Torno sulle email.
Con una micro nota che riguarda l’apertura e la chiusura delle email… e due accortezze per renderle efficaci.
Mi capita di essere preso in scambi di mail importanti. A tema questioni intricate. Alcuni degli interlocutori scrivono – travolti dall’urgenza – senza indicare nel testo il destinatario dell’email. “In che senso – direte – il destinatario è nell’intestazione e le altre persone sono in CC”. Vero. Ma una mail che non si apre con “Buon giorno Graziano”, Caro Graziano”, “Gentile Graziano Maino”, “Egregio dott. Maino” è un’email che non attiva la mia attenzione. Guardo e mi chiedo: “Tu che scrivi a chi ti stai rivolgendo?”.
Lasciamo perdere poi le situazioni in cui chi scrive non distingue tra destinatario (campo A) e altri coinvolti per conoscenza (campo CC). Se lo scrivente mette tutti gli indirizzi email nel campo destinatari, e non apre l’email nominando a chi è il suo interlocutore, è necessario rileggere l’email per capire a chi – chi scrive – intende parlare.
Di qui una preghiera: per favore quando (mi) scrivete un’email non omettete l’incipit di apertura.
Non è (solo) un fatto stilistico.
Non è (solo) questione di sintonizzarsi.
Non è (solo) sensibilità relazionale.
È (anche) un’accortezza comunicativa.
Nominare la persona a cui ci si rivolge serve a richiamare la sua attenzione: “Egregio dott. Maino” [guardi che scrivo a lei, proprio a lei!]; “Cari Orsola Ghilotti e Giovanni Cecini…” sto parlando a voi, proprio a voi [A voi!].
Per dirla con ‘tono normativo’: Ogni email che vuole essere efficace deve aprirsi nominando la persona (o le persone) alla quale/i ci si rivolge. [Trascuro qui la questione del saluto, dei titoli, dell’a-capo, dell’uso del nome e del cognome, del dare del ‘tu’ o del ‘lei’]. Quello che conta è chiamare la persona a cui si intende parlare, così che il testo che segue sia chiaramente riferito a quella persona [per me la regola vale sempre, anche quando il destinatario è uno solo. A maggior ragione quando i destinatari diretti – o coinvolti per conoscenza – sono più d’uno].
Accade anche che chi scrive ometta la firma.
Ok, sei di corsa, suona il telefono, stai facendo più cose in una volta… Ma perché non chiudere con il saluto e la firma. Dell’importanza del saluto nelle email ho già detto, altro ci sarebbe da aggiungere, ma non adesso. Adesso, qui, avanzo la seconda preghiera: per favore firmate le email che (mi) mandate. Il nome o il nome e il cognome. [Per quel che mi riguarda non userei le sigle, ma non affronto l’argomento].
Un secondo aspetto che conta, che voglio rimarcare è che la firma non va confusa con il biglietto da visita (essenziale, utilissimo, in particolare se riporta numeri di telefono e indirizzo). Ma il biglietto da visita non è la firma (anche se alcuni programmi di posta elettronica su questo punto farfugliano).
La firma è la firma.
Sono io che proferisco il mio nome, che lo appongo in calce a quello che ho detto/scritto.
Sono io, sei tu, è lei che dice: “Queste sono le mie parole”, “Questo è quello che io ti sto dicendo io”.
La firma è importante.
Chiude il testo.
Mette il punto fermo.
Dice “Io ho finito. Adesso la parola passa a te”.
Per dirla con ‘tono normativo’: Ogni email che intende essere efficace si deve chiudere con il nome di chi ha preso parola e ha scritto (firma). [Trascuro la questione delle formule di chiusura costruite per agganciare e rilanciare, non parlo dei saluti, non tratto la questione dell’uso del nome e del cognome e del titolo]. Quello che conta è che l’email si chiuda con il nome di chi ha scritto: la sua forza comunicativa cambia. E l’effetto attenzione è assicurato [fate la prova se non ci credete].
Magari anche a voi avete visto il film Hunger Games… i livelli di fruizione possono essere diversi, in fondo è una (godibile) americanata. Un mito, sempre lo stesso, il bene contro il male, il dominio contro la libertà, pochi che hanno molto contro molti che hanno poco, giovani sacrificati per tutti (cfr. Franco Fornari, Psicoanalisi della guerra, Feltrinelli, 1970). [O, anche, un film che parla delle donne in modo non usuale… farei un confronto con Mulan, ad esempio…].
Ma adesso, qui, quello voglio dire è che quando incocchi la freccia – che tu non abbia tempo o che tu possa tendere l’arco con un respiro paziente – quello che conta è prendere la mira: d’istinto, o con ponderazione.
Mirare.
E poi scoccare.
Vero, Vittorio.
I bordi alle parole li danno le persone.
Ciao,
Graziano;-)
nome in cima, nome in fondo, bordi per non far sfuggire le parole.
vittorio