Scrivere email distrattamente può provocare esiti infausti (non solo in università).
In sintesi:
– converrebbe evitare l’imperativo (non aiuta a costruire collaborazioni);
– meglio prediligere il condizionale attenuativo (lascia libertà di azione ai soggetti, favorendo così la possibilità di convergere);
– non trascurare le opportunità offerte dal congiuntivo (ricordandosi di controllarne l’appropriatezza, anche perché accade di sbagliare – e non è il massimo).
Le email imperative provocano reazioni di rigetto. Partire con l’intenzione di chiedere e finire con l’ordinare suscita un certo fastidio (e se la richiesta ultimativa viene reiterata, il fastidio evolve in antipatia, più difficile da recuperare).
Ma ciò che è più controproducente è l’impressione che chi utilizza un linguaggio impositivo abbia una scarsa consapevolezza degli effetti destrutturanti sulla possibilità di collaborare e di come ci si debba regolare nelle interazioni che ricercano interazioni produttive.
Buon giorno prof. [Cognome],
le chiedo quando intende pubblicare il programma d’esame, perché, capirà, per noi studenti è essenziale poter considerare cosa dobbiamo portare all’esame.
Attendo una sua risposta via email.
In alternativa potremmo sentirci al telefono. Posso chiamarla o se preferisce mi chiami lei al numero [nnn nnnnnnn].Distinti saluti
[Cognome Nome]
[Matricola]
Naturalmente la richiesta è legittima, la mail non è tra le più eccessive, certo ha un tono pressante. Nel rileggerla mi sembra che alla fine è il ‘capirà’ che stona, il resto forse potrebbe anche andare… Sì, forse anche la spiegazione generale potrebbe venire trasformata in una esigenza personale e le motivazioni urgenti si farebbero così più chiare. E anche la sollecitazione al contatto – via email o per telefono – è quasi ultimativa. Si potrebbe pensare a una qualche preoccupazione inespressa…
Questo è un esempio recente, di cui si potrebbe discutere.
L’imperativo non andrebbe usato. È il modo del comando, che non ammette insubordinazione e rende asimmetriche le relazioni. L’imperativo è tassativo, perentorio, costrittivo. Induce a replicare con la rivolta, il silenzio, il boicottaggio. E non aiuta in una email perché se non produce una reazione infastidita, produce un blocco.
A volte accade di vedere usato l’indicativo con valore imperativo velato (ma pur sempre ordinante). Ma ancora più insidiosi sono gli effetti controproducenti che scaturiscono dal tono imperativo e dall’uso inappropriato (fuori luogo o in funzione temperante) delle formule di cortesia. La cortesia di maniera uccide (perché è sottilmente categorica). Alle medie una supplente di musica che ci ha seguito per buona parte dell’ultimo anno riusciva immancabilmente a dire: Spartito, grazie!”. E noi, benché in travolgente dissonanza preadolescenziale, coglievamo la nota relazionale stonata.
Il condizionale è in modo verbale dell’incertezza. E l’incertezza è una risorsa: immagina senza invadenza, tituba ma suggerisce, esplicita evitando di imporre. Per questo nelle mail in cui si prova a formulare una richiesta, l’utilizzo del condizionale non introduce disimmetrie relazionali (non ci si deve abbassare per ottenere attenzione) e neppure si aggrappa al registro dell’ingiunzione. Il condizionale esita, fa un passo, ma piccolo, crea le condizioni perché ne possa corrispondere un altro, esprime un dubbio, implicando che proposta appena accennata andrebbe considerata. Si tratta di un espediente che apre uno “spazio reciproco indeterminato” e consente all’interlocutore di soppesare ciò che viene suggerito provocando così un avanzamento in direzione della valutazione.
Richard Sennett nel libro Insieme. Rituali, riti, politiche della collaborazione pubblicato da Feltrinelli nel 2012, suggerisce che il condizionale attenuativo costituisca un rituale conversazionale e ne considera in più occasioni il valore: nel paragrafo Lo scambio dialogico, nel paragrafo Urbanità professionale, e nel paragrafo Il lavoro con la resistenza, nel paragrafo Le procedure.
Il condizionale è il modo della diplomazia, la via dell’abilitazione, l’accortezza che consente agli interlocutori di non perdere le faccia. Il condizionale attenuativo è la forma verbale dell’esplorazione, dell’interazione, dello scambio simmetrico.
Il condizionale attenuativo trova il suo habitat naturale nel mondo dialogico, il mondo del discorso che crea uno spazio sociale aperto, in cui la discussione può imboccare direzioni impreviste.
[…]
Imparare a non volersi imporre è una disciplina che crea lo spazio per esplorare la vita altrui, e consente che l’altro, alla pari di noi, possa esplorare la nostra.
pp. 33-34
Richard Sennett, Insieme. Rituali, riti, politiche della collaborazione, Feltrinelli, 2012.
Nelle situazioni sociali il condizionale è il modo della possibilità che riconosce la presenza dell’altro e ne considera la soggettività.
Ragionando di interazioni non costrittive (via email o di persona) orientate a sviluppare un processo collaborativo si può anche considerare un paragrafo del manuale di Psicologia sociale di David G. Myers, pubblicato da McGraw-Hill nel 2009, in cui viene presentata una strategia di conciliazione dei conflitti denominata iniziativa graduale e reciproca di riduzione della tensione e proposta da C. E. Osgood. Si tratta di fare piccoli passi in direzione della conciliazione e di dichiararli, affermando la propria disponibiltà e invitando l’interlocutore a intraprendere un comportamento corrispondente. Non ci si arrende, ma si cerca un clima relazionale più disteso.
