Eccoci al quinto post della serie Unizombie 1-7 (U1,U2,U3, U4) , in cui vi dirò brevemente di come noi studenti abbiamo scelto e utilizzato strumenti diversi per portare avanti le ricerche conoscitive previste nel corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni 2012 (Laurea magistrale in Psicologia dei Processi Decisionali e dei Comportamenti Economici, Facoltà di Psicologia dell’Università Bicocca di Milano).
“Ideogrammi”, immagine tratta da: Giorgio Raimondo Cardona, “Storia universale della scrittura”, Mondadori, 1986, p. 45.
L’obiettivo generico propostoci in avvio del corso: “sviluppare una ricerca sul campo per conoscere un’organizzazione” ha suscitato, oltre ad un iniziale spaesamento (non siamo abituati a tutta questa libertà e aspecificità!), soluzioni diverse in ogni gruppo, soluzioni pensate in relazione ai propri obiettivi, all’organizzazione scelta e ai metodi individuati per conoscerla.
Vediamo di seguito gli strumenti utilizzati in fase di ricerca: quelli utilizzati più diffusamente e quelli utilizzati da singoli gruppi, i motivi delle scelte, problemi legati ad alcuni strumenti e i loro vantaggi, e le riflessioni che hanno generato.
Credo che, per quanto riguarda le attività di ricerca, l’uso di strumenti tecnologici sia stato estremamente scontato. Una volta identificata l’organizzazione, è stata immediata la ricerca del sito internet: più gruppi dichiarano di esservi ricorsi come prima fonte di informazioni, abituati forse, come zombie(?), a concepire la rete come una biblioteca, fonte di informazioni di cui siamo solo fruitori (o forse no?).
Nel mio gruppo, in particolare, ricordo la delusione unanime provata nello scoprire che non c’era un sito internet della ‘nostra organizzazione’. Come fare poi per le interviste? Prendiamo un registratore, usiamo il telefono cellulare, scarichiamo un’applicazione sullo smartphone? Alcuni gruppi hanno utilizzato una macchina fotografica digitale, per riportare agli altri colleghi immagini, racconti, sensazioni… C’è poi Dropbox, già descritto nel post U4, utile per condividere il materiale raccolto, comodo e raggiungibile, consente di modificare file pesanti e ri-condividerli con gli altri (siamo già entrati nel web 2.0? E con lo smartphone siamo già degli zombie evoluti, consapevoli dell’ubiquità della rete e delle sue potenzialità?).
Altri strumenti usati da singoli gruppi sono stati Google Docs (che consente la scrittura a più mani, a distanza, di un documento), Survey Monkey (consente la creazione, anche gratuitamente, di questionari online), T-Lab (software utilizzato per l’elaborazione dei dati raccolti con il questionario), in un gruppo è stata usata una telecamera per filmare un focus-group, e pressoché tutti i gruppi di ricerca si sono serviti del gruppo chiuso di Facebook, che consente di condividere foto, documenti, idee e di rilanciare.
Molto semplicemente, si è ricorsi a tecnologie conosciute, che sono state proposte e velocemente accettate, a volte con qualche riserva, in parte motivata dalla differente padronanza, in parte da effetti non sempre desiderabili: ad esempio Dropbox, ottimo strumento per la condivisione di molti file e cartelle, sdoppia i documenti se li si modifica contemporaneamente da pc diversi. Resta comunque un programma che, gratuitamente, permette di archiviare, modificare e recuperare molti dati da qualsiasi pc, sfruttando la connessione internet.
La scelta di dispositivi tecnologici di ricerca, mi pare si sia basata principalmente sulle metodologie scelte per sviluppare le attività di ricerca sul campo: chi doveva costruire un questionario ha cercato strumenti funzionali a quello scopo, così come chi ha preferito le interviste ha optato per un registratore o il telefono cellulare.
Quel che trovo interessante da riconsiderare è l’idea che usare tecnologie sia dato per scontato. Nessuno ha chiesto “Usiamo qualche strumento?”. Ci si è invece chiesti “Quali strumenti ci servono? Quali i più adatti al nostro lavoro? Quali vantaggi e rischi ci sono?”. Anche nella scelta di strumenti nuovi, sconosciuti, ho notato un adattamento e un apprendimento velocissimi, tanto che il ‘nuovo’ dispositivo è diventato ‘vecchio’ in breve tempo, e il suo uso è diventato scontato anche in altri corsi o per scopi personali.
Durante il corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni c’è stata una sorta di immersione, inevitabile (forse?) nel web. Sensazione che, discutendo con altri colleghi, mi pare legata all’utilizzo di tecnologie per la gestione del lavoro di gruppo: per quanto riguarda lo specifico lavoro di ricerca, più colleghi mi hanno confermato che l’uso di tecnologie era dato per scontato. Si può davvero pensare che oggi si possano ignorare gran parte degli strumenti e delle potenzialità del web?
