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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Cambiamento (scheda di sintesi-commento) #psicosociologia

 

Ecco alcuni appunti in preparazione al primo incontro del percorso di formazione-ricerca in tema di avvicendamenti promosso dalla Provincia di Milano. Per fissarli ho preso spunto dalla voce ‘Cambiamento’ redatta da Jacques Rhéaume per il Dizionario di Psicosociologia, curato da Jacqueline Barus-Michel, Eugène Enriquez, André Lévy, pubblicato in Francia nel 2002 e tradotto in Italia da Cortina nel 2005.

Un termine sinsemantico

Un termine è sinsemantico se acquisisce significato nelle situazioni in cui viene usato, in relazione ad altri termini a cui viene accostato, all’ambito disciplinare in cui viene impiegato. ‘Cambiamento’ per i molteplici significati che può assumere richiede una contestualizzazione che ne chiarisca la ‘densità’ semantica.
In prima approssimazione cambiare significa passare da una condizione a un’altra, sostituire qualcosa con qualcos’altro. E questa operazione di scambio implica una relazione fra le parti in gioco: “interazione e scambio sono il nucleo centrale del cambiamento” (Rhéaume, 2005, p. 57). Il nodo che si pone immediatamente è se ciò che cambia (persona, gruppo, organizzazione, comunità, altro) diventi qualcos’altro o rimanga se stesso: il cambiamento pone la questione dell’identità, della continuità e dell’alterità (o dell’alterazione).

Tutto scorre

Tutto scorre come un fiume… Non poteva mancare un richiamo a Eraclitoper il quale il cambiamento è l’essenza dell’Essere, sempre in movimento e in conflitto”. La realtà è cambiamento oppositivo o dialettico fra le parti, un cambiamento che “attraversa i rapporti tra strutture e soggettività sistema ed esperienza” (Rhéaume, 2005, p. 57).

Visioni del cambiamento

Classificare comporta il rischio di semplificare ma aiuta a districarsi. Rhéaume propone diverse visioni del cambiamento che, dal secondo dopoguerra sono state proposte in ambito psicologico e sociologico.

1. Dinamica del cambiamento

Il cambiamento individuale, collettivo o sociale è caratterizzato dal passare da uno stadio ad un altro. “Il cambiamento è descritto [da Kurt Lewin] come un processo iterativo che comprende tre fasi – unfreezing, change, refreezing – entro una concezione dinamica conosciuta soprattutto per i lavori riguardanti il funzionamento dei piccoli gruppi” (Rhéaume, 2005, p. 58).

2. Approccio sistemico

Negli anni cinquanta emerge la prospettiva sistemica seconda la quale “il sistema, come individuo, gruppo, società, è un insieme di elementi interdipendenti che si forma interagendo con un ambiente complesso e con altri sistemi e si mantiene tale o si modifica per effetto di complicati processi di regolazione” (Rhéaume, 2005, p. 58). Le forze in gioco sono molteplici e le configurazioni non sono sempre (o facilmente) descrivibili (e neppure governabili).

3. Pianificazione

Questa concezione integra elementi dell’approccio sistemico, della dinamica del cambiamento e del pragmatismo. “Il cambiamento pianificato è definito come risultato di un piano, di una volontà e di una intenzione di arrivare a una nuova situazione attesa” (Rhéaume, 2005, p. 58): un disegno razionale sostiene la trasformazione della realtà che mira a risolvere situazioni problematiche.
I problemi sarebbero la ragione dell’introduzione di cambiamenti, che verrebbero promossi formulando dapprima ipotesi e poi sperimentando soluzioni, che valutate condurrebbero a conferme o a nuove sperimentazioni. Se si vuole la versione più conosciuta di questo approccio è il ciclo riferito alla qualità e conosciuto come Plan, Do, Check, Act (Pianifica, Applica, Verifica, Modifica).

4. Cambiamento come sviluppo

Come un organismo cresce per raggiungere la sua forma matura, così “viene sempre ipotizzata l’esistenza di uno stato incompleto, incompiuto, virtuale di un tutto organico, vivente, che in seguito cresce, si espande, si realizza pienamente nella sua maturità” (Rhéaume, 2005, p. 59). Il cambiamento è – in questa prospettiva – crescita secondo una qualche continuità, evoluzione, miglioramento. “Lo sviluppo può implicare anche conflitti, rotture, ma si tratta di passaggi e crisi verso una maggiore maturazione e compiutezza”, verso una piena realizzazione (Rhéaume, 2005, p. 59).

