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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

I molti modi del domandare #psicosociologia

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Ushikawa

Dell’accortezza nel domandare

Fare domande per raccogliere informazioni è in apparenza (solo in apparenza) un’attività banale.

Nel cercare di raccogliere le idee mi è venuto in mente uno dei passi conclusivi di Tutti gli uomini di Smiley di John Le Carré. Smiley conduce un magistrale interrogatorio, fa pochissime domande, induce l’interlocutore a cedere attraverso le pause e i silenzi. Ho cercato il brano e ho scoperto che era così lungo da non essere adatto a una citazione commentata.
Never mind.

Poi, mentre leggevo 1Q84. Libro 3 ottobre-dicembre di Murakami Haruki mi sono imbattuto in un altro abile investigatore, Ushikawa. Questa volta un personaggio ambiguo, un avvocato radiato dall’ordine, un uomo dall’aspetto fastidioso (se non ripugnante), un cercatore: privo di scrupoli, determinato e – a modo suo – riflessivo. Qualcosa si potrà imparare anche da soggetti (modelli?) non esattamente positivi, mi sono detto. Allora ho seguito Ushikawa nelle suo lavoro, e gli spunti non sembrano mancare. Ushikawa è sulle tracce dei due protagonisti del romanzo, Tengo e Aomame. Riesce a scoprire dove hanno fatto le scuole elementari. Viene ricevuto dalla vicedirettrice della scuola, alla quale sottopone una serie di domande.

Lei doveva aver ricevuto persone di ogni tipo, perché quando vide Ushikawa, il cui aspetto era tutt’altro che comune, non mostrò alcuna sorpresa. Ma forse si trattava di semplice educazione. La donna lo fece accomodare in un lindo salotto e lo invitò a sedersi.
[…]
– Mi diceva che sta facendo delle ricerche su uno studente diplomato da noi? – chiese la vicedirettrice.
– Ah, scusi, avrei dovuto darglielo prima, – rispose Ushikawa porgendo il suo biglietto da visita. Era lo stesso che aveva dato a Tengo, quello con la dicitura “Nuova Associazione Giapponese per lo sviluppo delle Scienze e delle Arti”. Ushikawa raccontò alla donna più o meno la stessa storia che aveva propinato a Tengo: Kawana Tengo, diplomato presso quella scuola, era stato selezionato, grazie alle sue qualità di scrittore, per l’assegnazione di una borsa di studio elargita dalla fondazione. Poiché aveva ottime chance di vincerla, stava svolgendo ricerche su di lui.
– È una bellissima notizia, – disse con un gran sorriso la donna.
– È un onore per la nostra scuola. Se c’è qualcosa in cui possiamo esservi d’aiuto, lo faremo con piacere.
– Mi sarebbe piaciuto parlare di Kawana con l’insegnante di allora, – disse Ushikawa. – È possibile?
– Mi informerò. Sono passati vent’anni, forse è già in pensione.
– La ringrazio, – disse Ushikawa. – E, sempre se è possibile, vorrei chiederle di controllare un’altra cosa per me.
– Di che si tratta?
– Nello stesso anno di Kawana era iscritta anche una certa Aomame Masami. Potrebbe verificare se i due bambini erano nella stessa classe?
La vicedirettrice fece una faccia un po’ perplessa.

pp. 125-126
Murakami Haruki ,1Q84. Libro 3 ottobre-dicembre, Einaudi, 2012 (2010)

Dalla letteratura si possono trarre diversi spunti. Anche dalle competenze di personaggi sinistri come Ushikawa. Trascuro le ragioni che portano Ushikawa a investigare ma chiarisco che un primo aspetto che fa la differenza sono appunto le intenzioni. Ushikawa inganna per motivi eticamente non condivisibili, ma dispone di una ipotesi consistente su cosa sta cercando. Ecco cosa il brano sollecita a me (dal negativo – proprio dal negativo – qualche spunto può essere colto):

