Nel cercare del materiale per approfondire il tema dell’innovazione tecnologica, retrocedendo nel tempo, ho trovato un numero della rivista Inchiesta pressoché interamente dedicato alle nuove tecnologie e alle previsioni di impatto sulla vita quotidiana. Il numero risale al primo trimestre del 1990. Più di vent’anni fa. Il primo impulso è stato quello di scartare la rivista. Oggi è tutto cambiato, cosa potranno mai aggiungere pensieri tanto lontani (così embrionali) alla riflessione sul tema dell’innovazione informatica per come la stiamo conoscendo oggi? Poi ha prevalso la curiosità di vedere come si rappresentavano il futuro vent’anni fa. Il futuro di allora che in certo modo stiamo vivendo adesso.
La futurologia – si sa – è una scienza appassionante (inesatta e negletta solo a posteriori): nel presente la curiosità di sapere cosa accadrà nel tempo a venire ci rende ricettivi (e vispi) verso un futuro che avanza volgendoci le spalle. Come andrà o come vorremmo che andasse in (buona) parte dipende anche dalle aspettative che hanno animato la costruzione del presente. E nell’oggi raccogliamo i frutti delle costruzioni e delle prefigurazioni che hanno mobilitato il passato.
L’editoriale del numero 87/1990 della rivista Inchiesta è illuminante. Quindi riprendo le principali argomentazioni, per punti. Sono infatti convinto che ci possano aiutare a ragionare.
Le innovazioni informatiche non cambiano solo il mondo del lavoro, determinando profondi mutamenti, ma l’esistenza quotidiana: hanno un impatto sociale e culturale. [Basterebbe questa affermazione per considerare che non può essere solo una ragione imprenditiva (che pure ci sta) a motivare da parte delle cooperative e delle imprese sociali l’attenzione per l’innovazione tecnologica].
Cambia il lavoro, cambiano le relazioni sociali. Le innovazioni digitali cambiano le forme produttive per via dell’iperconnessione che introducono: la qualità totale è l’insieme dei reciproci e continui condizionamenti e resi possibili dalla connettività e dalle comunicazioni fra i soggetti coinvolti nel mondo della produzione.
Mentre scrivevano, all’inizio degli anni novanta, Capecchi e Pesce avevano in mente la Francia (ci ritorneremo) e dal confronto con quell’esperienza traevano la sensazione di relativa arretratezza del nostro paese. Da noi, in Italia, le novità telematiche si potevano incontrare solo se coinvolti in sperimentazioni frammentarie [fatta eccezione per il bancomat suggerivano con una punta d’ironia]. Nessuna significativa diffusione allora di connessioni domestiche, poche esperienze di telesoccorso e telesalute, scarse esperienze di monitoraggio dell’ambiente e del territorio, scarse esperienze di e-learning [noi chiamiamo formazione a distanza la formazione digitale], scarse esperienze di introduzione di tecnologie per facilitare la vita di persone con disabilità, scarse esperienze di tecnologie telematiche per la pubblica amministrazione e per i cittadini
Capecchi e Pesce segnalavano il momento di transizione e la delicatezza della relazione tra innovazioni tecnologiche e innovazioni sociali: se cambiano le forme di produzione cambiano, le forme di relazione sociale. Le innovazioni tecnologiche finiscono per condizionare le [ed essere condizionate dalle] innovazioni di contesto: tra gli individui, i gruppi sociali, i generi.
«A questo punto si può considerare l’innovazione sociale definendola come una innovazione che si proponga alcuni obiettivi principali: la riduzione delle diseguaglianze sociali e dei processi di polarizzazione/segregazione nei confronti di certi gruppi – e le diseguaglianze non sono solo quelle economiche ma possono derivare dal sesso, dall’età, dalla razza, dall’area geografica in cui si vive, ecc. –, il rispetto della diversità delle persone e dei gruppi e della loro libertà di manifestare i propri progetti, il rifiuto di una dimensione asessuata degli individui così come della tradizionale divisione dei ruoli tra donne e uomini e la accettazione/valorizzazione della differenza sessuale come dimensione chiave delle politiche sociali attuali e future. Qual è quindi la relazione tra innovazione sociale e innovazione tecnologica nel quadro più complesso delle innovazioni sopra indicato?»
pp. 1-2
Capecchi V. e Pesce A. “Innovazione tecnologica e innovazione sociale”, Inchiesta, gennaio-marzo 1990, pp.1-4.
