In questo post provo a ordinare gli appunti raccolti durante una consulenza. A tema i processi di accoglienza dei servizi sociali in un comune di medie dimensioni. La consulenza ha coinvolto l’intero gruppo dei professionisti impegnati nel servizio: personale di supporto, figure con ruoli amministrativi, assistenti sociali, figure responsabili.
Per provare a precisare. Un primo passaggio ha comportato mettere a fuoco in che senso è possibile usare il termine accoglienza in un servizio sociale comunale. Vi è una sola accoglienza o ve n’è più d’una? L’accoglienza riguarda quello che succede nel momento dell’incontro, dice di un certo modo di essere di quell’incontro (l’etimologia segnala l’atto di ricevere presso di sé con attenzione). E le persone possono venire accolte per la prima volta (persone non conosciute) o essere riaccolte tutte le volte che tornano al servizio (accoglienza reiterata).
L’accoglienza poi non riguarda solo gli utenti, ma anche la varietà di persone che si presentano al servizio per motivi e con attese diverse (e che cammin facendo si scopre non essere ascrivibili alla classe degli utenti).
Dal confronto è emersa che la questione dei ‘medium di accoglienza’: spazi, tempi, tecnologie, persone… Le persone entrano intenzionalmente in contatto con il servizio sociale non solo recandosi di persona. Molto spesso il primo contatto avviene con una telefonata, e con sempre maggiore frequenza mediante un’email. Progressivamente la tecnologia media i primi contatti e contribuisce a modificare le pratiche di accoglienza, in modo non sempre evidente ma influente. La tecnologia non solo apre, ma intervalla, supporta, interferisce o conclude un ciclo di incontri di persona. Ad esempio dopo un primo rapido contatto nel quale si raccolgono le informazioni essenziali e si vagliano le richieste di chi si presenta al servizio, si passa sul ‘canale digitale’ si possono ricevere (o dare) informazioni via email o via sms, per poi incontrarsi di nuovo e proseguire gli incontri…
Forse è banale e leggermente retorico, ma da più parti è stato ricordato che non si accolgono problemi ma persone. Persone che ‘hanno’ (vivono) difficoltà molto diverse. Se le persone accolte sono diverse, viene da pensare che ci saranno forme di accoglienza differenziata per rispondere alle esigenze dei diversi interlocutori che accedono al servizio, per entrare in contatto con le loro aspettative. Accoglienza personalizzata, certo in varietà sostenibile e senza con questo considerare le attese di chi si presenta al servizio sociale come assolute (il dominio incontrastato e inappellabile dell’utente, l’ipercentralizzazione dell’utente, ha detto qualcuno). Una accoglienza che riconosca l’altro/a, che punti ad aprire un contatto.
Così abbiamo provato a fare una ricognizione di chi si presenta al servizio sociale:
Questo elenco è un po’ general-generico e fa subito pensare all’esigenza di mappare e monitorare con una certa cura gli utenti che si presentano al servizio. Chi accede non è un tutto compatto e costante, conosciuto una volta per tutte. E al variare delle condizioni delle persone che entrano nel servizio, potrebbe essere necessario riconsiderare le modalità di ricevimento e di accoglienza (pensiamo solo all’incremento dei numeri recentemente segnalato da molti servizi sociali, al mutare delle condizioni socio-economiche e delle attese che chi opera – in front-office e in interventi sociali di accompagnamento – segnala.
Poco sopra accennavo al fatto che sono possibili forme di accoglienza differenziate, che mettono in campo modalità relazionali con caratteristiche diverse. Di fatto, nella ricognizione delle esperienze è emerso che accoglienza viene modulata in relazione alla collocazione delle persone (non approfondisco, e anche questo aspetto, merita un approfondimento ad hoc).
Osservando da vicino i processi di accoglienza abbiamo riscontrato due fasi cruciali (la prima spesso sotto valutata o svalutata). Con chi opera nel servizio abbiamo identificato due fasi che caratterizzano l’accoglienza:
Nel servizio in questione il ricevimento (o ri-ricevimento per le persone che si presentano più volte) è un passaggio poco vagliato, le coordinate operative sono piuttosto lasche, lasciate alle sensibilità individuali. Non è difficile convenire che in ogni contatto fra persone le caratteristiche individuali sono importanti e insopprimibili, ma non disponendo di coordinate comuni, di linee di azione da tenere presenti nelle differenti situazioni si finisce con offrire una gamma di risposte disordinate, cacofoniche e… confusive. Va da sé che il discorso vale sia per la fase di ricevimento che per la fase di accoglienza. Tuttavia dagli scambi tra le persone che hanno partecipato alla consulenza è emerso che l’attenzione ai momenti del ricevimento di persona, telefonico o via email andrebbero maggiormente considerati.