  • Entrare in contatto e mettersi in risonanza con la persona che si intervista. Nel primo capoverso Ushikawa appare molto attento al momento del primo contatto con l’interlocutrice che lo riceve.
  • Presentarsi in modo da venire accettati. Ushikawa si presenta avendo cura di rendere comprensibile all’interlocutrice il suo lavoro per non spaventare né allarmare la vicedirettrice, ma per metterla a suo agio, evitando così reazioni di chiusura. Porge il suo biglietto da visita e motiva in modo plausibile la sua richiesta di colloquio: ha dunque a disposizione un oggetto (un testo scritto) che attesta la sua identità, consente un contatto mediato, e lascia una traccia di sé.
  • Avere un piano, avere in mente cosa si intende sondare. Ushikawa intende raccogliere informazioni delicate. Non sarà facile portare la conversazione su determinati argomenti. E quando prova a toccare i temi che non sono al centro del colloquio, lo fa sondando delicatamente la disponibilità della vicedirettrice a fornire le informazioni che cerca. Nel suo procedere Ushikawa non è meccanico, al contrario è decisamente accorto e prudente. Se non fosse per le cattive intenzioni, potremmo dire che Ushikawa negozia l’accesso al campo producendo una buona disponibilità all’apertura e alla collaborazione nell’interlocutrice che incontra.
  • Rimanere in contatto con quello che man mano accade. Ushikawa, come ho detto, non procede in modo automatico. Vaglia i feedback che riceve, si adatta alle reazioni che provoca, muta il suo andamento, rallenta, incalza, riprova, cerca un’altra strada, lasciando che le risposte che riceve guidino il successivo domandare e l’andamento dell’interazione.
  • Ciò che viene detto dalle persone che intervistiamo ci raggiunge più di quanto non immaginiamo. Anche l’intervistatore che stiamo osservando, nonostante sia un cercatore spietato, viene distratto dalle risposte che riceve, dalla relazione effimera, ma significativa, che va sviluppandosi. Ciò che ascolta bussa alla sua memoria e alla sua coscienza, le parole che ascolta si insinuano, gli forniscono informazioni sulla ricerca che conduce, e forniscono a Ushikawa informazioni su se stesso. In quanto intervistatori siamo esposti al nostro domandare.

Domandare è affermare

Fare domande è una opportunità per avvicinare situazioni bloccate, per sovvertire i punti di vista, per esplicitare le proprie ipotesi: per quanto la domanda sia una richiesta generica, per quanto si rimanga vaghi, domandare è sempre affermare (e quindi questo affermare è un atto analizzabile).

Il sapere rispetto alla domanda appartiene comunque al soggetto ed è proprio questo che conferisce al concetto di domanda il suo valore euristico.
In effetti, è la domanda che orienta il lavoro di problematizzazione del professionista nei confronti del soggetto: è la domanda che gli permette di cogliere informazioni sul punto di vista del soggetto ed è questo che gli consente di proporre, rischiando, una propria parola, una propria ipotesi.

p. 353
Christian Michelot, “Domanda”, in Jacqueline Barus-Michel, Eugène Enriquez, André Lévy Dizionario di Psicosociologia, Cortina, 2005 (2002), pp. 352-356.

Per costruire le domande è necessario porsi alcune questioni: Chi domanda? Qual è l’oggetto o la questione che viene indagata? Come viene formulata la domanda? A quali interlocutori è posta? Per quali ragioni?
Domandare non attiva nell’interlocutore una semplice adesione alla richiesta, ma piuttosto un’attività cognitiva ed emotiva. Per questo la domanda non è un’azione che produce una reazione prona e immediata, ma semmai un’attivazione riflessiva (seppure a volte distratta e fugace). Domandare è affermare perché l’interlocutore tratta la domanda come varco e non come istradamento.

Domandare in molti modi

La ricerca attiva proposta da Schein (2001) si basa sul formulare domande. E’ un processo attraverso il quale – nella fase iniziale della consulenza – il consulente assume un atteggiamento di ascolto partecipe e non critico, che permette al cliente di assumere un ruolo attivo, portandolo ad avere più fiducia nella propria capacità di collaborare alla soluzione dei problemi.
Schein parla di ricerca e non di semplice ascolto attivo, perché durante questo processo il consulente deve attivarsi per ricercare e comprendere la complessità della richiesta di aiuto che gli viene rivolta, valutando l’impatto che le sue domande o le sue osservazioni possono avere sui ragionamenti e sulle emozioni del cliente.
Lo scopo operativo della ricerca attiva è di creare una situazione in cui il cliente, sentendosi rassicurato e legittimato, sia in grado di presentare nel modo più esauriente la situazione, lasciando emergere informazioni e considerazioni personali.  Lo scopo strategico è di riequilibrare il rapporto tra consulente e cliente, sviluppando una buona capacità di collaborare in modo efficace nell’immaginare azioni di cambiamento.
Schein (2001) distingue tre livelli di ricerca attiva. Il passaggio da un livello di ricerca all’altro non è automatico, ma dipende dalla situazione che va sviluppandosi e dalla valutazione del consulente sul grado di equilibrio e di disponibilità reciproca. Ai primi stadi della relazione, il cliente è in posizione di maggior dipendenza e perciò conviene mantenersi al livello della ricerca di base, poi, man mano che il cliente inizia a prendere parte attiva al processo di ricerca, si può passare ai livelli successivi di indagine.

C’è un solo modo per domandare? No. Si possono fare domande considerando le tecniche esplorative graduali proposte da Schein (2001, pp. 45-50).