5. Cambiamento istituzionale

Il cambiamento, in questa visione, dipende dalla riconfigurazione dei rapporti di forza e di potere nei gruppi, nelle organizzazioni, nelle istituzioni. Il cambiamento è piuttosto rottura e superamento e non evoluzione e progresso.

6. Approccio psicoanalitico

La teoria psicoanalitica riferita ai gruppi “mette in rilievo l’importanza decisiva dell’inconscio e dell’immaginario come fattori che possono suscitare o ostacolare il cambiamento” (Rhéaume, 2005, p. 59).

7. Focalizzazioni nell’orientamento psicosociologico

  • Il cambiamento mira intenzionalmente a risolvere problemi organizzativi o sociali.
  • Vi è tensione fra dimensioni strutturali di sistema e dimensioni proprie degli individui capaci e portatori di intenzioni e progetti. Il cambiamento è azione in un quadro di vincoli.
  • Per essere evolutivo il cambiamento richiede che vi siano assunzioni di consapevolezza rispetto alle condizioni dell’ambiente e dei soggetti che vi operano.
  • Diverse posizioni e diverse visioni possono essere messe in dialogo con l’’obiettivo di produrre cambiamenti che accordino ai soggetti maggiore autonomia.

Riferimenti per il cambiamento

Rhéaume, nella seconda parte del contributo, collegando fra loro apporti diversi, identifica alcuni caratteristiche di approcci al cambiamento che fanno riferimento alla psicosociologia.

Dialettica tra teoria e pratica

Teoria e pratica (ricerca e azione) possono favorire i cambiamenti a condizione che si alimentino reciprocamente attraverso una pratica riflessiva che produca conoscenze e una teoria messa in pratica che promuova apprendimenti dall’esperienza.

Valorizzare la complessità multidisciplinare

Il cambiamento individuale “non è separabile dai cambiamenti sociali, nel gruppo, nell’organizzazione, nella società, […] l’azione individuale si iscrive nel più ampio quadro dell’azione sociale” (Rhéaume, 2005, p. 61). Diverse discipline contribuiscono alla comprensione dei processi di cambiamento (storia, antropologia, economia, scienze politiche). “La questione cruciale sta nella possibilità di sviluppare le basi psicologiche e sociologiche di una teoria del soggetto e di una teoria dell’azione sociale” (Rhéaume, 2005, p. 61).

Ricercare forme di partecipazione

Negli approccio psicosociologico operano tensioni etiche che hanno radici storiche nelle reazioni ai totalitarismi del novecento: il cambiamento mira all’emancipazione e all’autonomia dei soggetti e dei gruppi, a “far crescere una coscienza più critica, una comprensione più sottile e una padronanza più consistente della propria condizione personale e sociale, a fronte della constatazione dell’esistenza di rapporti sociali diseguali, del rischio sempre presente di derive totalitarie, della necessità di rendere i singoli e le collettività più ‘soggetti’ della loro storia”, a ricercare “condizioni di convivenza più democratiche: condizioni che variano a seconda dei contesti sociali e dei periodi storici considerati” (Rhéaume, 2005, p. 62).

Strutture di mediazione

I corpi intermedi della società sono luoghi privilegiati per promuovere cambiamento: “sono infatti contesti di azione che contribuiscono alla costruzione della società, al funzionamento delle grandi istituzioni sociali e al costituirsi degli individui come soggetti” (Rhéaume, 2005, p. 62).

Metodo dell’intervento

L’approccio psicosociologico dà importanza all’intervento di figure esterne con compiti di supporto, facilitazione, animazione, di ricerca e consulenza, formazione e promozione, che “esprimono una preoccupazione costante di favorire l’espressione e la partecipazione, ma anche l’impegno e l’analisi critica” (Rhéaume, 2005, p. 63). Figure che intervengono secondo un metodo che prende si sviluppa nei seguenti passaggi: “l’analisi della domanda, la definizione di un contratto, l’individuazione di obiettivi e di un piano di azione, la sperimentazione, la valutazione” (Rhéaume, 2005, p. 63).

Pensiero critico

Il cambiamento viene favorito da pratiche critiche nei confronti delle strutture di potere.