“Nei nostri servizi ci sono due accoglienze, una prima e una dopo. Quella prima di solito la fanno le persone che stanno all’ingresso o alla reception, quell’altra, la seconda la fanno le assistenti sociali. Tra la prima e la seconda accoglienza c’è come un salto…”
Riconsiderando episodi più o meno sereni, verificatisi nella fase di accoglienza si è convenuto che accogliere è una delicata azione sociale (e professionale) che – per come sono organizzati i servizi sociali (e altri servizi alla persona) – potremmo considerare compresente in due momenti: il ricevimento nello spazio/tempo dei servizi sociali e il ricevimento nello spazio/tempo di un colloquio con un’assistente sociale.
Se l’accoglienza è composta da due fasi, allora ci si può porre la domanda su chi effettivamente dia avvio agli interventi sociali. Chi riceve – in un servizio sociale – svolge una azione relazionale: in che modo il primo ricevimento può sostenere il processo più di accoglienza? In alcuni servizi non sempre ci sono persone deputate al solo ricevimento. Nel servizio di cui racconto, a turno in modo (più o meno) organizzato, o in modo informale (passando dalla sala di attesa o rispondendo al telefono) a tutte le persone che lavorano nel servizio è capitato di assicurare il ricevimento (o di intervenire in quella che è stata definita accoglienza informale). Ma, ragionandoci, è parso possibile immaginare di organizzare diversamente il servizio di accoglienza.
Più persone hanno fatto notare che anche l’attesa è un momento critico (che ha a che fare con l’accoglienza). Chiedere (o dire) agli utenti che c’è da aspettare richiede una garbata assertività (e a volte la pazienza di accogliere disappunti, rimostranze, per poi provare a spiegare le ragioni e il senso dell’attesa che viene prospettata). E fare aspettare insieme, in uno spazio non sempre idoneo, non è cosa da poco…
“Accogliere non significa mostrarsi allegri o spensierati. Ma neppure scontrosi. Forse la cosa più importante è essere (e mostrarsi) attenti al primo contatto. L’accoglienza è nel saluto, nella nelle prime indicazioni: ‘si accomodi’, ‘c’è da aspettare’, ‘un attimo e siamo da lei…”
Accogliere è qualcosa di attivo, anche se si può essere portati a pensare che l’azione più intensa viene svolta da chi si rivolge al servizio, in effetti la postura di chi riceve, il modo di stare nel spazio (spesso ristretto e non progettato per accogliere confortevolmente), il tono di voce, le parole che vengono dette, il mantenere il contatto relazionale, la gestione del gruppo in attesa, sono microfattori che contribuiscono (insieme alle condizioni soggettive) a determinare il clima e le condizioni del successivo incontro. Per questo gestire l’attesa è un aspetto essenziale dei processi di accoglienza.
Provo a elencare i punti di attenzione emersi esaminando alcune concrete esperienze di accoglienza:
Ragionando dell’accoglienza, delle modalità per assicurarla, delle difficoltà, di quello che si è compreso, ma anche delle incomprensione, degli episodi simpatici o imbarazzanti, è andato via via componendosi un quadro delle ragioni che fanno dell’accoglienza un momento cruciale. Provo a ricapitolarle, sapendo che qualcosa mi è sfuggito.
Quali sono gli ingredienti di base di un buon ricevimento e di una buona accoglienza? Quali attenzioni valgono indipendentemente da chi sono le persone che entrano nel servizio e vengono accolte? Sono individuabili indicazioni concrete, utili nella pratica? Fin qui ho argomentato i due momenti dell’accoglienza, declinabili in relazione al rapporto che si vuole avviare o mantenere, alla presenza di altre persone, alle caratteristiche di chi entra in contatto con il servizio e alle attese che vengono sviluppate. Credo sia importante rendere esplicite le differenze fra i due momenti e anche i punti in comune… Ma interrompo qui il post qui. Per completarlo devo riprendere gli appunti, riconsiderare i contributi delle persone con le quali ho lavorato, riformulare le indicazioni emerse per assicurare la riservatezza dovuta al cliente.
Bruni A., Lo studio etnografico delle organizzazioni, Carocci, 2003.
Bruni A., Fasol R., Gherardi S. L’accesso ai servizi sanitari. Traiettorie, differenze, disuguaglianze, Carocci, 2007.
Grazie!! Massimo
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