Il segreto della content curation è nell’armonia dei due termini: fare cose con cura.
Con cura: dei contenuti specifici (il cosa di cui si parla) e relazionali (il chi a cui ci si rivolge, che – sperabilmente o incidentalmente – ci leggerà).
Content curation: cercare, scovare, leggere, filtrare, scegliere, raggruppare, riorganizzare, classificare, rielaborare, mescolare, qualificare, collegare, correggere e completare, contestualizzare, etichettare (taggare e bookmarcare), condividere…
Ovviamente si può fare content curation anche sui Social Network. Ecco alcune ipotesi immaginate avendo in mente Twitter, ipotesi pensate per preparare il terreno al next coming post che tratterà di content curation sui blog.
Capita di intercettare in Twitter temi interessanti e ricorrenti perlopiù preceduti da un # (hashtag o cancelletto) che li identifica, volendo (e citando le fonti) si possono raccogliere diversi tweet, usandoli come frammenti e ricomporli in quadri inediti, pubblicandoli in un post, rilanciato poi via Twitter.
Un altro modo per curare che in contenuti non sfuggano è il live-twitting di un evento (evento pubblico, si intende). Fluiscono e si rincorrono le idee, si moltiplicano… se non venissero afferrate, velocissimamente, se non venissero documentate con rapidi scatti di variabile qualità, se non venissero condivise, tweet dopo tweet, raccontando cosa succede (e se non si avesse in mente una traccia per organizzare il materiale, che si stratifica come un tessuto fantastico intrecciato di appunti) allora non ci sarebbe content curation.
Selezionare e rilanciare secondo una linea editoriale (anche personalissima), senza fare necessariamente parte di uno staff, di un progetto o di una organizzazione è content curation.
Rimbalzano molte ricerche, ricche di informazioni e di suggerimenti, spesso in inglese, i Social Network si prestano a interventi sintetici (e Twitter alla sintesi estrema). A volte basta prendere i titoli dei capitoli della ricerca e trasformarli in parole (traducendole se del caso) e il gioco è fatto, linkare il sito da cui scaricare la ricerca e chi è interessato si trova una facilitazione per capire
Un altro modo per curare i contenuti (propri e altrui) è citare. Qui le virgolette ‘singole’, “alte” o «basse» sono essenziali (Cignetti, 2011, 173): la citazione non basta, serve il commento che svolge la funzione di aggancio al contesto di chi parla e di chi riceve. Attenzione: le citazione possono arrecare(!) incontrovertibili verità o rigettevoli banalità.
Ora vorrei prendere posizione e dire cosa per me non è content curation: il rilancio meccanico, il retweet occasionale e senza commento non è (ancora) content curation, è un’altra cosa, importante, a volte essenziale, ma non mi sento di annoverare questa azione fra gli esempi di content curation. Diverso il lavoro di @DanielZeevi (un esempio fra i molti). Nel suo caso la costanza nello scegliere e nel rilanciare produce – nell’insieme e alla distanza – una quantità copiosa di riferimenti, aggiornamenti utili e di valore. Il rilancio a cui mi riferisco – che non annovero fra le forme di content curation – è quello estemporaneo, d’occasione, svagato, volante, fatto solo per amplificare di rimbalzo un messaggio.
Copiare? Non è giusto copiare! (Ma lo fanno in molti).
Si può copiare e migliorare? (Non so se è giusto e ma molti lo fanno, con più o meno cura dei diritti di proprietà intellettuale).
Alternative al copiare (puro e semplice):
«Il mio lavoro è molto semplice nella sua incredibile complessità.
Tutto comincia con una società che bussa alal porta dello studio legale, solitamente nella persona di un uomo piuttosto arrogante, oltre che d’aspetto poco gradevole. L’uomo dice: “Devo comprare/vendere/fare perché ho l’intenzione di guadagnare parecchio denaro ed è necessario che tu, avvocato […] mi assista […].”
Saluto, dopo avere sinceramente riso a quattro o cinque battute moderatamente deprimenti, torno nella mia stanza, accedo al server centrale condiviso da ogni professionista, digito un paio di parole chiave e dalla massa spuntano le fondamenta della mia specializzazione: i precedenti, documenti predisposti in un tempo lontano da qualcuno oggi probabilmente ricordato nelle omelie di novembre e ritoccati negli anni da chiunque se ne sia servito con l’aggiunta di una parolina qui, di una clausoletta là, di un titoletto in fondo e pronti per un nuovo uso. Come un pittore che conserva migliaia di tele dipinte su modelli d’ogni tipo e per ciascun cliente desideroso di fissare la propria immagine non fa che scegliere la più somigliante e rifinirla, modificando un tratto del sopracciglio, un pelo del naso, una sporgenza sulla fronte, una ruga intorno agli occhi, fino a che il cliente non sia soddisfatto, così faccio io. Che ricevo in dotazione documenti legali di ogni tipo – in italiano, in inglese, buyer-oriented o seller-oriented, sottoposti alla legge italiana, inglese, tedesca, lunghi decine di pagine o brevi e semplici, contratti di acquisto, contratti di vendita, cessioni, pegni, ipoteche, verbali di assemblea, procure, fideiussioni, finanziamenti, ogni tipo di operazione per ogni tipo di cliente –, scelgo il più adatto e comincio a lavorare applicando il moderno ragionamento giuridico:
– trova Società X;
– sostituisci con Società Y;
– sostituisci tutto.
E un buon cinquanta per cento del lavoro è fatto.
Il resto è operare su clausole riscritte o ritoccate centinaia di volte, alla ricerca del contratto perfetto o, più ragionevolmente, di una giustificazione a parcelle milionarie.
E allora perché passo le mie notti in ufficio, lavorando fino allo sfinimento?
Perché il pelo liscio nella narice destra aggiunto su consiglio del cliente non piace alla controparte, che preferisce un pelo riccio. Tre riunioni e due notti di lavorano portano al risultato: nessun intervento sul naso, ma due peli nelle orecchie.
La notte prendo sonno facendo finta di essere importante.»p. 34-35
Duchesne (Federico Baccomo), Studio illegale, Marsilio, 2009.
Conti L., Comunicare con Twitter. Creare relazioni, informarsi, lavorare, Hoepli, 2010.
Cignetti L., “Note sull’impiego dei segni di interpunzionenella comunicazione mediata dal computer”, in Cerruti M., Corino E., Onesti C. (a cura di), Formale e informale. La variazione del registro nella comunicazione elettronica, Carocci, 2011, pp. 171-182.
Duchesne (Federico Baccomo), Studio illegale, Marsilio, 2009.
Xhaet G., Le nuove professioni del web. Fate del vostro talento una professione, Hoepli, 2012.
Weinberger D., Elogio del disordine. Le regole del nuovo mondo digitale, BUR, 2009 (2007).
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