Inconscio e libertà

La possibilità del cambiamento deve misurarsi con i vincoli che determinano i comportamenti individuali e sociali ed è sostenuta dalla libertà che i soggetti e i sistemi collettivi possono decidere di praticare.

Cambiamento?

Quali sinonimi?

Rhéaume propone: movimento, alterazione, aggiustamento, modificazione, evoluzione, sviluppo, riforma, trasformazione, mutazione, rivoluzione, rottura, metamorfosi (Rhéaume, 2005, p. 57). Aggiungo innovazione, rinnovamento, spostamento, avvicendamento, sostituzione, successione, passaggio…

Quali contrari?

Credo che la prima parola che salti in mente sia resistenza: una di quelle più spesso accoppiate con cambiamento. Ma la voce del Dizionario suggerisce anche: permanenza e durata. Di mio, per forzare la polarizzazione, aggiungo: stabilità, staticità, tenuta, inamovibilità…

Quali proverbi, aforismi, citazioni?

Così, su due piedi, non appena ho pensato alla domanda, ho anche pensato a “Cambiare tutto per non cambiare niente” (citazione approssimativa da Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa). Naturalmente sono rimasto sconcertato dal primo pensiero che mi è passato per la testa…

Se dovessi dire…

A volte si lavora per (o si assiste a) cambiamenti che sembrano epocali e si rivelano illusori. Altre volte micro situazioni (azioni, traumi, distrazioni) innescano processi fin catastrofici o irreversibili. Così accade di lavorare (con grande dispendio di energie) per promuovere cambiamenti per i quali non ricorrono le condizioni (nonostante sembri l’opposto). Mentre con maggiore acume converrebbe cercare di cogliere le forze che consentono o conducono verso cambiamenti auspicabili. E assecondarle.

Il cambiamento dipende delle rappresentazioni individuali. Prima che nelle configurazioni, il cambiamento sembra essere nella possibilità di essere pensato (o accolto). Si verificano situazioni nelle quali il cambiamento prefigurato è lontanissimo dalla possibilità di venire rappresentato come qualcosa di desiderabile, per il quale valga la pena abbandonare i propri attaccamenti e decidere di rischiare investimenti personali.

Il cambiamento dipende dall’immaginario collettivo. Cambiare ha senso se la direzione viene socialmente riconosciuta o apprezzata. Si possono introdurre cambiamenti se questi hanno risonanza fra le persone che frequentiamo, se ne sentiamo parlare, se – per quanto portatori di discontinuità – vengono presentati come qualcosa che apporta vantaggi collettivi.

Nei cambiamenti il ruolo delle culture organizzative e dell’impronta dei fondatori, leader, o in generale figure di autorità anche temporanee, è importante. I capi – carismatici in particolare – contribuiscono a stabilizzare schemi di pensiero e di azione delle organizzazioni e dei piccoli gruppi. In particolare le dimensioni motivazionali, i criteri interpretativi, gli orientamenti nella costruzione delle relazioni, gli aspetti di valore, e in particolare gli assunti fondamentali. (Schein E. H., “The role of the fonder in creating organizational culture”, Organizational Dynamics, Summer, 1983, pp. 13-28).

.

PS

Nel preparare queste note mi ha colpito una piccola scoperta, forse assolutamente marginale, che ho però interpretato come una traccia. Ho cercato la voce ‘Cambiamento’ nell’Enciclopedia Einaudi (1977-1982) e non l’ho trovata. Se consideriamo l’Enciclopedia Einaudi una sorta raccolta delle questioni che interrogavano la società sul finire degli anni ’70 (che pure erano di cambiamento), è curioso notare come la voce non venga rubricata. Il cambiamento è un tema culturale e storico, che prende maggiore e minore campo, secondo le sensibilità culturali e le competizioni con altre questioni?

6 comments on “Cambiamento (scheda di sintesi-commento) #psicosociologia

  1. autore
    28 February 2013

    grazie dell’anticipazione! così mi porto un po avanti XD
    in ogni caso mi stupisce l’assenza di “cambiamento” nell’enciclopedia einaudi.. e non trovo una spiegazione..

    • Mainograz
      1 March 2013

      Ma, non so dire perché l’Enciclopedia Einaudi non includa la voce ‘Cambiamento’. Forse non si ragiona di cambiamento quando si è… nel cambiamento.
      Chissà…

      PS
      Vale il converso? Si ragiona di cambiamento quando si è nell’immobilità?

