Giorno di esami in Unimib.
Bevendo un caffè al bar dell’U6, ho colto al volo la conversazione tra due prof.
Il ragionamento verteva sulla conduzione degli esami.
Il primo sosteneva che il modo più agevole è disporre libri sulla cattedra davanti allo studente. Prenderne uno e fare una domanda di avvio. Se lo studente risponde e dà prova di sapere, allora si passa a un altro libro. Se lo studente tentenna, allora si va in profondità con una sequenza di domande per sondare la preparazione effettiva. E poi, se è il caso, si passa al libro successivo.
[La battuta di sintesi è stata: “Bisogna trapanare dove il dente duole!”]
Il secondo avanzava un’altra teoria. L’esame andrebbe condotto su un canovaccio di domande. Per ogni testo si dovrebbe fare una domanda per sondare la comprensione dei contenuti. E un paio di domande per verificare la completezza dello studio, ad esempio chiedere un particolare, un esempio utilizzato, un riferimento. Di fatto due domande per ogni testo, poi ci dovrebbe essere una domanda conclusiva volta a sondare la capacità di elaborazione e di sintesi.
[La battuta di sintesi è stata: “Si deve avere ritmo televisivo. Spiegare prima le regole del gioco. Deve essere un crescendo con la giusta suspance sulla domanda finale… quando si chiede allo studente di ricomporre i pezzi del puzzle!”]
Naturalmente, nello scambio, i punti di vista non avevano alcuna connotazione di genere.
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In effetti il tema è spinoso! Nella mia espereinza di “studente-esperto” (non foss’altro che per collocazione d’età) ho avuto due ani fa un’espereinza molto interessante. Al termine di un esame fatto subito dopo un collega con cui studiavo e di cui conoscevo la preparazione ho discusso con la docente il voto che mi proponeva, ma contrariamente a quanto credo succeda di solito, la mia richiesta non era di alzare il voto ma di abbassarlo per renderlo più equo rispetto all’esito del collega che mi aveva preceduto. La prima reazione della docente è stata di sorpresa e leggero disorientamenteo (in cui a quel punto versavo anche io, essendomi resa conto diq uanto stavo realmente facendo.. un po’ ai confini della relatà); dopo essersi rapidamente ripresa, mi ha dato una risposta di cui ancor oggi apprezzo la lucidità. Mi ha spiegato che quello che lei poteva valutare era la “prestazione” dei 20 minuti d’esame e non poteva ambire alla valutazione del sapere. Poteva essere che lei avesse fatto a me domande sugli argomenti in cui ero più ferrata e al mio collega, esattamete il contrario. E che aprendo in questo modo i due percorsi d’esame attivavamo atmosfere e sollecitazioni molto diverse. MI ha anche spiegato che nella prestazione rientravano elementi quali il linguaggio, la capacità di fare collegamenti per i quali in realtà io attingevo alla mia esperienza professionale e non solo allo “studio” dei testi prescritti. Mi ha colpito l’assunzione del contesto di parzialità e di complessità che questa docente (molto giovane) aveva, a mio parere atteggiamento più realistico dell’infallibilità “dentistica” dello scambio dei due docenti al bar. Inoltre mi piacerebbe fare un piccolo sondaggio dello spirito con cui si va dal dentista a farsi trapanare il dente che duole (e poi chi l’ha detto che duole e che io dal dentista non vada per un controllo di routine il cui esito potrebbe essere: vedo che cura la sua igiene dentale, se continui così; eventualemtne potrebbe anche avere migliori risultati se cambia lo spazzolino… ci rivediamo al prossimo appuntamento). :-)