I passaggi dinastici ai vertici delle ‘imprese-icone’ italiane vengono spesso (e pubblicamente) narrati come tortuosi e conflittuali.
Questo post nasce prendendo spunto da un articolo apparso sul Corriere della Sera di mercoledì 07 novembre 2012. L’articolo dal titolo “Il conte Pietro e la saga dei Marzotto «Famiglia frantumata dagli errori»” a firma di Luciano Ferraro è assolutamente godibile, ma questo potrebbe essere solo il primo livello di lettura (il piacere del gossip che riguarda i ‘potenti’). Quello che cercherò di fare è invece un ‘lavoro esegetico’, collocabile in un qualche luogo mediano tra l’analisi del testo che ci riporta all’esame dei brani antologici dei primi anni delle superiori e una pratica sociale consistente nel confronto critico-riflessivo sulle vicende pubbliche (a partire da un articolo considerato un documento di sintesi intenzionale e orientato).
A proposito di trame, tanto vale svelare l’obiettivo del presente post che si muove sul registro di una curiosità: è possibile attingere dai racconti di successioni in imprese di famiglia e cavarci spunti per ragionare di… enti pubblici e imprese sociali? È un passo non semplice, le narrazioni in campo pubblico o sociale sembrano essere meno frequenti, e le differenze spesso sottolineate (ma non comprovate), finendo per prevalere sulla possibilità di trovare corrispondenze. Sarà proprio così? C’è qualcosa che possiamo considerare? C’è qualcosa di utile per ragionare? E qualcosa da apprendere?
Quali parole risaltano nell’articolo? Quali meglio coagulano gli elementi che caratterizzano la travagliata successione e ne marcano gli elementi salienti? Ne propongo alcune. Non sono le sole: di rimandi semantici l’articolo è più che ricco.
È un nome conosciuto: abbigliamento e imprenditorialità del nord-est, un marchio che ha evocato (e forse ancora evoca) qualità, innovazione, propulsione, espansione (ad un certo punto si nominano i marchi della galassia Marzotto: Bassetti, Lanerossi, Hugo Boss, Valentino).
Saga è la seconda parola che compare nel titolo principale dell’articolo. La saga della famiglia Marzotto. Un fondatore, sette figli, ventiquattro nipoti, settanta pronipoti, e ci saranno i loro figli e i figli dei loro figli. Saga ci rimanda l’idea di condottieri e di battaglie, di scontri fra clan, scontri che volgono ora a vantaggio degli uni, ora a vantaggio degli altri. In ogni caso vicende segnate dallo scorrere del tempo e dai conflitti.
L’ex capo dell’azienda, il ‘conte’ Pietro Marzotto, settantacinquenne, ultimo di sette fratelli, estromesso nel 2004 dalla azienda di famiglia che dirigeva dal 1972, attraverso l’intervista parla di sé, della sua famiglia, e del glorioso marchio Marzotto. Si presenta come imprenditore ancora attivo, dice di essere stato un uomo d’azienda, un risanatore, un negoziatore. Un condottiero che, dopo la defenestrazione, non si è dato per vinto, e che oggi vorrebbe dare di sé l’immagine di un uomo saggio che ha superato il trauma e racconta un nuovo progetto di impresa, l’ultima (la più recente) avventura imprenditoriale.
Nei discorsi riguardo ai processi successori accade di ragionare intorno alle prospettive per i leader uscenti. E a volte si sostiene che non si possono cambiare le figure ai vertici delle imprese perché non vi sarebbero per loro sbocchi. Pietro Marzotto risponde a questa obiezione mostrandosi leader proprio perché è stato capace di lasciare e costruire nuovi progetti e di non finire imprigionato in quelli nei quali si è impegnato (anche se è palese che il disappunto e la nostalgia non sembrano essere stati elaborati).
“Mi cacciarono”. “Nel 2004 sono stato buttato fuori”. Pietro Marzotto “Ha tagliato i ponti” e oggi è in “esilio”. Le espressioni dicono come gli avvicendamenti possono essere conflittuali e traumatici, lasciare ferite e amarezza: all’espulsione corrispondono separazioni e fratture non sanabili. Eppure quella che sembra essere distanza (Marzotto abita in una tenuta isolata) ed evitamento (ora ha una piccola famiglia), dalle parole, dai toni, dall’intensità del racconto è piuttosto una esperienza attuale e presente (non superata).