Tipi di ricerca attiva Attività del consulente Esempi di domande
Ricerca di base Il consulente tende ad essere silente. Comunica la sua disponibilità all’ascolto principalmente con un atteggiamento di ascolto rispettoso, in modo che sia possibile concentrarsi esclusivamente sulla storia raccontata dal cliente.L’obiettivo di questa fase è raccogliere informazioni sulla situazione e sulle rappresentazioni del cliente, e avviare una relazione di fiducia che consenta di procedere nella collaborazione.  La ricerca di base inizia dal silenzio.Le domande che si possono porre mirano a sondare gli avvenimenti:

  • Cosa è successo?
  • Qual è la situazione?
  • Cosa sta succedendo?
  • Può raccontare qualche altro episodio?
  • Può aggiungere qualche particolare?
Ricerca diagnostica Il consulente evita letture o interpretazioni ma formula domande per far emergere le reazioni emotive del cliente, o le ragioni con cui egli spiega le azioni intraprese e gli avvenimenti accaduti.  In questa fase le domande vertono su:Emozioni e reazioni

  • Cosa ha provato?
  • Come ha reagito?

Ragioni e cause

  • Perché pensa sia successo?
  • Per quali ragioni le cose sono andate cosi?

Azioni e intenzioni

  • Cosa ha fatto?
  • Come vi siete comportati?
  • Cosa pensa di fare?
  • Come dovrebbero agire gli altri?

 

Ricerca di confronto Il consulente confronta le proprie interpretazione con quelle del cliente. Offre punti di vista e sviluppa nel confronto con il cliente ipotesi di azione.  Osservazioni sul processo

  • Ha pensato di…?
  • Perché non ha agito…?
  • Quali altre soluzioni si potrebbero adottare?

Osservazioni sui contenuti

  • Ha considerato le sue reazioni?
  • Cosa l’ha fatta arrabbiare?
  • Forse la situazione era diversa da come l’ha interpretata?

Come si vede dalla tabella, in fasi diverse del rapporto, diverse sono le domande che possono venire poste. Analogamente, nei processi di ricercaintervento, con lo svilupparsi delle attività di ricerca mutano le domande che è opportuno porre agli interlocutori.

Riferimenti

Christian Michelot, “Domanda”, in Jacqueline Barus-Michel, Eugène Enriquez, André Lévy Dizionario di Psicosociologia, Cortina, 2005 (2002), pp. 352-356.

Murakami Haruki ,1Q84. Libro 3 ottobre-dicembre, Einaudi, 2012 (2010).

John Le Carré, Tutti gli uomini di Smiley, Mondadori, 2001 (1980).

Edgar H. Schein, La consulenza di processo. Come costruire relazioni d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo, Cortina, 2001 (1999).

Immagine

Ushikawa returns

5 comments on “I molti modi del domandare #psicosociologia

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  2. Laura
    10 April 2013

    Non c’entra niente col post ma oggi ho saputo che quel bambino cammina con le sue gambe. Oggi ha circa 21 anni ed è stato protetto dallo Stato per un po’ di anni.
    Dopo la mia domanda il collaboratore piangeva e anche il mio cuore di dolore e di gioia insieme.
    Una domanda…banale…ha aperto un mondo!

  3. Laura
    9 April 2013

    Bilancio serale della giornata lavorativa, capito su questo post e penso.
    Che giornata incredibile! Quante persone ho visto e quante domande ho posto loro: per conoscere le situazioni, per approfondirle, per chiarire, per valutare.
    Ad una di queste persone (un collaboratore di giustizia) pongo la classica domanda, c.d. da repertorio, che ho sempre posto e le cui risposte non mi hanno mai sorpreso più di tanto.
    Chiedo “Perché ha scelto di collaborare?”. Risponde “Perché mi era stato ordinato di gambizzare un bambino di 8 anni, figlio di un imprenditore che rifiutava di pagare il pizzo”.
    Non riesco a controllarmi, un tremore interno indefinibile. Rimango senza parole. Non riesco a proseguire, non riesco a porre altre domande.
    Così rifletto e mi dico che forse non a tutti si possono porre le stesse domande e con gli stessi modi.

    • Mainograz
      10 April 2013

      Ciao Laura,
      ho letto la tua testimonianza questa mattina presto.
      Sono rimasto senza parole.

      Hai ragione.
      Non a tutti si possono porre le stesse domande.
      Domani a Psicosociologia apro con il tuo commento.
      Grazie.
      Graziano:-)

  4. massimo corezzola
    8 April 2013

    ricco di spunti e suggestioni, come sempre………. e in particolare per tutti questi brevi articoli collegati ai corsi che tieni all’UNI MI Bicocca,
    materiale molto interessante anche per ambito della formazione con personale che già lavora nei servizi socio educativi

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