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Questo post è dedicato alle persone che frequentano il corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni.
Ma non solo.
Come stendere i rapporti di ricerca da presentare il 30 e 31 maggio? (Ultimi due appuntamenti del corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni 2013).
Questa è la domanda che rimbalza in questi giorni nella nostra organizzazione temporanea (il corso): nelle web-sinapsi e de visu. I gruppi e chi coordina chiedono di fare il punto della situazione.
Raccolgo qui idee emerse dagli incontri già svolti dedicati al punto. Si tratta di indicazioni sviluppate nella discussione con i gruppi di lavoro, che provano a riordinare domande poste e possibili soluzioni. Indicazioni e non disposizioni valide in assoluto [quale indicazione lo è?]: ciascun gruppo le può considerare per predisporre il proprio rapporto di ricerca.
Quando pensare al rapporto di ricerca? Perché pensarci per tempo (ma senza eccessivi condizionamenti)?
Quando nasce un rapporto di ricerca?
Mah, in genere quando si comincia a pensare alla ricerca, a volte ancora prima di scrivere il progetto di ricerca e il suo disegno operativo. Ci sono un sacco di domande, di intuizioni, leggendo si trova qualcosa che potrebbe venire buono, si apre un file e si cominciano a raccogliere appunti, idee, link. Poi la ricerca trova un committente, il lavoro procede, si accumulano gli appunti e un file non basta più. Non basta nemmeno una cartella. Va prendendo forma un labirinto di materiali, e di quando in quando viene da riordinarli. Un rapporto di ricerca è prima una massa di informazioni, di dati, di testi. Da questo deposito informe si fa largo la possibilità di un ordine, di più ordinamenti. Senza un cumulo, senza stratificazioni il rapporto non può attecchire, non trova l’humus, non mette radici. Un rapporto di ricerca si insinua con anticipo, si avvolge alle scelte metodologiche, attinge dai pensieri scambiati, si nutre di discussioni e idee. Meglio stare accorti.
Perché pensarci per tempo?
Non si tratta di essere performativi a tutti i costi. E neppure previdenti. [Virtù moderna la prima, antica la seconda, da non sottovalutare]. Conviene pensare per tempo al rapporto di ricerca perché può funzionare da sistema di riordinamento intenzionale e perciò occulto. Mi spiego. Il rapporto di ricerca sarà il contenitore che darà forma agli esiti di un processo di indagine, spesso protratto e impegnativo. Sarà il veicolo che trasporterà i risultati del lavoro di molti. Sarà la confezione che darà valore e appeal ai dati raccolti, alle congetture, alle intuizioni, alle riflessioni, all’apporto di chi alla ricerca ha dedicato tempo ed energie. Possiamo pensare al rapporto di ricerca come a uno dei frame che impalcano il lavoro di indagine. Se le nostre risorse non solo sono limitate, ma anche scarse, chiedersi cosa dobbiamo produrre determina una chiusura operazionale, la capacità di definire confini e vincoli che intervengono nella produzione di senso e nel legittimare le azioni, perimetri che è bene rendere evidenti per non lasciare lasciare che agiscano surrettiziamente.
Sapere cosa si dovrà produrre, quale sarà l’esito della propria attività, definire l’oggetto di lavoro con un attenzione sufficientemente puntuale da avere una rappresentazione condivisa, considerabile, ma non cristallizzata è un passo in direzione di un lavoro di ricerca aperto e non dispersivo. [Per questo non era fuori strada, chi ha cominciato per tempo a raccogliere elementi sulla forma e sulle modalità di costruzione del rapporto di ricerca. Discorso diverso per chi – anzitempo – si è inquietato/a.]
Saccheggio Calvino. Prendo dalla “Presentazione” a Le città invisibili (1972) composta per l’edizione del libro pubblicata nel 1993 nella collana Oscar Mondadori. La “Presentazione” è frutto della fusione di interventi che Calvino tenne e in parte pubblicò in occasioni diverse, a seguito dell’uscita del libro.
Il libro è nato un pezzetto per volta, a intervalli anche lunghi, come poesie che mettevo sulla carta, seguendo le più varie ispirazioni. Io nello scrivere vado a serie: tengo tante cartelle dove metto le pagine che mi capita di scrivere, secondo le idee che mi girano per la testa, oppure soltanto appunti di cose che vorrei scrivere. Ho una cartella per gli oggetti, una cartella per gli animali, una per le persone, una cartella per i personaggi storici e un’altra per gli eroi della mitologia; ho una cartella sulle quattro stagioni e una sui cinque sensi; in una raccolgo pagine sulle città e i paesaggi della mia vita e in un’altra città immaginarie, fuori dallo spazio e dal tempo. Quando una cartella comincia a riempirsi di fogli, comincio a pensare al libro che ne posso tirar fuori.
