Mainograz

Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Un decalogo per non morire di email? (scrivere email senza far/si male;-)

Commento le dieci regole per non annegare, sommersi dalle email che riceviamo. Regole pubblicate da Jocelyn K. Glei a pagina 88, su Internazionale 882 del 28 gennaio del 2011.

Forse però conviene non bersele tutte d’un fiato, come fossero una medicina amara ma necessaria. E poiché resto convinto dell’utilità dei decaloghi (a patto di farne una lettura scardinante), provo a riformulare le indicazioni per come la vedo (salvo argomentazioni più tenaci).

Aggiungo che, in origine, avevo optato per un esame sequenziale. Avrei dapprima ritradotto il decalogo, avrei fatto poi seguire alcune osservazioni critiche, e infine avrei proposto indicazioni che a me paiono più efficaci. Ma poi lavorandoci ho capito che dovevo correre il rischio della tabella per offrire la possibilità di letture sia orizzontali che verticali.
E così ho fatto.

Tesi

Antitesi

Sintesi

Dieci regole per sopravvivere alle email (Internazionale 882, p. 88).
Sintetizzo le istruzioni per contribuire a diminuire le mail circolanti.

Si, ma… alcune considerazioni…

Il ‘ma’ è una congiunzione debolmente avversativa, segno di libertà e di connessione: perché non usarla?

Discutibili proposte (moderatamente alternative o migliorative…)

Ci provo a modo mio. Al più quello che rimane è l’effetto di attivazione cognitiva: “la Glei dice così e così, Maino considera e rilancia, e io che leggo penso invece che…”

Essere sintetici. Mail brevi, asciutte, che vanno al sodo. Veloci da leggere, considerando che sempre più spesso si leggono dai cellulari.

Sì sono d’accordo. Ma, non troppo. Cioè non troppo sintetici, perché certe volte ci sono messaggi che sfiorano l’incomprensibilità. La sintesi è il massimo dell’informazione nel minimo spazio.

Andare al punto. Meno si scrive più si viene letti. Regola aurea, ma non assoluta. Dipende anche da cosa si scrive e da come, e anche da chi ci legge/rà. Ci sono brevità inutili e perfino dannose: sintetici ma non criptici.

Diretti a quel che c’è da fare evitando le premesse
Non perdersi in riassunti delle puntate precedenti, lasciare ragioni e motivazioni nella seconda parte dell’email.

Sì, giusto, mi ritrovo. Ma… una battuta di contestualizzazione è sempre necessaria. Viceversa i compiti si mutano in ordini, gli obiettivi in imperativi categorici.

Tenere leggere le contestualizzazioni. Indicazioni, compiti, obiettivi senza un richiamo di senso sono irritanti imposizioni. Ad esempio: “Dall’incontro di ieri è emerso che…”, oppure “Ho incontrato  e ci siamo accordati per fare nel seguente modo…”.

Numerare le domande
Suddividere il testo con punti elenco. Se sono domande meglio numerarle, facilita chi deve rispondere e ci facilita quando leggeremo le risposte.

Sono d’accordo. Sequenziare il testo è una buona mossa, distingue le unità di senso, aiuta a far comprendere gli argomenti, facilita la lettura dei contenuti. Anche curare il layout aiuta. L’impostazione grafica conta e rende più efficaci intenzioni comunicative e più fruibili i contenuti.

Enucleare gli argomenti trattati. Con un numero, un punto elenco, saltando una riga… si tratta di soluzioni tecniche. Attenzione quando si segnalano le questioni che si tratteranno. Aiuta, ma se si dice ‘tre punti’ è importante che poi non diventino quattro.

Ma in generale la cura nella scrittura delle mail chiede un po’ di tempo, ma ne fa risparmiare molto.

Prendere posizione
In effetti, nonostante possa sembrare quasi eccessivo, esplicitare con chiarezza la propria posizione aiuta gli altri a prendere posizione a loro volta.

Mi trovo d’accordo.

Prendere posizione non significa farsi irremovibili. Si può prendere posizione usando il condizionale, mantenendosi aperti ad altre possibilità. Ma intanto si riducono incertezze paralizzanti.

Autorizzarsi e prendere posizione non significa chiudere alla possibilità di considerare opzioni diverse, al contrario, le legittima.

Fare proposte concrete e definite. La vaghezza rallenta, spiazza e fa perdere tempo. (Salvo non siano quelli gli obiettivi relazionali, allora più si moltiplicano le questioni più si impantanano le possibilità di uscirne con una qualche linea d’azione.

Esplicitare le scadenze
Questa indicazione è una variante della precedente. In questo caso fissare un termine temporale significa aiutare chi è coinvolto a rappresentarsi la risorsa tempo e induce prese di posizione (favorevoli o meno), in ogni caso utili a… non perdere tempo. Nel circoscrivere un campo, sempre che ciò avvenga con garbo, si richiamano attenzione e responsabilità.

 

Anche in questo caso mi trovo d’accordo. Ad una condizione che le scadenze vengano fissate da chi ha l’autorità per farlo, se possibile vengano negoziate, o almeno vi sia cura nello stabilirle. È abbastanza irritante (mi spiace, ma è così) venire invasi nella propria disponibilità di tempo da scadenze immotivate, perentorie, incalzanti (mi scuso per i tre aggettivi, ho cercato di ponderarli).

Esplicitare vincoli e accordi temporali. I propri e quelli concordati. Il tempo ci sfugge fra le dita, le cose da fare sono molte, i/le time-keeper gentili, che non demordono, non perdono la grazie e il sorriso, sono colleghi/e di lavoro ricercabili.

