Da qualche tempo si parla di agricoltura sociale. Si tratta innanzitutto di quell’insieme di pratiche in cui persone provate da varie forme di svantaggio o disagio danno un significato alla propria vita e un senso alle proprie capacità mediante l’attività agricola. Ma riguarda anche esperienze innovative come gli asili-nido, forme di accoglienza di anziani e altri servizi sociali organizzati in strutture agricole.
L’agricoltura sociale è, dunque, un’attività economica che produce beni relazionali mediante processi propri dell’agricoltura nelle sue multiformi declinazioni. Bisognerebbe, infatti, parlare più propriamente di agricolture sociali, al plurale, per la molteplicità delle tipologie esistenti. C’è quella imprenditoriale che si caratterizza per la presenza di imprese di responsabilità sociale o di cooperative sociali. Accanto a queste forme esiste anche un’agricoltura sociale di tipo amatoriale che si realizza mediante la produzione di cibo destinato all’autoconsumo su piccoli appezzamenti di terra di proprietà di gruppi familiari, di case di cura, di scuole, di istituti penitenziari o di enti locali che organizzano orti sociali. Tutte queste forme creano beni pubblici se inserite in reti di economia solidale che valorizzino il paesaggio, il patrimonio culturale dei luoghi e le capacità creative dei soggetti che operano nei territori.
A differenza dei normali beni di mercato, siano essi privati o pubblici, dove la produzione è tecnicamente e logicamente distinta dal consumo, i beni relazionali si producono e si consumano simultaneamente; il bene viene co-prodotto e co-consumato al tempo stesso dai soggetti coinvolti. Si tratta, inoltre, di beni che non possono essere né prodotti né consumati da un solo individuo, perché dipendono dalle modalità delle interazioni con altre persone e possono essere goduti solo se condivisi nella reciprocità. Sono il dare perché l’altro possa a sua volta dare per l’autorealizzazione della persona, la sua fioritura.
La cultura della gratuità è il fondamento dell’agricoltura sociale, che si realizza senza alcun regalo o prestazione “gratuita” ma con contratti, regole ben condizionate alla situazione, educando alla partecipazione con una gratuità accompagnata dal doveroso.
L’agricoltura sociale andrebbe meglio definita come agricoltura civica. In essa si esercitano, infatti, virtù civiche come la capacità di discernere il bene comune e di agire in conformità di esso.
Nelle aree rurali la produzione di beni relazionali è indispensabile per favorire lo sviluppo locale perché tali beni caratterizzano le specificità e i valori della ruralità ed evitano il loro appiattimento sugli stili di vita diffusi nelle aree urbane. Del resto, gli abitanti delle città cercano nelle aree rurali ciò che sentono di aver perduto e che invece ritengono essere ancora presente nel modo di vivere delle campagne.
Alfonso Pascale, 56 anni, presidente della Rete Fattorie Sociali. Collabora con l’INEA in ricerche socio-economiche che riguardano la nuova ruralità. Ama la letteratura e la storia. I suoi interventi sono raccolti nel sito personale www.alfonsopascale.it.
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