Le email sembrano surclassare le telefonate. Le email sono più comode. Sono sotto il nostro pieno controllo. Le scriviamo quando vogliamo, o quando possiamo, ma a nostra discrezione. Le rileggiamo(?), le inviamo e il gioco è fatto. Poi basta pazientemente attendere la risposta (o almeno un cenno di ricevimento).
Ma è davvero così?
Ecco cosa pensa tra sé, a pagina 7, Jérôme Carceville, manager silurato e protagonista del romanzo noir di re-iniziazione Cacciatori di teste di Michel Crespy (pubblicato da Edizioni e/o nel 2002).
Le e-mail mi piacciono tantissimo. Le preferisco al linguaggio parlato. Hai il tempo di rileggere, di esaminare ogni parola, di soppesare le sfumature di studiare i termini della risposta. Nel dialogo al telefono si trasmettono, nonostante tutto, degli elementi di comunicazione indesiderabili: un’intonazione, un’inflessione, o magari l’accento, il tono della voce che in modo indiscreto forniscono informazioni su interlocutore, età, origini, ambiente sociale, stato d’animo. La mail si limita al significato, senza nessuna interferenza, senza niente che sia esplicitamente voluto. Insomma, con una mail non sei quello che sei, ma quello che vorresti essere e mostrarti.
Proviamo ad esaminare la microfisica dell’argomentazione…
Le email danno al nostro Jérôme Carceville la sensazione del controllo: può riconsiderarle, esaminarle con cura, ripercorrerle, farne un oggetto di studio. Un approccio sofisticato. Da un lato eccessivo, dall’altro inconcludente: non è possibile espungere dal linguaggio le tracce della nostra soggettività, non fosse altro perché, anche la scrittura più neutra è riportata a un mittente (colui/colei che invia l’email) e quindi considerata in relazione ad un soggetto che ha prodotto il messaggio. Le email non sono (mai) testi disincarnati, parole scritte al di fuori di un contesto di senso (e relazionale, per quanto lo si dimentichi). Quindi l’eccesso di lavorìo è tempo sprecato. Le email parlano sempre di noi, esprimono – bene, male – qualcosa del nostro modo di essere, l’impazienza del frangente, la distrazione, un po’ di stanchezza, il piglio deciso, la faticosa ripresa… noi siamo (anche) quello che scriviamo.
Il telefono veicolerebbe di noi maggiori (troppe!) informazioni. Metacomunicherebbe al di fuori del nostro controllo. Mentre telefono dall’auto si sentono i rumori del traffico. A volte, in stazione, entrano nelle telefonate gli annuci dei treni in partenza, destinazione, orari, ritardi. Ma non è solo l’ambiente a venire assorbito. Secondo Jérôme Carceville (che evidentemente a modo suo – tutto suo – tiene a non esporsi… Chissà perché…) le telefonate andrebbero evitate: ti mettono in piazza! E non importa se ti aiutano, di consentono di dubitare, di fare marcia indietro, di alleggerire, di reagire prontamente, di confermare e di chiedere conferma di avere capito bene, di essere freddo, distaccato, scortese, e poi di riaprire al dialogo, di ironizzare, di ridere, di sussurrare… Non importa. Le telefonate sono indiscrete. [Chissà cosa penserebbe di Skype, Jérôme Carceville, che a volte ti dimentichi che di là ti stanno osservando e abbassi le difese, e sei più umano, e ti vedi nel riquadro e ti viene da ridire di quello che sei te, che sei assolutamente umanissimo, meno compìto del solito…]
La perdita di informazioni è considerata un vantaggio (dipende). Come se la scrittura non tradisse umori, sentimenti, provenienze, umori. Anche l’irreversibilità del messaggio sembra essere un atout da non sottovalutare. L’email ti consente di evitare interferenze, di trasformarti, di oltrepassare te stesso. Siamo oltre il solipsimo.
Tra le email inviate senza cura (che dicono moltissimo di noi) e le email ipercontrollate (che altrettanto dicono di noi), mi sembra importante segnalare che in ogni caso le email ci comunicano. E forse conviene esserne consapevoli, quel tanto almeno che ci consente di decidere quale registro relazionale provare a tenere: amichevole, informale, formale, istituzionale…
Che le email siano uno strumento efficace per comunicare lo prova l’ingente quantità di email che circolano, che riceviamo e che spediamo.
Ma… c’è un ma.
Le email non sono il mezzo ideale per tutte le comunicazioni:
Ci sono questioni che vanno trattate per email, ci sono questioni che è meglio spostare su un canale maggiormente interattivo, che consente maggiore simultaneità di messaggi, più versatile, anche se meno tracciabile. Ultimamente poi, in ambito professionale, trovo utile la sinergia tra telefonate, video e messaggistica offerta da Skype, un mezzo che consente di stare in contatto visivo, vocale e di scrivere.
Anche se poi, le telefonate ti danno l’opportunità di fare altro mentre tratti questioni anche abbastanza importanti…
Non so… per parte mia non mi sento per nulla in sintonia con il manager Jérôme Carceville.
E voi?
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d’accordissimo anche io.
hanno un vantaggio nei conflitti però…quando non siamo in grado di sostenerli di persona, per email sono “tollerabili”
Sì, hai ragione, sono tollerabili nel senso di… ‘iniziabili’ e ‘replicabili’ (nel senso che si può rispondere).
Quello che noto è che possono essere dirompenti, propagabili, e perduranti in un modo tracciato e pubblico.
Poi, volendo trovare un lato utile dei conflitti via email, a volte la rilettura delle email e la socializzazione consente molteplici interpretazioni.
Forse il conflitto scritto in qualche modo se conserva la sua carica dirompente è anche però perimetrato dalla scrittura.
Forse;-)
Io invece trovo estenuante confliggere via mail. Ogni tanto ci ricasco nella trappola di confliggere via mail, ma sempre meno, sto imparando
Da un lato, l’uso della mail apre spazio al fraintendimento perché la parola scissa dal corpo richiede tecnica e abilità per arrivare nel punto dove voleva arrivare. D’altra parte, ci si nasconde dietro allo schermo e alla reazione differita: il conflitto viene stemperato cioò rimosso.
Se dici conflitto dici – forse – anche aggressività. Per me è più facile gestirla nel rapporto diretto, dove l’espressione dell’aggresività può essere verificata nel suo impatto corporeo con l’altro.
Cioè sono le sue stesse reazioni a permettermi di contenerla. Se non vedo l’altro, se non guardo i suoi occhi, le sue spalle, le sue labbra, la sua fronte, se non è di fronte a me mentre confliggiamo, non posso toccare gli effetti della mia aggressività e con ciò essa diventa prevaricatrice.
Questo nel mio vissuto, che sarà senz’altro relativo
sono del tutto d’accordo con te! Le mail sono comode per un sacco di cose, ma diventano un ostacolo (e a volte un comodo schermo) quando si tratta di “relazione”