Avremmo lavorato allo stesso modo qualche anno fa? Credo di no: spesso la sensazione è di essere immersi in un sistema che, se rifiutato, ti taglia fuori. Come dice Stefano Ferrinda nel post 4, diamo per scontata la conoscenza di alcune tecnologie, difatti ci stupiamo se qualcuno non ne faccia uso. Credo sia soprattutto una rivoluzione mentale: tendiamo, oggi, a dare per certa la nostra presenza sul web, una presenza attiva, di condivisione, scambio e co-costruzione di informazioni.
Le tecnologie hanno facilitato moltissimo il lavoro di ricerca, consentendo ad esempio di suddividere parti di lavoro o di integrarle a distanza. In molti però siamo convinti che non hanno sostituito il lavoro faccia a faccia: vedersi fisicamente è stato – più di una volta – necessario… o forse è stato necessario a noi, studenti-zombie in evoluzione? Se davvero in università si aggirano degli zombie, spero che si possano considerare almeno zombie in evoluzione… che cercano di uscire dalla loro triste condizione!
Una ‘piccola’ pecca: in più momenti del corso i gruppi, tutti, hanno attraversato periodi di forte chiusura. Questo ha portato ciascun gruppo a non condividere con gli altri le conoscenze che si andavano sviluppando, comprese quelle relative agli strumenti tecnologici. Da bravi studenti, continuiamo forse troppo spesso a confondere l’apprendimento con la valutazione e a pensare che la valutazione consista in una sorta di gara a chi fa meglio, implicitamente augurandoci che qualcuno faccia peggio. Come dice Stefano Ferrinda, i gruppi su facebook erano chiusi, privati o segreti, così da impedire agli altri di ‘spiare’… mandando un messaggio chiaro: “le conoscenze non si condividono”.
Post precedenti
Unizombie 1/7 – Comportamenti digitali e formazione
Unizombie 2/7 – Tecnologie digitali a Psicosociologia 2012
Unisombie 3/7 – Tecnologie digitali nella mente del docente
Unizombie 4/7 – Tecnologie per il lavoro di gruppo
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A differenza del gruppo di Federica…
il fatto di distribuire questionari online per noi dell’altra croce era stato considerato un potenziale problema. Pensando al volontario “medio” ritenevamo fosse più immediato prendere carta e penna e compilare direttamente in sede, magari durante un attimo di attesa. Per quel che ci riguarda abbiamo avuto un buon feedback attraverso questa modalità meno tecnologica.
Complimenti per il post!
Inizio a commentare dalla fine: sono perfettamente d’accordo sulla chiusura dei gruppi e sul fatto che la conoscenza non venisse condivisa se non in casi di necessità.
Per quanto riguarda noi “zombie” il nostro gruppo si trovava in una situazione particolare: ci era difficile incontrarci a lezione per diversi problemi (lavoro e altri impegni personali) ed era quasi impossibile trovare altri momenti per riunirci. Le tecnologie per noi sono state quindi una scelta obbligata, poichè erano l’unico modo per restare in contatto e ci hanno fatto compagnia per tutto il periodo di ricerca, anche nella scrittura del post , parte del quale è stato scritto da Londra!
http://appuntidilavoro.wordpress.com/2012/08/29/volevo-guidare-lambulanza-aspettative-motivazioni-e-coinvolgimento-in-unassociazione-di-volontariato-del-soccorso/
Anche la ricerca ci ha portato a preferire le tecnologie: volevamo somministrare un questionario ai volontari della nostra Croce ma la distribuzione e la raccolta sono risultati difficoltosi per diversi motivi, come il tempo di compilazione e il reperimento dei volontari in sede. Abbiamo quindi deciso di creare una versione on-line (su google docs) e di distribuirla via mail. L’idea si è rivelata vincente: abbiamo raccolta un numero maggiore di risposte con un maggior approfondimento dei temi permesso, forse, dall’anonimato garantito dal formato del questionario. In conclusione per il nostro gruppo le tecnologie sono state una scelta obbligata, che si è però rivelata sicuramente efficace.
Grazie Federica,
intanto ci voleva qualcuno che rompesse il ghiaccio e approfondisse portando la propria esperienza.
Quello che, in prima battuta mi colpisce, è notare che apparentemente si vive una comune esperienza: la frequenza al corso e l’attività di ricerca sul campo (in apparenza un tempo sincrono), poi però dalle esperienze di chi frequenta emerge che ciascuno/a ha una serie di impegni, vincoli, condizioni che limitano le intersezioni, facendo sì che la collaborazione debba passare nello spazio/tempo virtuale (ormai integrato).
Insomma ci si ritrova in università, si partecipa ad un certo numero di incontri (‘lezioni’) ma una porzione consistente del lavoro viene svolta in autonomia.
Questa modalità di lavoro mi ricorda molto le organizzazioni produttive.
Un saluto,
Graziano