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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Per una carta dei comportamenti condivisi

Le organizzazioni sono (in) movimento, si trasformano. Nei servizi convivono stili diversi e nell’operatività si formano diverse sensibilità relazionali. Potrebbe non essere tempo perso concordare un documento per esplicitare i comportamenti ritenuti adeguati, opportuni, riconosciuti come validi.

Un documento condiviso, prodotto mediante un processo partecipato di confronto e riflessione, una sorta di canone per esplicitare i comuni riferimenti, un testo utile a orientare la relazione con i destinatari dei servizi e con i colleghi, con i committenti e più in generale con i diversi interlocutori che l’organizzazione incontra e con i quali e i servizi entrano in contatto. Una carta che impegni l’organizzazione, chi ci lavora, chi arriva da altre esperienze, chi con essa collabora temporaneamente in progetti o fornendo supporti o servizi, al rispetto di alcuni comportamenti fondamentali. Una carta che possa essere consegnata in sede di colloquio, per rendere noti gli elementi ai quali non si intende derogare, i valori nel loro declinarsi in pratiche. Una carta che metta le persone in condizione di considerare se vi siano sintonie preliminari per proseguire nel ricercare punti di contatto e forme di collaborazione.

Naturalmente la carta dei comportamenti è un artefatto
La si vorrebbe fatta ad arte per orientare, in grado di vincolare. Salvo scoprire che nelle prassi, fra quanto si enuncia e quanto si evince osservando e vivendo nell’organizzazione vi sono sconnessioni, imprecisioni, contraddizioni. E tuttavia un documento che fissi il senso del lavoro, che espliciti come le finalità debbano essere perseguite, come le relazioni curate e sviluppate non solo potrebbe avere una risonanza simbolica: la questione è stata posta e si sono formulate indicazioni valide per tutti, ma pure effetti pratici: sui nodi avvertiti come irrisolti e a volte controversi si è provato a ragionare, a far emergere pro e contro, a riflettere, ascoltare le esperienze, le vie d’uscita adottate, le incertezze e le fatiche che permangono.

Orientarsi
La carta dei comportamenti condivisi vorrebbe orientare lo stile di comportamento verso i colleghi e
verso le figure responsabili, verso gli utenti, i partner, i committenti, i fornitori (verso i diversi stakeholder insomma). Comportamenti che discendono da valori, che investono il senso di responsabilità verso l’organizzazione, chi ne fa parte, chi ne riceve i servizi e con essa collabora o interagisce. Valori che si presentano come sintesi di senso piuttosto che come enunciati assoluti, pensati come principi guida per tenere uno stile di lavoro e di relazione, indicazioni per districarsi nell’operatività quotidiana. E forse indicazioni è un termine che coglie solo l’aspetto pragmatico del documento. Nel redigere una carta dei comportamenti si può introdurre anche l’idea di formulare un patto che abbia funzioni di garanzia.

Diverse le soluzioni per costruire la carta
Si va dall’ipotesi di un documento che contenga mission e carta etica (e vi sono diversi esempi di questo tipo) fino alla soluzione, forse meno vibrante, di formulare un testo che specifichi indicazioni concrete di come è richiesto di far parte dell’organizzazione e di stare in relazione con i diversi interlocutori. E in alcune situazioni l’esigenza di integrare differenti strumenti non si presenta come prioritaria, ma sembra piuttosto essere rimandabile a momenti successivi. Quello che serve è forse qualcosa di più simile ad un ‘metaregolamento’ semplice e generale.
E se anche si decide di non richiamare in una sorta di ‘testo unico’ i diversi documenti organizzativi, per redigere la carta dei comportamenti può valere la pena far riferimento ai documenti di cui già l’organizzazione dispone: statuto, mission, bilancio sociale, carte dei servizi, documenti di indirizzo, piani di lavoro concordati con i committenti. Si tratta di un corredo di strumenti che incorporano valori e senso dell’agire, declinandoli in obiettivi, disposizioni, processi. E non mancheranno certo depositi di esperienze da cui ricavare domande utili all’elaborazione.

Recentemente il direttore di un consorzio sociale, con cui si ragionava degli adempimenti e dei documenti richiesti dal decreto legislativo 231/2001 sulla responsabilità dell’organizzazione – analizzando alcune soluzioni adottate dal altre organizzazioni – ha sostenuto di sentire l’esigenza di:

uno strumento meno ‘psicanalitico’ e più ‘comportamentista’, uno strumento che fissi e chiarisca le regole relazionali, collegandole a valori costitutivi per l’organizzazione. L’adesione alla norma comportamentale non dovrebbe derivare tanto da ‘scavo interiore’, quanto dal buon senso, dal piano di realtà; non da trasporto motivazionale individuale (dopo grandi idealizzazioni si manifestano grandi delusioni). Le indicazioni dovrebbero scaturire piuttosto dall’accordo organizzativo. In questo momento appare ci sarebbe più utile declinare le coordinate che il consorzio (e le cooperative che lo promuovono) ritengono fondative, anche per permettere di verificare il grado di sintonia e scostamento: ci servirebbe un documento chiaro, descrittivo e in certa misura prescrittivo (senza eccessi): uno strumento di lavoro, che parli all’operatore, ma anche al committente: ‘nel nostro consorzio le persone che lavorano, si impegnano a/per…’.

