Mainograz

Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Andrea Bortolotti, ospite del 02 giugno 2011

La maschera e gli altri. Recitare il coordinamento

Andrea Bortolotti

Coordinare…

Diciamo “coordinatori”, e pensiamo a persone che fanno lavori difficili. Per esempio:

  • dirigere un gruppo di lavoro, una unità operativa, un servizio…;
  • mediare i diversi punti di vista o anche i conflitti all’interno di un gruppo, di un’unità operativa, di un servizio;
  • tenere i contatti tra la propria organizzazione ed il contesto complesso in cui essa opera, riportando nei due sensi le diverse e spesso contraddittorie e mutevoli esigenze;
  • rappresentare la propria organizzazione all’esterno, senza tradirla
  • rappresentare all’organizzazione i punti di vista dei diversi interlocutori, senza esserne paladini

“Coordinatore” ha almeno due significati generali.

  1. colui che mette ordine tra cose disparate, in vista di progetti, e perciò di obiettivi; colui che con mano più o meno ferma, con tocco più o meno sapiente ordina (comanda) e indirizza (guida) certe risorse secondo una legge di pertinenza, di adeguatezza allo scopo, di opportunità di tempi e luoghi, di economicità in senso moderno (efficienza, efficacia) e in senso antico (dar legge – nòmos – alla casa – oikìa). Un maestro d’arte, che coniuga la razionalità strumentale con la valutazione e la valorizzazione delle situazioni di volta in volta concretamente date.
  2. colui che cerca un ordine insieme ad altri.

I due significati non sono solo differenti, ma in tensione dialettica tra loro. Non è detto che siano contraddittori, ma possono esserlo in circostanze concrete.
Far valere agli occhi di altri un ordine considerato necessario od opportuno è cosa diversa che cercare insieme a loro un ordine che stia bene a tutti.
Attenzione, non si tratta qui della contrapposizione tra stili autoritari o democratici del coordinamento: la tensione tra i suoi due significati travalica questa distinzione. Non si tratta del modo di esercitare o di legittimare il potere, ma di ciò che la dinamica stessa del potere comporta.
Perché l’ordine, qualsiasi ordine, e tanto più l’ordine ben oliato della democrazia, comporta sempre potere, e quest’ultimo comporta essenzialmente la possibilità o la realtà del conflitto. Cioè la resistenza all’ordine, il desiderio o il rimpianto di un ordine diverso, o del disordine stesso, che pure qualche volta ci affascina fortemente.
La tensione tra i due significati divergenti del coordinare comporta che ci può accadere di chiedere ai coordinatori cose contraddittorie: di essere punti di riferimento per tutti, autorevoli e credibili guide, convinti della bontà di ciò che fanno; o viceversa di tendere alla invisibilità, di esercitare un ruolo di puro servizio della comunicazione.

Bene: esprimiamoci pure in termini di teoria della comunicazione. Quali funzioni comunicative ci immaginiamo che debba presidiare soprattutto un coordinatore?

  • Spingere i membri dell’organizzazione ad aderire ai fini e ai mezzi considerati essenziali? E insomma, organizzare?
  • Esprimere all’esterno (e all’interno) l’identità della organizzazione?
  • Tenere aperti i canali comunicativi (soprattutto) all’interno?
  • Veicolare informazioni?
  • Elaborare o permettere l’elaborazione di codici culturali ed operativi comuni?
  • Mirare all’armonia delle forme?

Purché non richiediamo al coordinatore di svolgere tutte queste funzioni, o almeno non tutte insieme… Altrimenti sarà probabilmente imprigionato in un doppio legame: sii potente, ma senza ambizione, sii invisibile, ma onnipresente, sii comprensivo, ma detta regole che valgano per tutti.

Come evitare questi rischi?

Forse non è possibile evitarli del tutto, tuttavia ancorarsi alle singole realtà, ascoltando i problemi e i bisogni di organizzazioni concrete potrà aiutare a non drammatizzarli.
Coordinare è giocare un ruolo nell’organizzazione.
Che ruolo è mai quello del coordinatore? Non un dirigente, che sta sopra, non un compagno di lavoro, del tutto al mio livello: il coordinatore abita due mondi, qui sta un’altra radice della complessità del suo ruolo, il coordinatore abita sia la dimensione verticale del potere sia quella orizzontale della collegialità. Un luogo liminare. Anche la scena è un luogo liminare, tra la realtà dietro le quinte (o fuori dal teatro) e la platea dove chi recita viene giudicato. Il ‘ruolo’ infatti fa pensare al teatro: si gioca un ruolo un po’ come si recita una parte.

A quali condizioni la recita riesce ed è efficace?

