i cambiamenti e a confrontarsi a partire dalle prospettive di valore e di intervento, per costruire proposte di sperimentazioni e di innovazioni per far fronte ai cambiamenti.
Operatori e servizi di mediazione fra le parti in gioco, che promuovono, per quanto possibile, soluzioni win-win. Operatori e servizi di ricerca e consulenza per i diversi attori coinvolti. Non si tratta di cercare l’innovazione fine a se stessa o perché è la parola in questo momento all’apice del successo. Si tratta di lavorare per rispondere a problemi, esigenze e domande percorrendo la strada dei cambiamenti pensiamo (e verifichiamo) possano portare utilità e ritorni per le persone, le famiglie, le organizzazioni produttive, i servizi e le istituzioni con le quali lavoriamo. Assumendo una prospettiva attiva, di ricerca, di interlocuzione, tenendo le antenne alzate, osservando le cose che cambiano, non lasciandosi sfuggire i segnali, anche deboli di nuove criticità
Seguire le trasformazioni che ci sono nella società mercato del lavoro, e nei servizi. Si tratta di pensarsi come operatori e servizi che fanno ricerca e innovazioni, a partire dalla loro esperienza, coinvolgendo e lasciandosi coinvolgere da altri soggetti per osare proporre soluzioni innovative, non ancora praticate, non già messe alla prova.
Ottalogo dell’educatore
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Proviamo ad esaminare criticamente questo decalogo in otto punti, certamente evocativo. Dalla sua pubblicazione sono passati dieci anni. A me pare affermi riferimenti che possiamo – credo – ritenere validi ancora. Penso però che, leggendolo insieme potremmo aggiornarlo. Un seminario di confronto come questo è uno spazio di critica e di approfondimento. Otto punti. Diverse le domande che ci possiamo porre leggendo questo breve testo. Se avessimo tempo, se fossimo in una situazione di formazione o di consulenza potremmo lavorarci. Quali osservazioni induce l’ottalogo? Chi parla? Quale prospettive assume chi fissa questi spunti di regola? Cosa manca? Come potremmo rinnovarlo e renderlo aderente alle nostre realtà?
Ad esempio:
– Dico servizi, penso operatore: “Ditemi quello che devo fare lo faccio”?
– Si può anche notare che il punto di vista è quello dell’operatore della mediazione (prevale la cura educativa). Un punto di vista che esiste, ma che non è l’unico.
– I servizi, i gruppi di lavoro sono lasciati sullo sfondo. E dove sono le istituzioni e gli altri soggetti della rete?
– Dove si avverte che all’operatore sono richiesti (con mix da definire, si intende) interventi di consulente-ricercatore-progettista?
– Cosa mantiene rilevanza e cosa potrebbe venire inserito? Cosa lasciare e cosa progettare di nuovo?
Punti di riferimento. Non sto parlando di un piano di lavoro dettagliato e ‘cronoprogrammato’, forse utile a un livello di programmazione intermedia e a condizione di essere consapevoli che il rischio è di introdurre vincoli più che opportunità. Spesso i piani meticolosi finiscono per essere strumenti che incasellano la molteplicità dinamica della realtà e alla fine vengono accantonati perché non riescono a considerare la varietà delle variazioni. Penso piuttosto all’utilità di disporre di alcune coordinate di riferimento, per orientarsi nella complessa operatività quotidiana, da utilizzare nei passaggi di ripensamento e riprogettazione. Coordinate esplicitate per poter essere messe alla prova attraverso periodiche verifiche e necessarie revisioni.
Riprendo, a proposito di punti di riferimento, alcune riflessioni elaborate nell’ambito di un percorso di formazione, promosso nell’autunno del 2007 dalla Provincia di Milano, dal titolo: Significati, Soggetti, Contesti e Pratiche dell’inserimento lavorativo. Laboratorio formativo sui processi di integrazione praticati dai servizi per l’inserimento lavorativo. Al percorso avevano partecipato operatori e operatrici di servizi per l’integrazione lavorativa. Anche in questo caso la proposta che vi rivolgo è di considerare le riflessioni emerse e di utilizzarle come spunti da discutere e approfondire piuttosto che certezze da sbandierare. Non vi è quindi alcun intento prescrittivo, ma piuttosto la proposta di tenere aperto il confronto e l’interesse a trovare finalità per orientare l’azione.