Proviamo a ricapitolare gli elementi che dovrebbero identificare una carta dei comportamenti condivisi:

  • un documento che risponde all’esigenza di esplicitare i capisaldi di comportamento (regole fondate su valori condivisi);
  • un documento che si colloca a livello dell’organizzazione (non si tratta di un documento dei servizi o delle professioni, non è una carta dei servizi, né un codice deontologico interno);
  • un documento attraverso il quale l’organizzazione si rivolge con chiarezza a chi lavora (è l’organizzazione che parla, si impegna e chiede di assumere impegni definiti);
  • un documento che mira a identificare e a circoscrivere questioni e segnali di criticità (si intrecciano consapevolezza e intenzioni preventive);
  • un documento formulato in modo da poter essere portato all’esterno (ai committenti, ai partner, ai fornitori, …);

La carta dei comportamenti potrebbe declinare comportamenti in relazione a utenti, famiglie, colleghi, responsabili, partner, committenti. Mirerebbe a promuovere senso di responsabilità verso l’organizzazione, le sue finalità, le sue attività; verso persone che vi lavorano e vi accedono. La forma dovrebbe essere concreta e piana (un testo non prolisso, non ironico, non evocativo, e neppure che indulga alla retorica).

Volendo prefigurare un tracciato di lavoro, si tratterebbe in primo luogo di precisare le l’esigenze, la ‘domanda’, e di procedere poi immaginando alcune tappe non scartabili:

  • definire il mandato dell’organo di governo;
  • costituire una commissione di lavoro rappresentativa secondo criteri esplicitati;
  • avvicinare, con modalità che facilitino il dialogo e l’espressione dei punti di vista e delle riflessioni, interlocutori interni ed esterni (incontri, interviste, un questionario?);
  • elaborare un documento che l’organo di governo dell’organizzazione possa validare e
  • portare all’attenzione dell’assemblea il testo perché approvi contenuti e indichi le forme di utilizzo.

Nel processo di elaborazione della carta dei comportamenti condivisi, se alcuni spunti per identificare aree di attenzione, come abbiamo accennato, potrebbero essere attinti dai documenti di indirizzo di cui l’organizzazione dispone dalla dichiarazione di missione, altre indicazioni potranno venire ricavate riconsiderando segnali di criticità, rischi e difficoltà affrontate, situazioni che si sono presentate come impreviste e problematiche.

Quanto?
Quante energie, quanto tempo, quante risorse sono necessarie per intraprendere la costruzione della carta? Dipende. Certo, al crescere dell’intensità del confronto ricercato cresce il lavoro necessario, maggiore è il coinvolgimento e l’interlocuzione, maggiore la ricerca e l’esame di come l’organizzazione si è strutturata e risponde all’ambiente, maggiori sarà il lavoro richiesto.

6 comments on “Per una carta dei comportamenti condivisi

  1. mainograz
    13 March 2011

    Ciao Riccardo, ciao Rossella,
    questi sono i commenti che mi danno gusto.
    Inaspettati, non mi lasciano in pace, mi distraggono da quello che avevo in mente di fare, tornano a farmi pensare.
    Grazie!

    Provo a dire qualcosa.

    Interessante lo sgomento.
    Potrebbe essere il sentimento che coglie molti alla proposta o alla vista di una carta dei comportamenti.
    Eppure, in assenza di accordi espliciti non è detto che sia facile collaborare.
    Ora, in alcune situazioni si avverte un sentire comune.
    Ma spesso alcuni riferimenti (non immutabili, ma richiamabili) vengono avvertiti come facilitanti la collaborazione.
    Le considerazioni di Riccardo ci riportano alle considerazioni di Platone sulla scrittura: le cose che contano non possono essere scritte, la scrittura è un’inutile (e forse dannoso) congelamento di qualcosa che, proprio perchè vitale e in continua trasformazione, non può essere imbrigliato.
    E’ vero che i nostri comportamenti sono intrecci di incertezze, configurazioni instabilissime, ma… anche noi in questo Paese, avvertiamo l’esigenza di una Costituzione.
    Forse questo potrebbe essere un riferimento, una metafora?
    E forse qualche punto fermo ci aiuta ancora di più a leggere quello che cambia, si evolve, si trasforma.
    Una carta dei comportamenti, più che prescriverli, prova ad indicare accordi e impegni…

    Torno più tardi su futuro e presente…;-)

    • Michela
      14 March 2011

      Graziano, ti appoggio al 100%: tu sai che io sono molto “quadrata”!
      “Una carta dei comportamenti, più che prescriverli, prova ad indicare accordi e impegni…” E, aggiungo io, a RICORDARE accordi e impegni UMANI prima che professionali.