      • autore
        1 March 2013

        si può ragionare di cambiamento nell’immobilità, se si vuole o si deve cambiare.. nel cambiamento si può non ragionare su di esso se avviene spontaneamente al di fuori della percezione di chi lo subisce..

  2. ovittorio
    11 November 2012

    e caro il mio Graziano che domani ho CDA e poi Direzione nel pomeriggio e sono lì pronto
    con le mie idee per cambiare le cose!! Che tu sarai forse presagio di sventura e, me tapino, perir dovea infra la maledizione altrui?
    La discussione non sempre arricchisce, perchè, benchè avvenga nella simultaneità di luogo e tempo, tale simultaneità non è la stessa nelle aspettative e nelle rappresentazioni che ciascuno ha. Ed allora ecco quelle belle riunioni tutta tattica, tutte ‘diconondico’, facendo in modo che sia l’altro a dire ed allora dici: perfetto! ecco cosa volevo dire!
    Si può fare. E’ che ne sono un po’ stufo. Oltre alle attese ed alle rappresentazioni, c’è anche il ruolo: quello che uno ha, ma che ha paura di perdere in ogni momento; quello che è potere in un punto dell’assetto gerarchico ed allora va esercitato (e va lasciato esercitare?); quello che crediamo di avere in una dinamica relazionale.
    E comunque sì: meglio fare (con qualche dire in mezzo…) e passettin passettino camminare, che puntare gli occhi e le parole soltanto sulla fine del cammino, sull’astratto, sull’ideale, sul perfetto.
    Domani farò così. Chissà come andrà a finire!!!

    vittorio

  3. ovittorio
    11 November 2012

    ricco post e prezioso…parto da una cosa piccola….quando in una stanza si è stati troppo tempo chiusi oppure è la stanza stessa che è rimasta chiusa a lungo, si apre la finestra e si dice: cambiamo un po’ l’aria. E si immagina che l’aria brutta esca ed entri quella buona. Io ho sempre pensato così.
    Il cambiamento si rappresenta come una modifica di alcuni elementi del contesto (aria, nome generico per ossigeno, racchiude in sè sia la respirabilità che la temperatura che la percezione d’umidita…), dopo di che il benessere, obiettivo del cambiamento, è raggiunto. E’ come se il cambiare fosse un prodotto d’intenzionalità. Magari non nei modi, ma sicuramente nel desiderio.
    La freccia scoccata dalla balestra di Graziano -una balestra innocua, perchè tira frecce invisibili, che però spesso colgono il bersaglio…- piomba al centro dei ‘nostri tempi’, dove è tutto un voler cambiare le cose, come se il desiderio fosse più forte di ogni condizionamento, ed ogni dichiarazione più potente di ogni norma. Una folla di mani tese alla maniglia della finestra, apro io! apro io! prima io! ma levati te! faccio io! ….poi si spalanca …. e non succede niente … il dentro ed il fuori, il vecchio ed il nuovo, si annullano a vicenda nell’omeostasi del momento e si rimane lì, a chiacchierare davanti al paesaggio, dandosi spintarelle, buttandosi di sotto. Le cose sono cambiate, abbiamo aperto le finestre. Tranquilli. L’abbiamo imparato a scuola.
    vittorio

    • mainograz
      11 November 2012

      Ciao Vittorio,
      c’è una cosa che voglio chiederti.
      Ho notato che a volte (spesso), se c’è qualcosa che ostacola il cambiamento è proprio l’annunciarlo, il farlo vedere o intravedere, con desiderio.
      Se ho in mente un cambiamento interessante e vado in CdA e dico: “ecco questa è una bella idea, dai lavoriamoci…”, accade che spesso viene respinta o chiaramente o silenziosamente.
      Non so se capita anche a te.
      Insomma dal punto di vista dei cambiamenti… sarebbe meglio non dirli e farli.
      Ma…
      Ma in democrazia questo non si può fare.
      Lo so che la discussione arricchisce, ma a volte (spesso) frena.
      Così penso che i cambiamenti hanno un bilanciamento, la diffidenza.
      Forse la resistenza al cambiamento non è un ostacolo, ma un aiuto.
      …;-)

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