Paolo Fontana mi coinvolge. Come dire di no? (By the way lo ringrazio per la fiducia:-)
E anche questa volta socializzo la domanda che ho ricevuto da una studentessa del Master GIS Euricse (Master Universitario in Gestione di Imprese Sociali) impegnata a focalizzare l’argomento della sua tesi finale.
Estendo la richiesta di contributi che possano aiutarla a precisare un oggetto di studio nell’area della qualità nell’ambito delle cooperative e imprese sociali.
Credo sia importante discutere in via preventiva quali temi meritano attenzione.
Le risorse e le energie non sono infinite, e affinché una tesi non sia solo una prova di abilità – ma piuttosto un’esperienza di ricerca utile a sé e agli altri – è bene ragionarci (non da soli).
A proposito di qualità (e di certificazioni) Barbara Colombo ha scritto un paio di post su Appunti di lavoro. E indipendentemente dall’optare o meno per un tesi compilativa varrebbe la pena intervistarla (a mia volta mi prendo la libertà di coinvolgere una collega… ma è poi così che funzionano le comunità di pratiche, un contatto ne apre un altro, arricchendo i punti di vista e moltiplicando gli accessi alle esperienze).
Anche altri/e colleghi/e di Appunti di lavoro e di Pares hanno esperienze (e sguardi critici) sul tema.
Come dicevo, prima di cimentarsi nella progettazione di una tesi conviene considerare vincoli e risorse, considerando in particolare che grado di estensione e profondità debba avere l’elaborato finale di master e quali debbano essere le sue prerogative. Anche se in linea di massima un’introduzione teorica che contestualizzi il tema è richiesta con l’ineludibile corredo di motivazioni che giustificano la scelta di stringere o allargare il campo di osservazione. Inoltre una sorta di nota di metodo (magari anche solo un paragrafo) sarà necessaria per esplicitare le coordinate di lavoro intraprese. Introduzione, conclusioni – e necessaria sitobibliografia – non possono mancare (ça va sans dire).
Una tesi ‘cronachistica’ sull’evoluzione delle rappresentazioni sulla qualità nel mondo sociale sarebbe di per sé interessante, collegando i discorsi, gli strumenti, le pressioni a lavorare in qualità con le condizioni organizzative e di contesto. Forse con una lettura ‘esegetica’ dei testi divulgativi, della letteratura grigia che le organizzazioni negli anni sono andate producendo, con qualche articolo critico, si potrebbe ricostruire il quadro dell’evoluzione di un costrutto regolativo (normativo, disciplinante?) e inclusivo come quello della qualità tra la metà degli anni novante e la metà dello scorso decennio.
Se una rassegna storico compilativa sugli slittamenti di una parola d’ordine, con l’obiettivo di dare una visione di insieme di un periodo di espansione delle imprese e delle cooperative sociali non accende il desiderio allora è necessario identificare un altro tema da affrontare. Ma in ogni caso una premessa introduttiva al tema rimane necessaria.
Un possibile lavoro potrebbe vertere su impatto, accoglienza e utilità dei sistemi di certificazione (nel presente della vita delle organizzazioni che realizzano servizi socioeducativi, socioassistenziali, sociosanitari).
Si potrebbero intervistare alcuni dirigenti, responsabili qualità, coordinatori e operatori (se coinvolti dai sistemi ISO) per raccogliere le loro impressioni e valutazioni.
E si potrebbe poi confrontarle con le ‘promesse’ che la letteratura (per lo più manageriale) rilancia [su cosa sia la letteratura ‘manageriale’ è presto detto: libri divulgativi o manualistici, in cui prevalgono le indicazioni operative sulle riflessioni, e la promozione di strumenti sulle disamine critiche, le promesse di rivoluzionari cambiamenti sulle accortezze e sui dubbi, rappresentazioni assertive e semplificate sulle inquietudini esistenziali e sugli inviti alla prudenza. Di letteratura manageriale sono piene le biblioteche civiche, se non sbaglio sotto la segnatura 600 (ma lo verifico e se caso rettifico il post]. Ma la realtà esorbita la fantasia (contenuta nella letteratura manageriale, a cui a volte anche la letteratura di impronta accademica cede e si concede) per questo l’interazione fra il dover essere che la razionalità del sapere istituito propone e la varietà delle esperienze (dove si annidano conoscenze pratiche e inconsapevoli) è sempre fonte di apprendimenti (e un ottimo materiale per una tesi).
Una questione di fondo… Viste le tempeste sulla qualità che vanno si sono susseguite in campo sociale, può valere la pena, è verificare se si attenuata l’attenzione al tema o come evolvono i discorsi sulla qualità (e il loro utilizzo relazionale ed organizzativo). Si tratta forse di riformulare alcune domande di fondo: che cosa è qualità in una (specifica organizzazione sociale)? Cos’è qualità sul piano formale per l’organizzazione, e cosa è per le persone che ci lavorano e per le persone che utilizzano i servizi (non solo i famigliari ma anche i diretti fruitori, spesso scavalcati dalle metodiche di rilevazione della soddisfazione). E anche che cosa è qualità per le agenzie pubbliche o private che commissionano servizi, interventi o progetti, e in parte o in tutto li pagano. Se la qualità non è un palco di idee assolute, ma un costrutto sottoposto all’usura del tempo e alle riscoperte ricombinatori, è possibile (e forse utile) domandarsi di nuovo cosa è qualità oggi nelle concreta situazioni di lavoro e produzione sociale.
Un’idea che mi è venuta facendo un minimo di ricerca in internet è che si potrebbe fare una testi ricercando, confrontando, esaminando i manifesti per la qualità nei servizi alla persona, sociali, educativi e di cura. Ho l’impressione che si possano trovare moltissimi spunti, ricavare, da un confronto puntuale linee di cambiamenti, trasformazioni nelle sensibilità e nei macroindicatori…
The first call is on!
Contributi welcome;-)
Ciao Graziano,
il mio modesto contributo si inserisce in quel che tu hai identificato con l’interrogativo “Una tesi utile?”.
Cooperazione sociale e Qualità è una questione che torna spesso quando si tratta con le agenzie pubbliche e private che commissionano servizi e progetti alle cooperative.
Quante volte ci troviamo a lottare contro il pregiudizio che vede le cooperative sociali come costitutivamente lontane da un idea di Qualità accettabile (“lavorate con persone svantaggiate” equivale a “come fate a garantire Qualità in lavori di un certo livello?”) e anche da un accettabile rapporto di Qualità/Prezzo (“le cooperative garantiscono condizioni di lavoro adeguate alla promozione della persona” equivale a “come fate a farci un prezzo buono? Costate troppo…”).
Nonostante sia superata dalla teoria, la visione statica della Qualità (di prodotto e di processo) domina culturalmente e costituisce la “vulgata” di tutta l’enfasi che negli anni è stata attribuita al pensiero sulla Qualità e ai suoi standard.
Per le Cooperative Sociali il difficile compito di ragionare prima, e di divulgare poi, una visione della Qualità più dinamica:
1) in termini di Prodotto, puntando su innovazioni e nuove tecnologie che, appunto perchè nuove, non possono prescindere da sperimentazioni condivise con il committente
2) in termini di Significato, verso una Qualità che è negoziazione di senso tra i vari portatori di interesse che decidono di riconoscere una propria “posta in gioco” nella cooperativa stessa.
Ci riusciremo?