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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Quali atteggiamenti nell’affrontare l’innovazione?

Ecco un post che raccoglie alcuni appunti, in preparazione ad un workshop sul tema dell’innovazione…

[Si obietterà che così non c’è gusto, che non vale scoprire le carte.
Per parte mia non la penso così.
Intanto qualcosa succederà nel corso del workshop…
Molte idee verranno messe in circolo, e – avendo preparato qualcosa da dire -, potrò abbandonarmi al piacere di ascoltare, senza preoccupazioni performative.
In più, se qualcuno leggerà questi appunti preparatori, potrà eventualmente commentarli, aprendo così un’interlocuzione di approfondimento.
Da ultimo, cosa c’è di meglio di un post per raccogliere fugaci idee in movimento?]

Quali atteggiamenti possono aiutare nell’affrontare l’innovazione?

Tento la via dell’elenco (con i connessi rischi di apoditticità e superficialità):

  • Considerare le rappresentazioni, le idee che – più o meno consapevolmente – abbiamo dell’innovazione;
  • Dare valore alle proprie esperienze e agli ambiti tradizionali nei quali si è inseriti. L’innovazione non è necessariamente superamento, dismissione, rottamazione della propria storia e delle soluzioni che si sono nel tempo adottate, anche solo per poterle riconsiderare criticamente senza “svalutazioni svalorizzanti”. Le culture organizzative, in quanto sistemi di messa a punto di risposte efficaci, non traggono benefici del disprezzo, semmai da sguardi curiosi volti all’evoluzione.
  • Promuovere situazioni in cui si possano incontrare punti di vista divergenti, relazioni inattese, posizioni dissonanti. Fra le possibili occasioni, in genere apportatrici di momenti destabilizzanti ma non distruttivi, possiamo annoverare le attività di formazione, gli interventi di consulenza, i momenti di supervisione.
  • Considerare le trasformazioni del mercato, e più in generale dell’ambiente in cui ci muoviamo (e delle organizzazioni in cui ci muoviamo). I cambiamenti sono continui, e spesso osservazioni non distratte consentono di individuare tendenze, ricorsività, schemi… opportunità.
  • Mettere in conto risorse ed energie per cambiare. Se si sta a pancia bassa, se il lavoro e l’operatività quotidiana assorbono tutte le forze, se non rimangono spazi insaturi e tempi da dedicare alla ricerca (o anche solo alla riflessione) è difficile costruire momenti intenzionalmente dedicati all’innovazione.
  • Imparare qualcosa delle crisi, degli incidenti, dagli sbagli, dagli imprevisti, dai pericoli evitati, e anche dai successi e dai risultati positivi. Qualche erratica – o sistematica – forma di apprendimento dalle proprie e altrui esperienze non possono essere trascurate (e cercare attivamente di imparare dagli errori non implica che si debba prestare poca attenzione a evitare di commetterli).
  • Introdurre piccoli cambiamenti effettivi, perseguirli, mantenerli e farli crescere nel tempo, verificando la capacità che questi hanno di fornire risposte sostenibili e prospettive desiderabili.
  • A volte discontinuità radicali non sono sostenibili (né economicamente, né emotivamente). Riorganizzare, modificare, aggiornare, ripensare quello di cui si dispone è il massimo concesso. Riassemblare con un po’ di trasgressività può anche essere piacevole. E per ricombinare creativamente è necessario mettersi a portata di mano materiali riutilizzabili, forzare le cornici, sfidare le sicurezze, chiedersi “perchè no?”.

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