Torno sul tema dei compiti a casa
Venerdì, al termine di una giornata di studio sul tema “Sofferenze e illusioni nelle organizzazioni: decostruire per ricostruire”, sono andato in libreria alla ricerca dei testi segnalati nelle relazioni.
E dalla libreria sono uscito con Matematica per mamme e papà. Contro lo stress dei compiti a casa, scritto a due mani da Rob Eastaway e Mike Askew, rispettivamente divulgatore scientifico e docente di didattica della matematica, pubblicato in Gran Bretagna nel 2010 e subito tradotto in Italia da Salani.
Il libro si apre considerando che i genitori possono sentirsi inadeguati alla richiesta di aiuto per svolgere i compiti a casa di matematica. E alle difficoltà di genitori e figli, il libro prova dare risposte concrete.
Quali ipotesi sorreggono l’intera costruzione del libro?
I compiti a casa non sono un fatto esclusivo dei nostri figli. La scuola non è un fatto esclusivo di insegnanti e studenti. In qualche modo i genitori c’entrano. In che modo? I genitori sono in gioco. A loro sarebbe richiesto di entrare in campo al momento giusto: senza delegare e né sostituire. C’è per i genitori uno spazio tutto da cogliere, da non sottovalutare.
In ogni caso fornire un’istruzione strutturata è compito della scuola, non vostro. Il vostro ruolo è di alimentare e sostenere le conoscenze matematiche dei vostri figli fuori dalla scuola, portarle nella vita reale, e cosa più importante, contribuire a trasformarle in un’avventura entusiasmante [p. 48].
Matematica per mamme e papà si assume il compito di collegare la fatica degli studenti con quella dei genitori. Ad esempio non lasciando sguarniti i genitori di indicazioni e di strumenti per poter dare una mano con minor fatica e maggiore padronanza.
Un’altra ipotesi è che la matematica non è una disciplina e una competenza accessoria, ma fondamentale.
Una terza ipotesi, forse la meno evidente, può essere detta così: i fruitori del ‘servizio-scuola’ non sono solo i nostri figli, ma anche noi. Naturalmente il libro sottende quest’idea a modo suo. Non insiste sul ruolo della scuola nell’educare e nel fornire competenze agli studenti. La prende dal lato fattuale. Da punto di vista di come si presentano le cose. Semplicemente la scuola aggancia (più o meno) figli e genitori. A scuola, in modi differenziati, ci va l’intera famiglia, e il farcela dipende certo dalla voglia dello studente, ma non solo. Dipende anche dall’atteggiamento – prima ancora che dall’aiuto – della famiglia.
La formula Se ‘S’ coimplica ‘F’ è presto spiegata…
Se la scuola coimplica la famiglia (coimplica non solo in senso logico, teorico, educativo, ma semplicemente pratico) allora questa relazione può essere indagata, pensata, anche un po’ progettata – decisa insieme – dai genitori e dagli insegnanti (e anche dagli studenti).
O almeno su questo mi sembra di avere bisogno di ragionare e di confrontarmi.
PS
In fondo, ripensandoci adesso che provo a scrivere questo post, le sofferenze (le fatiche?) e le illusioni (i desideri un po’ scollegati dalla realtà?) colgono anche i genitori. E forse è necessario decostruire qualche precomprensione per collegarsi con quello che ci accade. Resta inteso che l’attività di ripensamento delle proprie sicurezze può essere un travaglio tutto individuale o anche un’attività condivisa.
Insomma mi piacerebbe parlarne con altri/e.
PPS
Sulla differenza fra l’uso del termine ‘famiglia’ rispetto a ‘genitori’… per ora non dico nulla. Forse chi tratta di mediazione famigliare può dire la sua;-)
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