Alla vigilia delle celebrazioni dell’Unità d’Italia vorrei contribuire alla riflessione su uno specifico punto.
Tra i diversi elementi che richiedono confronto (e misura) vi è il rapporto tra lo Stato e la religione cattolica (e più in generale tra lo Stato e le diverse confessioni religiose presenti in Italia).
Forse le questioni sono più d’una:
– la laicità dello Stato.
– l’uso della religione cattolica (cristiana) a come strumento politico.
– il senso che hanno per noi le diverse religioni presenti in Italia (fastidi o ricchezze?).
– e naturalmente vi sono nodi interni alla sfera religiosa.
Mi servo delle parole di Michel de Certeau (tradotte in italiano da Stella Morra) per esprimere alcune osservazioni (le citazioni non riportano l’esatta collocazione nel testo perchè mi giungono da Dario Grison che a sua volta le ha ricevute direttamente da Stella Morra; prossimamente colmerò la lacuna).
«Si sviluppa […] un fenomeno […] radicale: sempre più cristiani sono tanto meno praticanti quanto più sono credenti. La loro stessa fede li allontana dalla pratica sacramentale o liturgica. Qualche anno fa, la pratica della messa quotidiana, settimanale o annuale forniva un criterio per gli studi di sociologia religiosa. Le statistiche che riguardavano questa pratica permettevano di disegnare un ritratto del cristianesimo […] (in base al) postulato secondo cui esisterebbe un rapporto stabile tra le condotte obiettive e le convinzioni personali. E’ proprio questa relazione che va disfacendosi. I comportamenti religiosi e la fede si separano. Certamente non possiamo concludere da ciò che non vi sia nessun rapporto in assoluto tra i due. La fede cristiana […] resta legata a riti religiosi, ad appartenenze istituzionali e tradizionali, ad uno stile di vita familiare, a comportamenti sessuali, a scelte politiche. Ma oggi sono legami oscuri, spesso drammatici, sempre più ambivalenti e che lentamente si spezzano. Le parti del sistema si disaggregano. Ognuna di esse cambia silenziosamente di senso, in un caso rimanendo un’esperenza di fede, in un altro divenendo il segnale di un certo conservatorismo o lo strumento di una certa politica. Questo significa che l’istituzione cristiana si sgretola, come una casa disabitata: i credenti la abbandonano fuggendo dalla finestra; i riutilizzatori entrano da tutte le porte. Il luogo è attraversato da movimenti di ogni tipo. Viene utilizzato per ogni scopo. Non definisce più un senso e non è più l’indicativo sociale di una fede.»
[…]
«[…] se una certa sinistra politica si serve del riferimento cristiano, anche la destra fa altrettanto. E’ curioso che tanti non credenti si facciano difensori apologeti di ciò che c’è di più tradizionalista nella religione. Strana inversione. La difesa degli interessi della borghesia giunge ad effetti contrari: dopo le grandi lotte della intellighenzia del XVIII e XIX secolo contro la superstizione, ecco che oggi i tecnocrati, i politici e gli accademici… hanno bisogno della superstizione. Essa diviene loro utile.»
«Il cristianesimo […] è ancora capace di mantenere un’originalità propria, cioè di difendersi dall’utilizzazione che ne può fare non importa quale gruppo sociale? Si tratta di questione fondamentale: infatti, se il riferimento cristiano è compatibile con non importa cosa ed utilizzabile da non importa chi, il cristianesimo non dice e non è più nulla di specifico. Diventa insignificante. Se ne può ricavare quello che si vuole. Non importa cosa.»
M. de Certeau e J.M. Domenech, Il cristianesimo in frantumi, trad. it. S. Morra, Effatà, Torino 2010.
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