Si tratta, come si vede, di punti generali (a rischio di genericità). Li presento non per farne un nuovo decalogo, ma per farne oggetto di discussione, modificarli, se possibile per renderli più ricchi e articolati, per declinarli e renderli più comprensibili. Gli elementi segnalati riguardano la definizione dei mandati dei servizi per l’integrazione socio-lavorativa, mandati declinabili in un ventaglio di aree fra loro interconnesse, mandati che potrebbero essere ripresi nei servizi, rielaborati e precisati in relazione alle specifiche esperienze per poi essere considerati nelle sedi di costruzione di intrecci fra le politiche sociali, le politiche attive per il lavoro, le politiche per la scuola, le politiche per lo sviluppo delle città e dei territori.
Naturalmente questo è un lavoro che richiede una certa pazienza, uno spazio di lavoro nei servizi e – credo – una certa attenzione al confronto con i diversi attori che abbiamo citato. E forse questo potrebbe essere un lavoro da mettere in cantiere, non solo dentro i diversi SIL, ma a livello provinciale, con il supporto della Provincia, nell’ambito della rete dei SIL. Dalla capacità di sostenere un confronto nel merito delle questioni potrebbero derivare nuovi punti di attenzione e nuove convergenze.
“Ma esattamente, cos’è che fate?” Non tutti sanno o sono aggiornati sul lavoro che svolgono i servizi per l’integrazione socio-lavorativa. Si tratta di considerare che l’importanza dei servizi per l’integrazione non necessariamente è definita una volta per tutte e chiara a tutti.
A me sembra che oggi abbiamo successo e riescano a trovare spazio quei servizi che mettono in campo:
– una certa cura nell’indicare le questioni e le domande che vengono loro poste, il mutare delle difficoltà delle persone di cui si prendono cura, l’evoluzione dell’attenzione rispetto alla fragilità e alla vulnerabilità che hanno il compito di contrastare. Si tratta di contribuire a mantenere l’attenzione verso disagi e domande di aiuto che possono non venire più considerate come socialmente rilevanti, anche per effetto di una sorta di competizione dei problemi e di che se ne occupa per accedere all’attenzione sociale;
– una certa chiarezza rispetto a quello che si fa. Rendere comprensibile le attività che i servizi svolgono, i contenuti, le competenze, i contenuti professionali prima di tutto a sé stessi, agli stessi servizi. Come dicevamo équipe multi professionali, capaci di intervenire sul piano educativo, di fornire consulenza agli attori coinvolti, di lavorare sul terreno della mediazione per costruire percorsi di inserimento che siano al tempo stesso vantaggiosi o almeno sostenibili per le imprese, capaci di promuovere ricerche e comprensioni del mondo in cui operano per essere più efficaci e prefigurarne le evoluzioni. Servizi e gruppi di lavoro che si prendono cura del proprio funzionamento interno, della collaborazione fra colleghi, della definizione di modalità di lavoro adeguate.
– una certa cura nel comunicare i problemi ai quali si danno risposte e la qualità della propria operatività. Comunicare nel modo giusto, a chi è bene sia informato. Non basta avere chiari i riferimenti culturali, prendersi la briga di riconsiderarli, aggiornarli, metterli a punto. Non basta definire con sufficiente chiarezza le coordinate operative del proprio lavoro. Non basta acquisire competenze e sviluppare strumenti e modalità operative rispondenti alle esigenze di utenti e delle reti di servizi e attori, se poi non si ha cura di comunicare, nel rendere visibile, nel promuovere, nello spiegare e nel valorizzare.
Riconsiderare la propria esperienza ricercando gli elementi di valore e le criticità. Un’attività di vaglio e di riflessione che può essere sviluppata all’interno dei servizi e dei gruppi di lavoro, con gli interlocutori prossimi con i quali si sviluppa l’operatività, e anche pubblicamente con gli interlocutori strategici: i servizi e le aziende partner, gli interlocutori istituzionali.
Pubblicamente, in modo aperto.
Come stiamo facendo oggi.
Grazie.
Beck U., Potere e contropotere nell’età globale, Laterza, Bari-Roma, 2010.
Bortolotti A., “Ottalogo dell’operatore degli inserimenti lavorativi”, in Enti locali e imprese sociali: risorse e reti per l’integrazione lavorativa, Fuori Orario 24, Consorzio Sociale CS&L, Cavenago di Brianza (Milano), 2000.
Turner B,A., Pidgeon N. E., Disastri, Edizioni di Comunità, Torino, 2001 (ed. or. 1997).
Weick K. E., Sutcliffe K. M., Governare l’inatteso. Organizzazioni capaci di affrontare le crisi con successo. Cortina, Milano, 2010 (ed. or. 2007).
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