La vena retorica non manca, il sapore di una stagione che ci sembra alle spalle neppure. Eppure… Nel lavoro e nella società le innovazioni possono venire introdotte (e vissute) come imposizioni o non produrre miglioramenti in termini di maggiori diritti e opportunità, di cambiamenti nella qualità della vita (né al lavoro, né nella società). Le innovazioni tecnologiche nei lavori di cura ad esempio dovrebbero produrre minori fatiche e maggiori autonomie, relazioni, competenze…
E oggi, come vanno le cose?
Sempre guardandoci da vent’anni fa, Capecchi e Pesce segnalano cinque rischi nei processi innovativi poco considerati nelle loro interdipendenze produttive e sociali…
Evidenziando in agenda il tema dell’innovazione, quali finalità si pongono i ‘movimenti’ delle agenzie sociali? È una domanda culturale e politica che forse conviene porsi [con tutti e ‘se’ e i ‘ma’ del caso, senza però sviarla]. La domanda non implica l’ingenuità di pensare che, definite alcune possibili risposte, allora sarà facile raggiungere obiettivi concreti o innescare processo agevole [non sarà facile, sarà più facile]. Cogliere il senso delle azioni che le imprese sociali vengono sollecitate ad intraprendere – e a proporre alle loro compagini societarie – potrebbe essere d’aiuto nel definire priorità e direzioni, investimenti e mobilitazioni di risorse e di energie (emotive ed economiche). Ed anche nell’articolare il senso dell’innovazione stessa. Il problema non è sopravvivere, ma vivere e anche confrontarsi sul ruolo culturale e politico del movimento delle agenzie sociali (di cui le cooperative e le imprese sociali sono una componente non trascurabile). Potrebbero essere insufficienti forme di resistenza senza legittimità culturale, senza una visibile capacità di risposta ai problemi, senza un recupero di prese di parola critiche, senza produzione di senso. Che innovazione sarebbe un’innovazione mimetica e acquiescente?
Qual è il senso del riporre speranze nella cooperazione e nell’impresa sociale? Più occupazione? Certo. Più diritti, più opportunità, più accesso, più lavoro meglio distribuito, più socialità? Più eguaglianza e più libertà? Più consapevolezza? Questi ultimi sembrano obiettivi meno mobilitanti.
Se consideriamo i tre punti cardine delle direttive “Europa 2020”: crescita intelligente (che ricerca innovazioni utili), sostenibile (rispettosa dell’ambiente e delle risorse), inclusiva (che considera gli individui, le culture, le varietà, le peculiarità sociali e territoriali) è essenziale convenire sulle domande, sugli elementi di concordanza e su possibili investimenti: su ciò che è fine e su ciò che è mezzo.
Viceversa si amplifica il disorientamento che sembra essere profondo e attuale.
Mainograz è il blog professionale di Graziano Maino, consulente di organizzazioni e network, professionista indipendente (legge 4/2013).
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A me i pericoli sembrano due.
– Rifiutare, disinteressarsi, svalutare le potenzialità che la tecnologia ci mette a disposizione.
– Affidarsi ciecamente, senza nessuna mediazione critica, confidare in una inesprimibile palingenesi.
Quello che ci interessa fare è documentare esperienze concrete in cui la tecnologia supporta, cambia, trasforma, migliora e anche fa nascere qualcosa di imprevisto, magari anche di negativo o anche solo di inatteso.
Insomma ci piacerebbe raccontare esperienze e ragionarci sopra.
Avete qualcosa di interessante che vi farebbe piacere socializzare?
Potremmo farvi un’intervista:-)
Un saluto
Mainograz
Attenzione sempre a non giocare all’apprendista stregone, di topoliniana memoria! L’uomo sta troppo giocando con se stesso, con la tecnologia, persino con la sua anima! Nell’era convulsa della comunicazione non si possono scambiare comunicazioni veloci, molteplici e incontrollate con lo scambio umano e la comunicazione significante. Non ci si può meravigliare se anche in questo caso “il sonno della ragione, genera mostri”. Se la ragione è tale, sta molto attenta a come vengono utilizzati i prodotti dell’intelligenza: questa e la ragione, credo, sono due cose ben diverse! O no?!