Così mi sono portato dietro questo libro delle città negli ultimi anni, scrivendo saltuariamente, un pezzetto per volta, passando attraverso fasi diverse. Per qualche tempo mi veniva da immaginare solo città tristi e per qualche tempo solo città contente; c’è stato un periodo in cui paragonavo le città al cielo stellato, e in un altro periodo invece mi veniva sempre da parlare della spazzatura che dilaga fuori dalle città ogni giorno. Era diventato un po’ come un diario che seguiva i miei umori e le mie riflessioni; tutto finiva per trasformarsi in immagini di città: i libri che leggevo, le esposizioni d’arte che visitavo, le discussioni con gli amici.
Ma tutte queste pagine insieme non facevano ancora un libro: un libro (io credo) è qualcosa con un principio e una fine, è uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi, ma a un certo punto trovare un’uscita, o magari parecchie uscite, la possibilità di aprirsi una strada per venirne fuori. Qualcuno di voi mi può dire che questa definizione può valere per un romanzo a intreccio, e non per un libro come questo, che si deve leggere come si leggono i libri di poesia, o di saggi, o tutt’altro che di racconti. Ebbene, voglio appunto dire che anche un libro così, per essere un libro, deve avere una costruzione, cioè si deve poter scoprire un intreccio, un itinerario, una soluzione.
Libri di poesie non ne ho mai fatti, ma libri di racconti ne ho fatti diversi e mi sono trovato di fronte al problema di dare ordine ai singoli pezzi, che può diventare un problema angoscioso. […]
[…] È sulla base del materiale che avevo accumulato che ho studiato la struttura migliore, perché volevo che queste serie si alternassero, si intrecciassero, e nello stesso tempo il percorso non si distaccasse troppo dall’ordine cronologico in cui i singoli pezzi erano stati scritti.
pp. v-vii
Italo Calvino, “Presentazione” a Le città invisibili, Mondadori, 1993 (1972).
Torniamo a noi. Un rapporto di ricerca nasce dagli appunti di ricerca, dal lavoro sul campo e dalla documentazione sitobibliografica raccolta, dagli spunti colti al volo (e fissati per non lasciarseli sfuggire), dalle occasioni sconnesse. Anche un rapporto di ricerca (come le crisi) prende forma prima che se ne cominci la stesura vera e propria.
[Adesso ce lo dice? Non poteva dirlo prima?
C’è un nastro di cose che si sarebbero potute dire prima, ma non è stato possibile, non c’era tempo, non era il tempo. Di alcune informazioni la mancanza la si sente poi; prima non ci sarebbe stato uno scaffale su cui riporle.]
Esegesi del testo
Trasformo [ah, lesa maestà] l’esperienza di Calvino in punti elenco:
In fondo Calvino narra della sua personalissima modalità di sviluppare le fasi dell’inventio e della dispositio identificate dalla retorica classica (Barthes, 1972).
Quali sono le questioni alle quali il rapporto di ricerca deve dare risposta? Sostanzialmente i nuclei informativi sono quattro. Declinabili secondo le sensibilità dei gruppi, le intenzioni comunicative, la duttilità o la resistenza dei materiali raccolti, la creatività. In ogni caso il rapporto di ricerca deve affrontare quattro nuclei tematici:
Un primo fondamentale ingaggio: produrre qualche conoscenza interessante, non un esercizio fine a se stesso.
Sembra un impegno di poco conto ma il lavoro didattico per essere tale deve essere fatto sul serio. Di conseguenza l’elemento ‘incremento di conoscenza’ costituisce un ingrediente fondamentale. Le undici ricerche in corso, riferite ad altrettante organizzazioni, stanno producendo scoperte interessanti e utili a noi che avremo la possibilità di accedervi. Quindi il rapporto di ricerca ha il compito di restituire ciò che si è compreso, scoperto, prodotto con una forma appropriata. Questo aspetto fa anche pensare che destinatari dei rapporti di ricerca sono i/le colleghi/e degli altri gruppi e cioè l’intera organizzazione temporanea (il corso). Ed è per questo che da subito le organizzazioni sono state rese anonime e non identificabili. Si tratta di dare conto dei risultati dell’esperienza di ricerca-conoscitiva (che traguarda verso la ricerca intervento).