Segnalare anche nell’oggetto le email che inviate per conoscenza
Questo suggerimento non lo avevo mai sentito. La proposta è di rimarcare in oggetto che la mail viene inviata a titolo informativo (per conoscenza) così che i destinatari non possano decidere di leggerla con calma.

Questa è un’indicazione interessante, che sembra riconoscere il fallimento dell’opzione tecnica Cc (carbon copy). Forse c’è un uso eccessivo delle mail in Carbon Copy, forse siamo all’abuso. Viene facile includere una serie di indirizzi email a cui far pervenire per conoscenza l’email. Anzi sembra quasi un gesto di coinvolgimento. L’effetto invece è la sovrabbondanza informativa lesiva di ogni comunicazione efficace.

Il suggerimento non mi sembra efficace (come non sono efficaci le attribuzioni di priorità (!, !!, !!!, !!!!) che finiscono per irritare ed essere bypassate.

Come invianti: a volte è necessario chiarire a chi è diretta l’email e chi viene coinvolto a titolo informativo (si può calibrare la formula di saluto)

Verificare se si è destinatari diretti o indiretti delle email. Basta un colpo d’occhio alla parte alta.

Me la cavo così, ma la questione ha una sua complessità e una sua rilevanza.

Date un cenno
Arriva una mail, non si riesce a processarla, mandare almeno un cenno per informare del ricevimento, prendere tempo, salvaguardare la relazione.

Sono d’accordo, anche se a volte le ragioni per rimandare sono dinamiche e non materiali. In ogni caso, concordo con Glei, meglio prendere tempo piuttosto che scusarsi per un ritardo.

Se ci sei, batti un colpo. Basta un ‘ricevuto’, un ‘leggo e poi ti dico’. Il silenzio è un’informazione ambigua, non facilmente interpretabile. Anche se a volte non rispondere è la forma socialmente più accettabile per rifiutare.

Evitare di ringraziare
Nell’ottava indicazione Jocelyn Glei mette insieme due ragionamenti che non c’entrano nulla uno con l’altro: non mandare email inutili e astenersi dal ringraziare.

Sono d’accordo sul primo punto. Salvo domandarmi che significato pragmatico abbiano le mail apparentemente inutili (dal mio punto di vista). A volte sono proprio quelle email che consentono di fare ipotesi interessanti…

No, non sono assolutamente d’accordo sul secondo punto.

Si possono fare anche decaloghi da 11 punti e infatti avrei spezzato il ragionamento in due.

Evitare email prive di contenuto. Al più, si veda il punto precedente, conviene scrivere

Non perdere l’occasione di ringraziare.

Dire ‘grazie’ è tre volte saggio: serve a mantenere la relazione, a chiudere il contatto, ad informare di avere visto l’email.

(Sto naturalmente parlando dei grazie autentici. Trascuro di addentrarmi nella spinosissima questione dei ‘grazie’ che sono dei ‘vaffa’).

Evitare mail polemiche o arrabbiate
Le email che salgono di tono in generale producono effetti cumulativi e catastrofici. Le mail non sono un buon mezzo per trattare e gestire i conflitti. In situazioni di tensione scrivere aiuta a esprimere emozioni e a chiare concetti a patto che non si trasformino i diari in manifesti rimbalzanti in internet.

Sì, vero, giusto (evviva il bello e il buono) solo che certe volte qualcosa ci sfugge. E si capisce che siamo irritati o seccati. Va bene così (almeno per me). Quello che cerco di fare è di controllarmi e di riuscire a segnalare le mie emozioni senza tracimare. A volte elimino l’emoticons, altre volte uso un tono più formale.

Evitare sclerate, abreazioni e acting-out. Mantenere la calma, mantenersi nell’alveo dell’educazione, controllare reazioni e lapsus che tendono (ahinoi) a sfuggire.

Non replicare alle email collettive con un bel “rispondi a tutti”
In effetti il suggerimento è temperato da un ‘a meno che non sia proprio necessario’. Una casistica delle occasioni in cui è opportuno e di quelle in cui è meglio evitare non l’ho trovata…

Sì, forse sì, ma… Dipende. Dipende dal contenuto dell’email. La risposta ‘ci sarò!’ ad un invito girata a tutti o girata alla sola persona che invita potrebbe provocare effetti differenti.

I giri di mail, le risposte di risposte di risposte, sono fastidiose, intasano le caselle di posta, costringono a leggere se qualcuno sarà o non sarà presente, il più delle volte sono giustificazioni cortesi che motivano la propria assenza. Per quanto fastidiose hanno un loro significato (intanto mi sembrano meno frequenti di quanto non sembri). In secondo luogo forse segnalano un interesse e una sorta interesse a stare in contatto anche in assenza di disponibilità. Sono mail che dicono due cose: ci sono, ma nella specifica situazione non posso esserci.

Conviene usare accortamente il ‘rispondi a tutti’. Le motivazioni possono essere diverse. Il punto è che in certe situazioni è saggio allargare il giro (o almeno non restringerlo). Il rispondi a tutti è un rilancio palese, e questa scelta comunica. Moltissimo.

Seguiranno altri post sul tema. Per parte mia più che indicazioni ultimative sono interessato a ragionare su quello che facciamo quando scriviamo e quando scriviamo email. Sugli svariati modi che abbiamo di costruire ambienti di lavoro e forme di collaborazione più o meno efficaci, grazie alle nostre competenze scrittorie e alle nostre consapevolezze comunicative. Spesso infatti, nei gruppi di lavoro, nei servizi e nelle organizzazioni, si sentono affermazioni piuttosto perentorie (e forse fondate) che imputano le fatiche lavorative e collaborative a problemi di comunicazione. Benissimo… ma in cosa consistono questi problemi comunicativi?

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