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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Valentina Antonucci, ospite della settimana 06/2011

Valentina Antonucci

L’uomo è per natura un animale sociale. […] perciò l’uomo è un animale sociale più di ogni ape o di ogni animale selvaggio, com’è chiaro. La natura, come ho detto non fa nulla inutilmente; l’uomo ha solo la ragione in più degli animali, dunque la voce è indice di dolore o di piacere, per questo anche gli altri animali la possiedono (fino a tal punto la loro natura giunse, all’avere la percezione del dolore e del piacere e al comunicare queste cose agli altri) la ragione al contrario è per mostrare l’utile e il danno, così anche il giusto e sbagliato; infatti ciò è proprio agli uomini differentemente dagli altri animali, l’avere solo la percezione del bene e del male, del giusto e sbagliato e di altre cose.
(Aristotele, Politica)

Nell’opera la Politica, Aristotele afferma la totale socialità dell’essere umano e che questa caratteristica, ovvero il fatto di vivere insieme, non sia solo dettata da esigenze materiali: anche se l’uomo avesse tutto ciò di cui ha bisogno e fosse autonomo tenderebbe lo stesso a vivere insieme ad altri. Vi è una spontanea voglia di stare insieme. L’uomo tende quindi ad aggregarsi in modo naturale. Detto questo, perché è così difficile stare in mezzo agli altri? Forse perché dopo Aristotele è venuto Einstein con il relativismo? Aristotele dice che ciò che ci distingue dagli animali è il fatto di essere dotati di ragione e che essa ci permette di distinguere il giusto dallo sbagliato, l’utile dal danno, il bene dal male e altre cose. Se la ragione appartiene a ogni individuo e rappresenta il collante che ci tiene uniti agli altri, come mai è così difficile comunicare? Come mai spesso il mio giusto e il mio sbagliato non coincidono con il giusto e lo sbagliato delle persone con cui sto comunicando? Perché spesso l’utile di una persona corrisponde al danno di un’altra?

Indubbiamente è difficile pensare a un individuo totalmente avulso da qualsiasi legame sociale, non esposto a nessun input dalla realtà circostante e in questo concordo assolutamente con Aristotele nell’affermare che l’uomo sia un animale sociale, ma esserlo ci costringe a uno sforzo e un impegno continuo notevole. I legami sociali ci appartengono  a ogni livello: in famiglia, tra gli amici, al lavoro. Quante volte capita che le nostre intenzioni vengano equivocate? A quanti è successo di pensare di compiere un gesto “importante” per l’altra persona e invariabilmente ciò che viene recepito è esattamente il contrario, quasi come il mio giusto si sovrapponesse totalmente allo sbagliato altrui? Non hanno forse le parole un solo significato? Perché possono partire dalla mia bocca con un valore e arrivare a destinazione con tutt’altro? Quale trasformazione subiscono nel tragitto? Come può un sorriso essere equivocato come espressione di qualcosa di diverso da una semplice manifestazione di serenità?

Ai posteri l’ardua sentenza…

Valentina Antonucci
Laureata in Psicologia delle Organizzazioni e dei Comportamenti di Consumo presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, da un anno e mezzo mi occupo di consulenza e formazione per le organizzazioni in merito alla sicurezza nei luoghi di lavoro.

3 comments on “Valentina Antonucci, ospite della settimana 06/2011

  1. mainograz
    6 February 2011

    Non per sintetizzare, semmai per rilanciare:

    – Fabrizio eccepisce sulla razionalità come cifra assoluta degli esseri umani (semmai è la confusione che descrive meglio lo stato interiore… degli umani).

    – Riccardo prende in considerazione la dimensione sociale: non così semplice, univoca o paritetica come Aristotele ce la racconta (in effetti il filosofo altro non era che l’esponente di una élite al governo), semmai gerarchica, dissimmetrica e conflittuale.

    Sono due buone argomentazioni. Insomma se sorridiamo a qualcuno il nostro sorriso può incontrare stati d’animo ricettivi o perturbati o alterare il fragile ordine del superiore o dell’inferiore…

    Due buone ragioni per smettere di sorridere?

  2. Riccardo Pompeo
    6 February 2011

    L’uomo non è un qualcosa di separato dalla natura. In esso convergono i mondi minerale, vegetale, animale che non sono altro che livelli di consapevolezza differenti.

    L’uomo è un animale sociale ma il suo livello di consapevolezza determina la sua capacità di porsi all’interno della gerarchia sociale, una gerarchia composta di piani di consapevolezza.

    La natura non riconosce bene e male ma solo equilibrio e disequilibrio. In questo senso anche l’uomo non compie bene e male ma solo azioni di disequilibrio o riequilibrio con l’ambiente.

    Esso trova equilibrio non rispetto a tutta la collettività, ma solo rispetto agli individui che si trovano al suo medesimo piano di consapevolezza. Solo in quel piano può esistere equilibrio tra pari. Il rapporto tra piani differenti è solo di dominazione oppure di subordinazione.

    So che ai cultori della democrazia questo discorso non andrà giù ma questa è la dura e cruda realtà, una realtà che riproduce nella socialità le medesime meccaniche naturali presenti negli altri esseri biologici. Con la differenza che tali meccaniche non sono più esplicitate con combattimenti e cruente uccisioni (anche se qualcosa di questo rimane nelle guerre) ma nelle opere intellettuali, nelle culture ed anche nella finanza d’assalto.

  3. Fabrizio
    6 February 2011

    Forse il conflitto, che poi è la legge del divenire, del cambiamento, è dovuto al fatto che l’uomo è imperfetto e in continua trasformazione.
    Così fraintende se stesso (in un gioco continuo di comprensioni, autoinganni, vittorie e sconfitte), e fraintende gli altri.

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