      La collaborazione e la partecipazione sono doni preziosi da coltivare per sè e per gli altri, ma non tutti se ne rendono conto.
      Molti esseri umani sono privi di buon senso ed è per questo che nasce l’esigenza di creare una carta dei comportamenti che, nonostante possa sembrare cosa triste (anche dalla sottoscritta), si rileva spesso necessaria.

      • Maria Elisabetta
        18 April 2011

        Rispondo a Michela per dire che è proprio vero che molti esseri umani sono privi di buon senso e purtroppo necessitano di una “carta dei comportamenti” per ricordarsi di accordi e impegni umani. Ma comunque completamente inutile se tutto non è scritto in un cuore puro e sincero, quindi: non necessaria. E’ veramente triste, hai proprio ragione. Ancora più sconvolgente e osceno è però constatare quanti esseri umani siano convinti di avere il buon senso. Un convinto è un individuo fiero di essere ciò che è. Ciò porta alla fierezza per poi cadere nel ridicolo. Lo scopo della sua vita è stupire il prossimo, facendolo sentire inferiore. Proprio per questi atteggiamenti il convinto viene spesso deriso dalla folla. Anche il fatto di ritenersi molto quadrati, sai: Quello che non si sopporta degli altri è proprio ciò che più si detesta in se stessi. E’ bello scrivere belle parole, gradevoli da leggere: bisognerebbe metterle realmente e sinceramente in pratica nella vita perché diano valore alla persona.
        Ciao da Maria Elisabetta

        • Michela
          18 April 2011

          A me non sconvolge la proposta di Graziano. Forse perchè sono pronta ad uscire dal mio quadrato e a mettermi a disposizione degli altri: non è offensivo per la mia persona.

  2. rossella
    13 March 2011

    e se la “carta” prima di indicare la direzione, orientasse rispetto all’esistente? Se fosse “la mappa” del territorio organizzativo?
    Il rischio che spesso si corre, mi pare, risieda nella costruzione di un documento che sia pensato per orientare al futuro senza passare dal presente. Nel presente si incrocia ciò che dovrebbe essere (comportamenti, obiettivi, norme, etica) e ciò che è; mediamente nelle organizzazioni (e nella vita) c’è un gap fra le due istanze che si tende a non considerare coltivando l’illusione che basterà dire/scrivere in modo più chiaro quelle che sono le attese, i riferimenti.
    Costruire la mappa ragionando sui gap e sulle azioni conseguenti e fra le parti interessate, con una chimata a responsabilità mi sembra un risultato prezioso e complesso in sè.
    Mi sembra interessante e condivisibile il desiderio di “concretezza” che il direttore del consorzio sociale invoca, stando però attenti a non operare scissioni fra ciò che si esprime con i comportamenti e le motivazioni, le spinte che li animano (altrimenti detto “psicanalitico”).
    Forse la costruzione condivisa citata nel precedente intervento, e che condivido, può essere però sostenuta dalla carta che è supporto anche alla memoria organizzativa e collettiva.

  3. Riccardo Pompeo
    13 March 2011

    Leggo con sgomento della carta dei comportamenti…. allora dirò una cosa sull’argomento.

    Qualsiasi legge, umana o divina che sia (ammesso che uno creda a queste cose) è destinata palesemente a fallire.

    Perché? Semplice, il comportamento umano è fatto di individualità e di socialità. L’individuo plasma l’ambiente e l’ambiente plasma l’individuo in un infinito gioco di specchi del quale non si riesce a percepire chi ha generato la prima immagine e chi la subisce di rilfesso.

    Ne consegue che qualsiasi modello che tenti di imbrigliare il comportamento umano in schemi prefissati non può essere altro che una fotografia istantanea destinata ad essere sorpassata e travolta dagli eventi qualche istante più avanti.

    Il comportamento sociale è dinamico, così nella famiglia, nel lavoro, nella scuola ed in ogni punto di aggregazione delle coscienze.

    L’unico modo per risolvere le questioni è mettere insieme consapevolezze di medesimo livello e farle confrontare e crescere insieme. Alla fine tutti si amalgamano alla coscienza collettiva condivisa, senza bisogno di alcuna carta e alcuna legge.

    Con rispetto
    RP

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