Quando una relazione è tesa e la comunicazione non esiste, talvolta basta un gesto conciliatorio – una risposta più dolce, un caldo sorriso, un tocco gentile – perché entrambe le parti comincino ad allentare la tensione a un grado che renda di nuovo possibile il contatto, la cooperazione e la comunicazione.
p. 521
David G. Myers, Psicologia sociale, McGraw-Hill, 2009.
E quando una relazione è indifferente, sarebbe il caso di evitare di introdurre tensioni. In questo il condizionale può essere d’aiuto.
Nella costruzione del post, per puro slittamento, ho trovato che grit è anche un termine che si riferisce a un tratto di personalità che si può tradurre con risolutezza (fermezza, decisione). Il punto di connessione (ma nasce solo per una casuale assonanza con il GRIT di cui ho parlato nel paragrafo precedente) è che le persone grit possono esserlo proprio grazie a un atteggiamento deciso ma aperto e chissà, possono attivare processi graduali di riduzione della tensione anche grazie all’uso intenzionale del condizionale attenuativo. Il che sarebbe come dire che per essere determinati non è necessario essere imperativi e ultimativi, ma si può essere maggiormente esplorativi e… strategici.
Il condizionale è il modo della cortesia e della possibilità: perché non esplorarne la gamma di tonalità?
I wish you were here. Il congiuntivo è un modo della speranza, della possibilità che desidera (Se potessimo vederci, se ne potrebbe parlare…). Il congiuntivo è il modo della congiunzione, delle cose fatte insieme, il modo che dice che c’è un vincolo prima e una possibilità dopo, e che la seconda dipende dal primo. Il congiuntivo apre.
Gentile prof. Cognome,
se ci si potesse incontrare, le mostrerei il lavoro di ricerca bibliografica realizzato e la traccia di intervista che avrei pensato di sottoporre…
Suona già un po’ diverso.
Tuttavia uno dei rischi del congiuntivo è sbagliarlo [Se ci potremmo incontrare…].
Sbagliare i congiuntivi è grave (ma non gravissimo), non tanto sul piano relazionale, quanto sul piano del controllo linguistico, anche se, dovendo scegliere, meglio sbagliare un congiuntivo che le modalità di entrata in relazione usando un imperativo.
Se è scrivere è organizzare (e disorganizzare a volte) forse conviene immaginarsi che con la scrittura si avviano rapporti, si attivano possibilità, si promuovono collaborazioni, si chiedono informazioni, si tengono contatti, si contengono invadenze, si gestiscono conflitti. Se scrivere è agire, allora la scelta dei modi intensifica l’azione e ne porta a compimento l’intenzionalità.
Qualche giorno fa ad un convegno, in un gruppo di lavoro sul passaggio dal mondo 2.0 al 3.0 un collega, gettando tutti nel più profondo sconforto disse “Le emails? Fra 5 anni non esisteranno più”. Chissà. La email è uno strumento di transizione, che conserva qualcosa delle vecchie lettere (http://www.youtube.com/watch?v=SzrEfkjdzgw) ma che anticipa alcuni degli aspetti della comunicazione virtuale, più ancora della chat che, in fondo trasferisce sul web le conversazioni. Invece, come si dice nel posto di Graziano, essa richiede competenze antiche, non si presta ai neolinguaggi, ma allo stesso tempo riduce a 0 i tempi della risposta. E’ riservata, ma facilmente messa in comune così come la si è ricevuta, scritta ma manipolabile, puoi allegare ad essa un contenuto o un collegamento, ma essa non si modifica, ogni “orpello” rimane stacato, non ne viene “contaminata”. Può darsi che fra 5 anni veramente non ci saranno più le email, mi chiedo come si renderanno le sfumature del discorso …. sempre che qualcuno sappia ancora cosa saranno congiuntivo e condizionale.
Ciao Stefano,
intanto grazie dei tuoi commenti (ho in mente di scrivere ancora qualcosa sul Papa).
Perché non ci racconti qualcosa in più sul passaggio dal 2.0 al 3.0 (se vuoi fare un post, sei il benvenuto), anche solo per punti, a grandi linee…
Una battuta: nella prospettiva sistemica se le informazioni sono differenze, le sfumature diventano metainformazioni;-)
Ti aspetto su Mainograz (o su Fai un salto!-))
Graziano
Recentemente ho scritto una mail ad un cliente nella quale lo avvisavo che la controparte, nonostante i numerosi solleciti sia scritti che telefonici non rispondeva, facendosi addirittura negare al telefono, pertanto ritenevo necessario iniziare una causa.
Il cliente mi ha risposto con una mail del seguente tenore:
“Gentile avv. XX
sicuramente vanno fatti almeno altri due solleciti,… solleciti che lascino una tracciabilità, per esempio via e-mail … i solleciti sono indispensabili, poi deciderò il da farsi.”
Il cliente si firma con l’iniziale del nome puntata e il cognome.
Dopo lo sconcerto, misto a sconforto, che ho provato mentre leggevo la mail (devo anche dire che almeno stavolta ha iniziato con un “Gentile”, in genere non c’era neppure il saluto iniziale e la firma si limitava alle iniziali del nome e del cognome puntati) mi sono chiesta quale ruolo ho assunto per il cliente.
Che tipo di mail è: imperativa, condizionale… Io non riesco a trovare una classificazione.
E quale risposta ad una mail di questo tenore?