Non stiamo parlando della rappresentazione di un copione totalmente vincolante, in cui ogni battuta non può essere che ridetta come è scritta. Nelle organizzazioni si recita a soggetto.
Un buon attore entra nella parte, ma senza identificarsi con essa. Riflettere sul ruolo comporta un qualche grado di coinvolgimento personale, anche se non si è mai identici al ruolo che si gioca. È bene che un coordinatore lo ricordi, se non vuole rimanere strangolato dai doppi legami che sembrano definirne la parte. Ogni tanto (ogni giorno) è vitale ristabilire una distanza tra sé e la propria maschera.
Non si recita il proprio ruolo da soli, ma con altri, verso cui si hanno aspettative e che ne esercitano a loro volta nei nostri confronti. Con chi giocano il loro ruolo i coordinatori? Chi sono i soggetti con cui devono collaborare? Un consiglio operativo: in ogni situazione concreta, un coordinatore può disegnare la mappa dei suoi portatori di interesse. Si tratta di vedere quanto sono prossimi o remoti, quali poteri esercitano su di noi, con quale urgenza e legittimità. Dall’altra parte si tratta di chiarire quali aspettative esercitano nei nostri confronti, e di quali aspettative li investiamo. La sintonizzazione delle aspettative potrebbe facilitare un gioco felice ed efficace dei ruoli rispettivi.
Un’altra condizione perché la recita funzioni, è naturalmente che la vicenda, i compagni, gli strumenti di scena e così via sia ben conosciuti, e che inoltre l’attore abbia le capacità di recitare, danzare, e fare insomma i gesti giusti nel giusto momento. L’arte si impara, per quanto esserci portati costituisca naturalmente un bel vantaggio preliminare.

  • Si imparano contenuti studiandoli: le leggi, le teorie che ci parlano degli oggetti o delle persone on cui abbiamo a che fare.
  • Si impara a fare sia provando e riprovando, sia imitando chi ci pare già bravo, sia adottando strumenti che ci aiutano nel nostro lavoro (per esempio e fuori di metafora strumenti di controllo della qualità, in tutte le sue dimensioni organizzative, da quella economica a quella sociale, a quella relazionale e comunicativa).
  • Si impara ad essere più sicuri, adeguati, rispettosi, sensibili, autorevoli… ed ogni altra cosa che potremmo desiderare per un coordinatore… Come? Ognuno a suo modo, per la sua strada, insieme a chi lavora accanto, ma in generale imparando a indossare sul serio la propria maschera per il tempo della rappresentazione, pur sapendo che nessuno di noi, come abbiamo detto e come fingiamo di sapere, coincide con la sua propria maschera.

Si può amare il proprio ruolo, la scena che si calca, i personaggi interpretati. Ma non c’è dubbio che si recita perché il pubblico è pagante.
Da un lato questo significa che si hanno responsabilità nei confronti del pubblico. Un coordinatore ha molto potere, formale o informale, e dunque molte responsabilità verso i colleghi, i committenti, gli utenti, la comunità…
Dall’altro lato questo significa che la spinta oggi molto forte a diventare più capaci di coordinare è radicata nelle trasformazioni in corso nel mercato del lavoro. In ogni professione crescono le richieste di aderire ai ruoli ricoperti o assegnati e di recitare a soggetto, creativamente, efficacemente. Ciò comporta l’adesione sempre più intima tra la maschera professionale e l’identità. Non bisogna dimenticarlo, si può tentare di non esserne prigionieri.

__________________
Andrea Bortolotti, cinquantaduenne, milanese di fatto trentino d’ascendenza, insegnante liceale di filosofia e storia, ha moglie e figlioli, ha fatto qualche esperienza come educatore, formatore e consulente, ha scritto un paio di romanzetti per ragazzi, vorrebbe saper suonare bene la tromba e in generale gli piacerebbe sapere molto più di quello che sa, sicché quando può studia.
__________________
L’articolo è apparso nella collana Materiali di ricerca della cooperativa CoossMarche, Quaderno 6/2004, pp. 285-287.

One comment on “Andrea Bortolotti, ospite del 02 giugno 2011

  1. Pingback: Andrea Bortolotti, ospite della settimana 07/2013 « Mainograz

Dai, lascia un commento ;-)

Fill in your details below or click an icon to log in:

WordPress.com Logo

You are commenting using your WordPress.com account. Log Out /  Change )

Facebook photo

You are commenting using your Facebook account. Log Out /  Change )

Connecting to %s

Information

This entry was posted on 2 June 2011 by in Organizzare, Ospiti and tagged , .

Responsabilità 231/2001. Una sfida per la cooperazione sociale

La fatica di scrivere (ebook a 0,99)

Writing Social Lab 2.0 (free ebook)

Le scritture di restituzione (ebook a 1,99)

Formare alla responsabilità sociale (free ebook)

Avvicendamenti (in libreria)

La carta dei servizi (in libreria)

Archives

Mainograz

Mainograz non raccoglie cookies di profilazione

Mainograz è il blog professionale di Graziano Maino, consulente di organizzazioni e network, professionista indipendente (legge 4/2013).

Scopo di questo blog è esprimere il mio punto di vista su questioni che reputo interessanti e discuterne con chi ha piacere di farlo.

Non raccolgo informazioni di profilazione sulle persone che visitano il blog Mainograz.

Tutte le statistiche sulla fruizione del blog Mainograz (ad esempio sulle pagine visitate e sugli argomenti ricercati) mi vengono fornite in forma anonima e aggregata da Wordpress.com.

Anche i commenti possono essere espressi senza dichiarare la propria identità. Mi riservo solo di verificare il contenuto del primo commento, che se accolto, consente poi di commentare liberamente.

Visitors

  • 504,611 visite da dicembre 2009
%d bloggers like this: