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La fatica di prendere appunti per lavoro /8 – Mankell scrive sulla neve

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Thoth or Theuth. God of Knowledge, Hieroglyphs and Wisdom

Appunti effimeri

Nel catalogo delle tipologie di appunti (qui trovate gli altri post della serie 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 9), non rientrano solo gli appunti informativi, o quelli utili a ricordare, ma anche quelli performativi, cioè quelli che hanno il compito di attivare e di far agire in qualche modo. Si tratta spesso di scritture effimere (ma non per questo meno importanti), testi che – esaurito il loro immediato scopo – vengono eliminati. Ad esempio una volta letto, un post-it può essere accartocciato e gettato, e un sms cancellato. A volte si tratta di appunti momentanei sia per via la loro funzionalità decisamente condizionata: fornita l’istruzione diventano inutili, sia perché fissati su un sostrato fragile (se prendo nota sul bordo del giornale, può capitarmi di dimenticarlo). Ma potrebbe essere proprio la funzione performativa e l’intrinseca caducità del messaggio a determinare modalità trasmissione particolari: la rilevanza e l’eccedenza del contenuto necessitano di protezione e di mediazione orale, richiedono che un soggetto si faccia tramite del messaggio. A questo punto, per esemplificare la questione che intendo affrontare, proseguo con la lettura-commento di un nuovo passo tratto dal romanzo di Henning Mankell, Il ritorno del maestro di danza.

Poi notò un uomo che si avvicinava camminando sul ponte. Alla luce di un lampione lo riconobbe. In uno dei primi giorni trascorsi a Sveg, aveva preso un caffè nella sua cucina. Cercò di ricordare il suo nome. L’uomo che in tutta la sua vita non era mai andato più lontano di Hede. Poi gli venne in mente. Björn Wigren. Anche Wigren lo aveva riconosciuto. “È ancora qui?” chiese meravigliato. “Pensavo che se ne fosse andato. Elsa non ha commesso nessun omicidio, non potrei mai crederlo.” Stefan si chiede come avesse fatto Wigren a sapere che Elsa Berggren era stata portata a Östersund. Ma in quel momento la domanda non aveva alcun senso. Forse Björn Wigren avrebbe potuto aiutarlo. “Parleremo dopo di Elsa Berggren” disse. “Adesso ho bisogno del suo aiuto.” Cercò una penna e un foglio di carta nelle tasche, senza trovare niente. “Ha qualcosa con cui scrivere?” “No. Ma posso andare a casa a prendere carta e penna, se è una cosa importante. Di cosa si tratta?” La sua curiosità è incredibile, pensò Stefan, guardandosi intorno. Erano fermi vicino alla spalla del ponte. “Venga qui” disse. Andarono nel punto in cui il ponte incontrava la ferrovia. Lì c’era uno strato di neve intatto. Stefan si accovacciò e iniziò a scrivere con le dita sulla neve. “Casa di Elsa. Veronica. Pericolo. Stefan”. Poi si alzò. “Vede cosa c’è scritto?” Björn Wigren lesse ad alta voce. pp. 451-453 Mankell H., Il ritorno del maestro di danza, Marsilio, 2010

La citazione mi suggerisce tre riflessioni:

1. Alcune scritture hanno bisogno di voce

C’è un genere di appunti (di scrittura) che per essere efficace ha bisogno di protezione. Appunti che per funzionare hanno necessità di essere affidati e di non essere lasciati a loro stessi, appunti che temono la disattenzione, e che acquisiscono valore non solo per il contenuto ma per la rilevanza che viene attestata dall’autorità che li veicola e se ne fa garante.

Socrate – Perché, o Fedro, questo ha di terribile la scrittura, simile per la verità alla pittura: infatti, le creature della pittura di stanno di fronte come se fossero vive, ma se domandi loro qualcosa, se ne restano zitte, chiuse in un solenne silenzio; e così fanno anche i discorsi. Tu crederesti che parlino pensando essi stessi qualcosa, ma se, volendo capire bene, domandi loro qualcosa, di quello che hanno detto, continuano a ripetere una sola e medesima cosa. E una volta che un discorso sia scritto, rotola dappertutto, nelle mani di coloro che se ne intendono e così pure nelle mani di coloro ai quali non importa nulla, e non sa a chi deve parlare e a chi no. E se gli recano offesa e a torto lo oltraggiano, ha sempre bisogno dell’aiuto di un padre, perché non è capace di difendersi da solo. Fedro – Anche questo che hai detto è giustissimo. [275 D,E] pp. 580 Platone, “Fedro”, in Reale G. (a cura di), Platone. Tutti gli scritti, Bompiani, 2000, pp. 533-594.

Rileggendo le riflessioni di Platone a proposito dello scarto che la tecnologia della scrittura introduce nella comunicazione orale e riprendendo le considerazioni di Ong (pp. 120-122), viene da pensare che esista una zona intermedia tra oralità e scrittura. Agli albori della scrittura, la diffusione non veniva assicurata: sia per la scarsità del supporto (non vi erano libri disposti a custodire i contenuti e neppure social network disposti a rilanciare), sia per la ridotta padronanza della tecnologia (pochissimi sapevano leggere). Per questo la considerazione di Socrate potrebbe essere letta nella sua intrinseca fattualità: per essere efficace sul piano della comunicazione era necessario che il testo scritto venisse accompagnato e promosso, determinando così una zona nella quale scrittura e parola non si ritraggono in avverse dimensioni, ma coabitano. Uno spazio ecotonico dove la scrittura senza la parola non potrebbero sopravvivere (e la parola senza scrittura perderebbe un prezioso alleato). È un po’ quello che succede agli appunti che vengono accompagnati da parole o che accompagnano interventi orali (forse le slides ne sono un esempio: possono venire lette, ma veicolano contenuti limitati: per esprimere al massimo grado la loro densità hanno bisogno della voce che continuamente le illustra). Vi sono dunque scritture che non escludono l’oralità, la spiegazione e l’attestazione di autenticità per mezzo della voce: scritture non solo fatte per essere lette nella mente, ma anche per essere spiegate.

2. Si può scrivere ovunque

Ne risulta, a ben guardare, che tra tutte le arti dette popolari quella della modellazione figurativa dei pani è la più prossima per condizioni, modalità e prodotti alla poesia di formazione e tradizione orale. p. 87 Cirese A. M., “Arte plastica effimera: i pani sardi”, in Cirese A. M., Oggetti, segni, musei. Sulle tradizioni contadine, Einaudi, 2002 (1972), pp. 83-95.

Come l’arte effimera di cui parla Alberto Mario Cirese (2002) arte affidata a pani o a dolci, così la scrittura può essere affidata a supporti in origine destinati ad altro. Ma la scelta del sostrato impatta sulle possibilità d’uso e sulle dimensioni simboliche. Si può scrivere quasi ovunque, diversi materiali si prestano ad essere iscritti, gli oggetti stessi possono venire composti de prendere forma di scritture. La scelta dei supporti è parte della pratica scrittorie (oggi scegliamo con intenzione un social network piuttosto che un altro): un appunto lasciato sulla scrivania dice che qualcuno ci ha cercato, è passato da noi, ha trovato un post-it e ha lasciano un messaggio. Si può scrivere sulla neve, in mancanza di altro, ma più il messaggio si affida a supporti fragili, occasionali, da preservare, più il messaggio si fa urgente ed esposto al rischio di disperdersi o svanire. Si può scrivere ovunque, ma con differenti riverberi comunicativi.

3. La scrittura produce autorità

Come stanno in relazione l’autore, il suo testo, chi trasmette il testo (a volte lo stesso autore) e l’altro del testo (destinatario o lettore involontario)? Il distanziamento fra autore e destinatario, consentito dalla scrittura, può essere in alcuni casi eccessivo. Si rende necessario allora chiamare in causa una figura di mediazione che prenda parola per attenuare la distanza tra intenzione e fruizione. L’appunto sulla neve – di cui si racconta nel brano di Mankell – non è un testo conchiuso e autoesplicativo. Esige al contrario un ausilio che ne consenta la funzione comunicativa. Stefan spinto dall’urgenza ha scritto un messaggio telegrafico che è una richiesta di aiuto e un’indicazione, ma bisogno che qualcuno segnali la presenza del messaggio, lo inserisca nel contesto dell’azione, ne attesti la veridicità. Se il messaggio scritto è scarsamente autoesplicativo (o volutamente non esplicito), la volontà comunicativa lega il suo latore ancora più saldamente al contenuto. Chi fa da tramite che può essere investito della responsabilità di custodire il supporto o di promuove la fruibilità del testo (come nel brano citato). Il contenuto del messaggio non avrebbe senso e non sarebbe ripetibile per chi è incaricato di consegnarlo, né potrebbe venire ricordato. Il contenuto viene dunque fissato per iscritto e viene affidato ad un mediatore con il compito di veicolarlo o di trasportarlo, di preservarlo se il supporto è effimero, fragile, inconsistente, di renderlo visibile o di indicarlo. Questo incarico determina una seconda figura che interviene nel dare o nel prolungare la vita dello scritto. Gli appunti effimeri sono testualizzazioni parziali e insufficienti che perderebbero di senso e rilevanza se non fossero accompagnate da parole esplicative che collocano in una posizione di autorità il soggetto chiamato a svolgere la funzione protettiva.

La scrittura non è solo testo: è contesto, autore e coautore

Alcuni appunti possono essere scritture fragili, incomplete. Difficile assicurarne autorialità, autenticità e autonomia comunicativa: serve aiuto. Così accade che queste note vengano trasmesse da soggetti che contribuiscono a validarne la rilevanza, ad assicurarne l’autenticità, a enfatizzare la densità in situazioni in cui il testo è stato composto per avere effetti pratici. Pensiamo a Twitter: se retwittiamo un micro post ci facciamo latori in un contesto di rapporti di un appunto effimero, che rilanciamo contribuendo alla sua diffusione e all’autorevolezza del suo autore, acquisendo a nostra volta lo status di coautori.

Riferimenti

Cirese A. M., Oggetti, segni, musei. Sulle tradizioni contadine, Einaudi, 2002. Kilani M., Antropologia. Una introduzione, Edizioni Dedalo, 1994 (1992). Mankell H., Il ritorno del maestro di danza, Marsilio, 2010 (2000) Ong W. J., Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino 1986 (1982). Platone, “Fedro”, in Reale G. (a cura di), Platone. Tutti gli scritti, Bompiani, 2000, pp. 533-594.

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