Nel tardo pomeriggio di giovedì 22 novembre 2012 ho partecipato alla presentazione del bilancio sociale della rete territoriale delle cooperative sestesi.
Sedici cooperative (una culturale, una banca di credito cooperativo, una di consumo, quattro di abitazione, tre sociali di tipo B, sei sociali di tipo A) che operano nel territorio di Sesto San Giovanni (Milano), hanno costituito un tavolo di lavoro per promuovere forme di collaborazione non predefinite. Per avviare la collaborazione hanno costruito – con la consulenza di Pierluca Borali – un bilancio sociale d’insieme.
E la presentazione del bilancio sociale territoriale è stata l’occasione per ragionare:
Naturalmente il confronto dagli strumenti si è esteso al senso e agli obiettivi che motivano la collaborazione: per quali risultati si è disposti a lavorare insieme?
[…]
In chiusura Davide Motto della cooperativa Lotta contro l’emarginazione ha posto un paio di questioni piuttosto delicate:
La domanda è intrigante. Da tempo mi interrogo sulla partecipazione a reti, sui network, mi capita di fare consulenza allo start-up di sistemi collaborativi (fra persone e fra organizzazioni).
Ci sono reti verticali (comandano i forti), reti dispersive (si perde tempo), reti omogenee (sì, ma…). Ci sono reti variegate e consapevoli (!). E ci sono reti inconsistenti (svagate).
L’espressione sembra una contraddizione in termini. Ma l’ho sentita usare nel corso di un seminario per descrivere forme di cooperazione tra imprese nelle quali l’elemento integrativo era una cooperativa più forte e strutturata, in grado di aggregare altre cooperative intorno a progetti di collaborazione più o meno stabili e di sostenere il carico dei processi di interazione e scambio fra soggetti diseguali. “Va da sé – sosteneva (con qualche ragione) il relatore – che il più grande comanda.
Pensandoci e considerando le esperienze recenti noto che ci sono almeno due tipi di reti verticali: quelle volontarie e quelle imposte/subite (più o meno consapevolmente. Un conto è aderire a un sodalizio nel quale i rapporti di forza sono oggetto di discussione, di assunzione di responsabilità (reciproche) e di valutazione. Altra cosa è venire aspirati in processi nei quali progressivamente o in modo discontinuo (che è peggio) si perde autonomia, capacità di interlocuzione, propositività e si finisce per diventare vassalli di un feudatario.
Più che reti sono armate brancaleone, animate da confusi e contrapposti ideali, roboanti progetti, tensioni escatologiche e tensioni fra i partner. Quello che rimane, dopo incontri, proclami, visioning, false partenze e ripensamenti sono giramenti di testa, temporanee perdite di equilibrio e la certezza di avere sprecato del tempo prezioso. Meglio evitare. E per la verità i segnali premonitori dell’inutilità dell’investimento sarebbero leggibili, a condizione di mitigare la forza dei contratti psicologici e di dedicare un certo tempo alla lettura dei desideri che ci fanno cadere in trappola. Una caratteristica – tutta da comprendere – è che, nonostante i limiti e i mancati risultati, queste reti hanno una loro persistenza nel tempo.
Le reti omogenee hanno una loro efficacia e qualche limite. Certo non basta versare nelle stesse condizioni, o avere la medesima natura giuridica perché le reti decollino e siano produttive. Noto però che un certo numero di caratteristiche non difformi aiutano a ritrovarsi e a cooperare. Sarà che è più facile intendersi, sarà che più facile riconoscersi, e che è più facile distinguere tra noi e gli altri… Chi si somiglia si piglia! Le reti omogenee (quando gli elementi comuni sono di valore), c’è un certo riconoscimento reciproco e la capacità di affidare i compiti di coordinamento (anche leggero) sono efficaci e non dispersive. Magari non c’è patos, magari prevale l’efficienza e la focalizzazione sugli obiettivi… ma in fondo, quello che conta sono i risultati. Le reti omogenee sono quelle nelle quali ci ritroviamo più facilmente (se ci sono omologie) e quelle che percepiamo come chiuse se prevalgono le differenze. Recentemente, complice la crisi, ho visto costituirsi reti degli ottimati, insofferenti ed espulsive (con argomentate ragioni dalla loro) rispetto ad organizzazioni persistentemente in difficoltà.
Gli aspetti interessanti di questa tipologia di reti sono (ovviamente) due: la varietà e la consapevolezza. Come qualità naturalmente non bastano a spingere ad aderirvi. Tuttavia la ricchezza di stimoli, di punti di vista, di esperienze, di connessioni e una certa consapevolezza di come si è e di dove si è, costituiscono due prerequisiti non da poco. Reti disomogenee e capaci di autoriflessione produrranno risultati attesi e di valore? Non è detto. Ma almeno si potranno apprezzare i contatti con opportunità sconosciute e una certa capacità di non paralizzarsi nel concetto stesso di rete. In genere poi queste reti sono abbastanza tolleranti, ironiche e capaci di apprezzare quel che si riesce a fare da risultare sostenibili e non eccessivamente ideologiche. (Provare per credere).
Esistono anche reti-simulacro, reti fantasma. Esistono solo nelle parole, nei racconti, nelle prefigurazioni, negli autoconvincimenti di chi vi fa parte. Sono reti fittizie (a qualche bisogno certo risponderanno), ma finiscono per essere evocate negli incontri di chi vi aderisce. Sono reti oblomoviane sul piano della produttività, reti onnivore sotto il profilo del consumo di risorse emotive, reti oniriche per la loro capacità di sognare sogni ipercinetici. Queste reti sono perniciose. (Le reti immaginarie non vanno confuse con le reti visionarie).
Ecco alcune delle reti che mi capita di incontrare (o nelle quali mi sono fatto… irretire). Naturalmente nulla di scientifico, nulla se non una risposta al volo a una domanda molto difficile. Tuttavia sul tema delle reti, della collaborazione e della cooperazione voglio tornare presto con un post che – da troppo tempo – è in cantiere.
Coughlan P, Coghlan D., Collaborative Strategic Improvement through Network Action Learning. The path to sustainability, Edward Elgar, 2011, p. 174.
Per un assaggio delle questioni affrontate si possono ripercorrere i tweet che giovedì 22 novembre 2012, nel corso dell’incontro, ho postato su @Mainograz. Qui, per comodità di lettura li ho riordinati dal primo all’ultimo.
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