Un secondo fondamentale ingaggio: sperimentare metodi e strumenti
Il rapporto di ricerca deve dare conto delle diverse attività di ricerca, di come sono state prefigurate, via via messe a punto, sviluppate e condotte, delle modalità di partecipazione, delle metodologie, delle tecniche e degli strumenti impiegati, delle ragioni che ne hanno determinato la scelta (ragioni collegate all’oggetto di indagine, alla disponibilità dell’organizzazione, ai vincoli di tempo, ecc.). Di conseguenza è plausibile che il rapporto di ricerca abbia una sezione dedicata alle metodologie e alle fasi di realizzazione del lavoro di ricerca. Le modalità di partecipazione, le competenze in campo sono un aspetto che potrebbe venire anche trattato nella sezione dedicata all’esperienza di lavoro in gruppo. La nota di metodo non deve mancare.
Un terzo fondamentale ingaggio: fare un’esperienza di lavoro in gruppo (e riflettere su questa esperienza)
Uno degli aspetti che il corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni è l’esperienza di lavoro in gruppo, appunto. Di norma, nelle ricerche sociali, a questo aspetto vengono dedicati spazi contenuti, le dimensioni collaborative fanno capolino nelle introduzioni e nei ringraziamenti. Nella ricercaintervento la dimensione del gruppo di ricerca e più in generale delle dinamiche fra gli attori costituisce un elemento essenziale per comprendere gli sviluppi e i risultati del processo di indagine e le azioni che via via ne scaturiscono e che a loro volta orientano e alimentano le direzioni di ricerca. Inoltre, nel nostro caso il lavoro di gruppo, anche grazie alla presenza di due osservatori, costituiva un aspetto da subito fatto aggetto di attenzione. C’è dunque spazio per una riflessione intorno all’esperienza di lavoro in gruppo. In alcune situazioni, per ragioni diverse tale approfondimento potrebbe venire affrontato a parte; se questa fosse la scelta, converrebbe brevemente motivarla nella sezione introduttiva, così che tale decisione non venga scambiata per una dimenticanza.
Ci sarebbero anche un quarto e quinto ingaggio: scrivere un rapporto di ricerca, presentare e discutere i risultati della ricerca contenuti nel rapporto stesso. Non sono obiettivi di poco conto. Una ricerca è anche il prodotto che viene confezionato, la qualità e la cura del testo e degli apparati esplicativi, tabelle, infografiche, testimonianze, sintesi, sitobibliografia. E poiché – sia in ambito accademico, sia nelle organizzazioni – le attività di ricerca vengono presentati e fatte oggetto di discussione, analoga attenzione dovrà essere riservata alla presentazione degli undici rapporti di ricerca (a questo aspetto verrà dedicato un momento specifico in plenaria).
Trascuro di soffermarmi sull’importanza dell’appendice come archivio degli strumenti utilizzati e dei materiali prodotti.
Ora, l’intreccio delle finalità e degli aspetti da curare giustifica e rende esplicito quanto viene detto nella presentazione del corso…
Il corso si propone di introdurre e sperimentare la prospettiva psicosociologica di ricercaintervento rivolta a gruppi e organizzazioni.
L’approccio psicosociologico verrà presentato come una modalità per entrare in contatto e intervenire nelle organizzazioni.
[…]
Il corso si soffermerà su questioni di ordine metodologico e strumentale connesse in particolare con l’osservazione, l’analisi e la conoscenza delle organizzazioni.
[…]
Alle persone che prenderanno parte al corso verrà chiesto di sviluppare una ricerca in piccoli gruppi. Il corso sarà impegnativo e richiederà una partecipazione puntuale, costante e attiva.
Nei gruppi in cui ci si è confrontati si è detto che il rapporto di ricerca dovrà avere una prima di copertina e che lì dovranno essere rintracciabili le prime ed essenziali informazioni, in grado di rispondere alle esigenze conoscitive fondamentali (di cosa si parla, chi scrive, in quale contesto, con quale autorità e con quale intenzione) così che non si violi la regola della funzionalità e della costruttività della comunicazione. L’indice, mappa fondamentale per orientarsi nel testo non dovrà mancare. Abbiamo anche valutato l’opportunità di inserire un abstract con funzioni introduttive. In altri gruppi si è ritenuto che l’abstract costitutisse un paratesto distinto dalla prefazione.
