I tour operator, le agenzie di viaggio e i centri benessere lo chiamano Baby Moon. Pare sia l’ultima moda del turismo in famiglia. Quando mancano pochi mesi alla nascita, gli aspiranti genitori si concedono, con tutto il pancione, una vacanza in pieno stile luna di miele (da cui l’evidente richiamo al termine Moon), all’insegna del relax e del benessere “per due”.
Fin qui una trovata commerciale come tante. Ma – da papà che quando si avvicinano le vacanze veste i panni del tour operator familiare – sono le motivazioni inventate dal marketing vacanziero che meritano un’analisi. In sostanza una Baby Moon è il momento in cui i genitori si concedono l’ultima vacanza prima di cambiare vita, o meglio, prima che il bambino in arrivo cambi tutte le loro abitudini e li costringa a sicuri e lunghissimi periodi di noiosa vita casalinga fra pannolini, strilli e biberon di camomilla da somministrare nel pieno di notti insonni.
Secondo il marketing del Baby Moon chi si appresta a diventare genitore sarebbe vittima di un nuovo sintomo della sindrome di Peter Pan, dopo averci già fatto i conti alle feste di addio a celibato e nubilato, nonché alle feste di compleanno dei 30, dei 35 o dei 40 a seconda dell’approccio individuale al concetto di “maturità”. Una ricaduta che colpirebbe un altro passaggio radicale nelle abitudini di vita, o meglio (almeno per me lo è stato) il passaggio radicale per eccellenza. Non serve essere esperti di marketing per constatare che solo con l’arrivo un figlio ci si rende conto che 35 anni o un matrimonio non erano poi un gran cambiamento, se non per l’organizzare prima la propria vita adulta e poi cercare di farla collimare il più possibile con l’organizzazione di una vita adulta altrui.
Confrontarsi tutti i giorni con una vita neonata, poi bambina e poi adolescente non è solo sconvolgere i tuoi ritmi in funzione di quella vita, ma è cominciare a osservare ogni particolare del mondo con occhi che prima non sapevi neppure di avere.
Ora, ecco la domanda: perché di tutto questo bisognerebbe provare un terrore tale da doverlo annegare in una vacanza intesa come una specie di ultima spiaggia della libertà?
Cresco 3 bambini da quasi 12 anni e li ho portati in Puglia, in giro per la Francia, in Toscana e in Cornovaglia, con automobili stracariche di passeggini, biberon e fasciatoi, che piano piano hanno lasciato il posto a più contenuti giocattoli e poi a minuscoli videogiochi e lettori mp3. E durante queste vacanze ho visto genitori tedeschi, svizzeri, francesi, olandesi portare con loro truppe di bambini anche più numerose della mia, con tutto l’approvvigionamento al seguito, perfino a bordo di aerei e treni.
Non solo: insieme ai miei figli ho cambiato anche la mia idea di vacanza. Ho imparato a organizzarmi i viaggi aumentando la ricerca di opportunità e di luoghi da visitare, allo scopo di creare motivi per cui la vacanza sia interessante anche per loro e motivi per i quali essi ritengano divertente venire in vacanza con me. Ho imparato a essere più attento e scrupoloso nella ricerca della qualità a prezzi contenuti. Così in Cornovaglia abbiamo visitato castelli antichi come il Seal Sanctuary e le fattorie didattiche; in Francia alcuni musei e dimore storiche come il parco divertimenti di Vulcania.
In altre parole, da quando organizzo vacanze da papà, consultando guide, siti internet e forum per tutto l’inverno, mi sento più il tour operator di un gruppo variegato del quale conciliare aspettative che non un turista alla ricerca di un po’ di facile e dispendioso relax, alla moda dei “Baby Mooners”.
E alla fine sono arrivato a una conclusione, che forse non farebbe piacere agli esperti del Baby Moon. La vacanza con i bambini, organizzata anche per loro, mi restituisce molto di più che passare una settimana in una spa a recriminare con mia moglie quanto sia bella la vita senza quegli esserini, che i soliti luoghi comuni di cui si alimenta certe volte il marketing ritengono dei rompiscatole molto poco trendy che, piangendo anche di notte e sporcando ovunque nei momenti meno opportuni, ti fanno guardare con le lacrime della nostalgia agli happy hour e al vivere social.
.
Diego Fasano
Giornalista per necessità, comunicatore pubblico per dovere d’ufficio, scrittore per vocazione, maratoneta per passione e per filosofia. Papà dal 2000 fino alla fine dei suoi giorni. Dopo avere scritto sceneggiature per Topolino, un romanzo e alcuni racconti si occupa di comunicazione e di relazioni con i media in enti locali. Ha aperto da poco una cucina virtuale, in cui mischia gli ingredienti di una Zuppa Marziana.
Recent Comments