Nell’avvicendamento per come ci viene raccontato dall’articolo ci sono leader (e fazioni) che perdono, e fazioni (e leader?) che vincono, tutti appartenenti alla stessa famiglia allargata (frantumata). Ma ciò che colpisce è la galleria di personaggi che entrano in gioco (che vengono nominati). Una rapida rassegna e poi un’impressione. Il ‘conte’ Pietro Marzotto, protagonista dell’articolo e della saga, il di lui figlio Pier Leone che assiste all’intervista e che è il successore nella conduzione della nuova sfida imprenditoriale – la gastronomia Peck. I nove nipoti indagati, dai quali Pietro Marzotto prende le distanze. I “professionisti di primo piano” chiamati a facilitare una transizione che poi non si rivelò né morbida né professionale ma contrastata e dirompente. E ancora i manager che non accettarono la supervisione nella fase di transizione verso un nuovo assetto del gruppo. E in particolare gli amministratori delegati: valenti – quelli rifiutati. inetti o privi di scrupoli – quelli alla fine scelti dalla fazione vincente. Sullo sfondo i riferimenti politici. E poi il padre fondatore dell’azienda, i sette fratelli, i ventiquattro figli dei sette fratelli e i settanta nipoti: quella che Pietro Marzotto avrebbe voluto fosse una “Family Public Company”. E gli undicimila dipendenti che il Gruppo Marzotto impiegava sul finire degli anni ’80, all’apice del successo.
Un processo successorio affollato, che lascia intravedere la complessità dei ruoli e degli interessi.
Quali processi vengono rappresentati? Nella brevità rapsodica dell’articolo, emergono più spezzoni che rimandano a dinamiche lasciate implicite, solo accennate, introdotte per essere rapidamente riprese. Le vicende successorie investono un gruppo imprenditoriale internazionale sul finire degli anni ’90. Pietro Marzotto avrebbe voluto una transizione alle nuove generazioni guidato (e trasformativa dell’assetto della governance), armonica grazie al sostegno di consulenti di primo piano, con una devoluzione delle responsabilità ai manager, con un affiancamento del leader uscente (lui) sufficientemente condiviso (per parte sua assicura di avere agito con discrezione e misura nei confronti dei nuovi amministratori). Ma l’avvicendamento avviene in corsa, mentre il gruppo internazionale procede con strategie di investimenti, di trasformazioni e ampliamenti. Strategie non condivide dai diversi componenti della famiglia che non trovano l’accordo e ciò riverbera sul processo di transizione dei poteri. Si comprende che il tentativo di costruire una Family Public Company (tentativo fallito) mirava a mettere l’impresa al riparo dalle lotte intestine e dalla disgregazione (di cui i fatti di evasione sono un esito e un sintomo?). L’idea di Pietro Marzotto (si intuisce) era di passare il gruppo nelle mani di figure manageriali competenti e affidabili, così che i famigliari non occupassero posti di vertice, ma operassero in qualità di azionisti nel definire le macro strategie. Pare di comprendere dall’articolo che il disegno mirasse a non scatenare i contrasti introducendo dei tecnici reggitori in assenza di leader carismatici. Ma il disegno prefigurato da Pietro Marzotto è fallito e quel che rimane sono le profonde fratture, processi centrifughi, e una progressiva perdita di immagine e di reputazione. Un disegno prefigurato e perseguito: non semplicemente proposto.
Dal confronto con alcuni colleghi/e con i quali ho avuto modo di discutere l’articolo sono emerse alcuni spunti che riprendo.
I media non raccontano semplicemente gli eventi – lo sappiamo – piuttosto contribuiscono a costruirli (e a costruire l’immaginario collettivo – il mondo comune – nel quale viviamo).
Come mai compare, in un mercoledì di inizio novembre dai bellissimi colori autunnali, un articolo sulla dinasty della famiglia Marzotto? Le ipotesi che mi sono venute in mente sono diverse:
Quello che resta, al di là delle domande per le quali non ho elementi per indicare una risposta, è il ruolo della stampa e dei media. E volendoci spostare a livelli meno metropolitani per guardare al contado, credo che una ricerca sulla narrazione di saghe famigliari, di avvicendamenti in cooperative, in imprese a controllo pubblico, in enti pubblici, forse potrebbe venire condotta… per indagare come si raccontano gli avvicendamenti, come li si problematizza, con quali elementi vengono considerati e quali questioni trattate pubblicamente.
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partire da saghe, conti, lotte di famiglia, moltitudini ed intrecci parentali, vestiti che ‘hanno fatto l’italia, trasformazione dell’economica familiarista italiana, ecc….ecc….e poi finire dal salumiere, per un costosissimo panino.
occhio a non ungerti il risvolto della giacca!!
vittorio