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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Ripubblico qui un post di Anna Omodei, scritto in occasione di un percorso formativo sul tema degli avvicendamenti realizzato nella primavera del 2012. Obiettivo del post era richiamare l’attenzione sugli aspetti di pianificazione dei processi successori e sulle dimensioni emotive che li accompagnano e che – nel caso dell’elezione del Papa – sono considerati al punto da prevedere un luogo dove potersi esprimere.

Appunti di lavoro

Per comprendere come gli avvicendamenti vengano tematizzati e gestiti, nel laboratorio di ricerca in atto, abbiamo ritenuto opportuno osservare il fenomeno in diverse tipologie organizzative comprendendo anche l’ambito religioso. Nel contributo “Come trattare il delicato tema degli avvicendamenti” abbiamo già visto come un Istituto Religioso istituzionalizzi la modalità di passaggio del gruppo di donne ai vertici.
Quali spunti si possono trarre guardando all’avvicendamento apicale di un’organizzazione così complessa qual è la Chiesa? E ai livelli intermedi non osserviamo forse un avvicendarsi di parroci e curati?
Lasciando il tema degli avvicendamenti intermedi per un’altra occasione di approfondimento, vorrei qui riflettere in particolare su una delle successioni alla quale tutti noi, credenti e non (in modo più o meno coinvolto), siamo stati recentemente spettatori. D’altro canto anche il detto popolare ci suggerisce che: alla morte di un papa, se ne fa un altro. O no?

Propongo alcune considerazioni sull’avvicendamento papale.

  1. La Chiesa…

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One comment on “

  1. Anonymous
    14 February 2013

    a proposito di cambi generazionali:
    Volevo condividere la mia esperienza di percorso fatta come consulente in una cooperativa sociale di servizi, al fine di un confronto aperto con gli addetti ai lavori.
    Sono un CFO che ha sempre lavorato nel PROFIT, ma attratto dal mondo del sociale e delle cooperative. In particolare perché ritenevo fossero la via maestra e nuova per coniugare in modo concreto e vero la valorizzazione della risorsa umana con meritocrazia, obiettivi sociali e buona organizzazione del sistema azienda. lo credevo in quanto ritenevo e ritengo tutt’ora che non avere in via prioritaria scopi di lucro accompagnati all’allargamento della partecipazione attiva dei soci e aggregati dalle migliori pratiche di gestione ed organizzazione, mutuate dal profit, rendesse sufficientemente immuni queste organizzazioni dai mali che affliggono le imprese profit:
    – Scarsa attenzione al merito
    – Creazione di team sulla compiacenza al Leader più che sul merito
    – Il potere visto come assunzione di responsabilità e non come arma di ricatto ed usato ai fini di manipolare il sistema
    – Trasparenza nelle decisioni e progettualità chiara e programmata
    – Ecc. ecc.
    Ora dopo un percorso di due anni (i tempi nelle cooperative sono dilatati rispetto alle azioni nel profit), nel quale chiamato a dare un contributo per ottimizzare e dare più efficienza ed efficacia alla organizzazione tramite il controllo e sistema di gestione, devo trarre le seguenti considerazioni:
    a) Il passaggio “generazionale” che la fondatrice\presidente in un primo momento aveva dichiarato essere alla base della scelta di procedere con il percorso sopra descritto, rientra sulla sua decisione.
    b) Il CDA invece che riorganizzarsi, scegliendo le persone che propongano la direzione ed i progetti strategici, con deleghe ai componenti per le attuazioni, restringersi e riqualificarsi, è stato allargato non per competenza ma per\su difesa della posizione della presidente.
    c) L’organizzazione conseguentemente al ripensamento, ha acquisito posizioni di spacchettamento dei vari gruppi, avendo malumori non espressi e tacitati da una forma di leadership autoritaria e verticistica, con una vicepresidente accodata.
    d) Ma cosa più grave, a mio avviso da gestore, è la motivazione e la posizione strategica che mi è stata espressa a seguito di confronto\i avvenuto con la presidente, la quale esprime la chiusura a riccio a qualsiasi influsso esterno e dichiara di percorrere questo stile, essendo la cooperativa una cosa a se che antepone ai risultati ed alle regole di organizzazione la visione di un progetto politico, che rende la cooperativa uno strumento per raggiungere dei fini sociali non meglio definiti…
    Ora la cosa che mi sorprende maggiormente e per quanto mi è dato capire, è il pensiero che a questo punto caratterizza la cooperativa, la quale nei fatti assume tratti confessionali, fondamentalisti innestati in un ideologia politica più che di missione sociale.
    La domanda che mi faccio e sulla quale apro il confronto è:
    ma possono imprese sociali che hanno questo tipo di pensiero strategico e forme di leadership, che considerano il principio di Peter un must invece che una debolezza, che si chiudono a qualsiasi confronto o contaminazione con i mondi esterni , che in una vita non hanno mai prodotto allievi e nuove figure diventate mastre di nuove iniziative o di nuovi ruoli all’interno della organizzazione, essere i campioni o il futuro della cooperazione sociale ???

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