Durante l’adolescenza sono stato (non molto, a dire la verità) angosciato, dai problemi tipici dell’età e dalla teorizzazione dei compagni de «il manifesto» a proposito del “bisogno di comunismo”. Solo anni dopo, scherzando con altri compagni di università – subito dopo le lezioni rovattiane di storia della psicologia contemporanea, ad ore tarde e sotto lo stimolo del languore preprandiale – ho iniziato a realizzare la differenza tra i diversi concetti di “bisogno” e “desiderio”.
Su un altro piano il duro rigore a proposito di applicazione del codice stradale nei paesi dell’Est “socialista”, mi ha sempre dato da pensare a una contraddizione sistemica: mera valvola di sfogo od elemento di emersione di strati profondi della psiche?
A tutto questo mi capita di pensare, bestemmiando smodatamente, quando mi tocca abbandonare gli amati mezzi pubblici per assumere la guida della macchina.
L’uso della freccia direzionale? E’ ormai diventata la cifra, un po’ blasée, di atteggiamenti snobistici. La battuta polisemica, a proposito del fatto che si tratti di strumenti tipici delle popolazioni a rischio di estinzione, a forza di ripeterla, è diventata obsoleta.
I sorpassi? Fatti all’improvviso, costringendo la vittima – perché ormai è così, non si tratta più di impropria competizione agonistica, ma di caccia all’uomo – a veloce sterzata a destra accompagnata da frenata improvvisa, per evitare l’impatto dell’idiota sorpassante.
Le distanze di sicurezza? E’ assolutamente certo che, nei dizionari italici, manco se ne trova traccia. E sì che la nebbia sarebbe antonomasiamente padanica.
La precedenza? La precedenza da parte di chi è nella pubblica via, rispetto alle molteplici forme di vie private (passi carrai, parcheggi, stradine private)… Cazzi tuoi, se ti trovi la strada sbarrata improvvisamente, e devi invadere la corsia opposta, sperando in una rara e casuale assenza di mezzi provenienti da direzione uguale e contraria.
Camions? La ripresa della congiuntura economica (non occupazionale, ma che lo diciamo a fare?) è segnata dal fluire ininterrotto di camions da/per la Nuova Europa Liberata dal Comunismo e Finalmente Globalizzata. La circolazione stradale è un videogame in cui la corsia di sorpasso è una scommessa per la vita. Ovviamente la Opinione Pubblica dei Paesi di Antica Democrazia ripete il leit-motiv sulla scelleratezza dei camionisti, antesignani del moderno lavoratore “liberato” e trasformato in padroncino, libero di sfruttarsi da se stesso medesimo assumendosi ogni rischio, ad ogni costo.
Veicoli? Vere e proprie proiezioni peniche, sono sempre più grandi, inversamente proporzionali ai telefonini e direttamente correlati alla filosofia del Politico-di-riferimento-nazionale. Grandi, ingombranti, inutili. Se andassero veramente fuoristrada, non basterebbero tutti i pompieri del regno.
Ora non credo si possa più parlare di “bisogno di comunismo”. E d’altronde i “manifestini” di allora, Tremonti e Frattini, sono andati a fare compagnia agli altri ex – socialisti, comunisti, radicali e gruppettari – finiti alla corte del Modello-di-vita.
Difficile dirlo, ma mai disperare. Forse il socialismo (rivoluzionario, of course, così come il comunismo non può essere disgiunto dal chiarificatore “libertario”) dovrebbe iniziare mettendo mano al freno. Per poi scendere dall’auto (è ovvio che andrà parcheggiata dove non dia fastidio), e decidere di proseguire con altri mezzi. Piedi, bicicletta, tram, bus o treno. Filobus, perfino, o funicolare. I mezzi non sono secondari, rispetto ai fini.
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Gian Luigi Bettoli
Nato a Pordenone nel 1956, dal 1984 lavora nella cooperazione sociale, avendo fatto un po’ tutti i mestieri sia in cooperative di inserimento lavorativo come la Coop Service Noncello, che di servizi sociali, come Itaca (ambedue attive nella stessa città), che in consorzi, come il Cosm di Udine.
Dal 2005 presidente regionale di Legacoopsociali del Friuli Venezia Giulia, fa parte della presidenza nazionale dell’associazione come responsabile per i problemi della Salute Mentale.
Prima di diventare cooperatore sociale ha fatto una decina di lavori, più o meno precari, dal postino all’insegnante di musica, dall’impiegato dell’Inail all’animatore di centri estivi per l’infanzia, dal bigliettaio in un cineclub all’operaio vetraio, dal correttore di bozze per una casa editrice al compilatore di questionari per un sindacato (questo lavoro è stato l’unico “in nero”!).
Ha fatto il servizio civile come vigile del fuoco ausiliario in un comune disastrato della montagna friulana, dopo il terremoto. E, dopo una vita come attivista pacifista, ha pure fatto per un mese il responsabile di un campo profughi in Bosnia-Erzegovina. Non si è sono fatto mancare un lungo impegno politico, che lo ha portato anche a fare il consigliere comunale nella città natale.
In mezzo a tutte queste cose, è riuscito pure a laurearsi in Storia Contemporanea. La sua tesi, in tre volumi, è stata la sua prima opera pubblicata, ed è dedicata alle origini del movimento socialista, sindacale e cooperativo in Friuli.
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