La struttura del rapporto di ricerca non è prefissata. Nel paragrafo precedente ho accennato ai nuclei tematici che ragionevolmente dovranno essere presenti nel rapporto di ricerca. In quali forme, con quale intreccio o itinerario, questo è lasciato alle valutazioni dei gruppi di lavoro.
Un accenno ai vincoli. Essi sono due. Le dimensioni del rapporto di ricerca e il termine di consegna.
Il rapporto di ricerca non dovrà superare i 40.000 caratteri spazi inclusi. Mentre la consegna è fissata entro le 23:59 del 26 maggio 2013. Il primo vincolo è un potenziamento: le chances che i rapporti di ricerca (nelle organizzazioni) vengano letti è inversamente proporzionale alla loro lunghezza [mi spingerei a sostenere che questa affermazione è paragonabile alle leggi della termodinamica, anzi è la quarte legge della termodinamica]. Non solo, nella specifica situazione la lunghezza dei rapporti di ricerca deve essere commisurata alla possibilità che vengano letti dalle persone chiamate a discuterli. Eh già, chi sarà chiamato a discutere i rapporti di ricerca? Il solo conduttore del corso? Altri/e?
Per quanto riguarda poi il termine di consegna, a sua volta è connesso all’esigenza di poter esaminare gli undici rapporti di ricerca.
Anche scrivere un rapporto di ricerca è un’esperienza di lavoro di gruppo. Conviene insistere con il fordismo intellettuale? Mah, può essere efficiente ma riduttivo. Certo un piano di lavoro in questi casi aiuta. E anche degli accordi. La costruzione del rapporto di ricerca può anche essere l’occasione per recuperare disequilibri nel lavoro sul campo (e nell’apporto alle attività del gruppo).
Il rapporto di ricerca è il prodotto che serve a presentare l’attività e i risultati del lavoro sul campo (e non solo sul campo) sviluppato dagli undici gruppi. La finalità del documento è didattica.
Diverso il rapporto che (eventualmente, ma non lo solleciterei) le organizzazioni richiederanno. Sia perché siamo in presenza di un ingaggio consulenziale indotto, sia perché la nostra ricerca aveva scopi conoscitivi, sia, ancora, perché si è trattato di un lavoro serio e rigoroso, mosso però da esigenze didattiche (cimentarsi con un esperienza per molti nuova), il rapporto di ricerca che verrà presentato e discusso in aula non è il documento che eventualmente verrà restituito alle organizzazioni che insistessero nel ricevere ritorni.
Non è un caso che la restituzione avviene a porte chiuse. Vogliamo essere liberi presentare non solo i risultati ma anche le esperienze di ricerca e forse – se i gruppi lo riterranno – le loro esperienze di collaborazione. Sarà una presentazione di lavoro, interna. Si riunirà una comunità di pratiche per riflettere sulle esperienze prodotte e per cavarci qualche apprendimento. Sarà un momento di lavoro riservato a quell’organizzazione temporanea produttiva che va sotto il nome di corso. Sarò un’esperienza analoga a quella che fanno i gruppi di ricerca quando si incontrano per considerare i risultati del loro lavoro, ragionare sugli apprendimenti, su ciò che è accaduto, su ciò che dal lavoro sul campo hanno imparato. Non sarà un momento di confronto pubblico e neppure il momento della restituzione al committente, ma un momento di lavoro e di riflessione interna.
Quindi, se le organizzazioni che hanno ospitato le nostre ricerche, sollecitassero una restituzione, questa dovrà essere preparata ad hoc (e del gruppo di lavoro farò a mia volta parte per dare un contributo). Si tratterà di raccogliere elementi sull’attese delle organizzazioni, preparare un documento per l’occasione e preparare l’incontro di presentazione, in modo che questo delicato passaggio si risolva in un momento utile per le persone che fanno parte dell’organizzazione ospitate e per le persone che fanno parte del gruppo di lavoro (rimando a Schein, 2001, pp. 55-57).
Roland Barthes, La retorica antica, Bompiani, 1972 (1970).
Italo Calvino, “Presentazione” a Le città invisibili, Mondadori, 1993 (1972).
Edgar H. Schein, La consulenza di processo. Come costruire relazioni di aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo, Cortina, 2001 (1999).
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