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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Disinvolta deissi 2.0 per volere di Richelieu (#prendifiatolab)

Voi siete qui

Di cosa stiamo parlando?

La scrittura 2.0 è veloce, essenziale, contratta. A volte incomprensibile, se non si sa già di cosa si sta parlando. Se poi la dimensione conversativa prevale sulla funzione informativa, la conseguenza è lo spiazzamento di chi si immette nel flusso dei commenti, dei tweet o dei whatsapp (in assenza di retroterra di senso o di agganci con il procedere degli scambi). La sequenza degli interventi può essere così incalzante da disorientante e provocare l’abbandono dell’interazione. Se poi i turni di parola perdono anche gli agganci minimali con il contesto nel quale (o del quale) si sta discutendo, se perdono i refenti che consento di identificare chi , cosa, come, dove, quando… allora le conversazioni franano verso l’incomprensibilità. Per questo l’indessicalità di un testo (il suo aggancio con il contesto interno o esterno e i marcatori deittici (nomi, pronomi, sincronia dei tempi, avverbi e indicatori di luoghi, esplicitazioni di sigle) sono essenziali per comunicazioni efficaci.

Due parole: indessicalità e deissi

Ciò di cui vogliamo ragionare in questo post è la comprensibilità dei testi scritti attraverso i mezzi 2.0. Scriviamo email, tweet, post su Facebook, inviti, post che pubblichiamo in blog. Scambiamo sms e messaggi istantanei. Scriviamo, tanto, sempre di più (sovrabbondanza?). Scritture a volte è incomprensibili, inefficaci, pronte a fraintendimenti. Il punto non è contenere la scrittura 2.0 (compito impossibile e privo di motivazioni che non siano moralistiche). Il punto è semmai diffondere padronanza affinché la scrittura sia chiara, efficace in relazione all’uso che se ne vuole fare [questo almeno il punto per me]. E uno degli aspetti più delicati nella scrittura 2.0 è la costante relazione con il contesto di senso e di riferimento dei/le parlanti.

Indessicalità. L’idessiccalità (o indicalità) si riferisce alla relazione che intercorre fra un enunciato, una frase, un discorso, un testo e il contesto nel quale viene collocato. Ovviamente non tutte le scritture hanno relazioni di dipendenza essenziale rispetto al contesto dei parlanti (i romanzi creano un loro contesto e ci catturano), ma gli inviti, le informazioni, i divieti, gli accordi, le istruzioni sì! E per questo è fondamentale individuare le parti del discorso che lo collegano al contesto a cui si riferiscono.

Deissi. Parlando e scrivendo continuamente ci riferiamo a elementi del discorso (deissi interna = indessicalità anaforica) e a elementi del contesto (deissi interna = indessicalità esoforica). Ci collochiamo nel tempo (deissi temporale), nello spazio (deissi spaziale), nella relazione con altri soggetti (deissi personale), nella relazione sociale (deissi posizionale) o chiariamo il significato di sigle (deissi esplicativa). Senza avverbi di tempo e di luogo, pronomi e aggettivi personali, titoli sociali o sigle le nostre conversazioni non procederebbero. Tuttavia a volte gli elementi impliciti o le ambiguità congiurano nel rendere i nostri discorsi scarsamente comprensibili, se non oscuri. E se parlando possiamo rispondere immediatamente alla mimica dei nostri interlocutori o alle loro domande, scrivendo i feedbak sulla comprensibilità non sono immediati (o proprio non ci sono: chi ci legge passa semplicemente oltre, attratto da testi più chiari ed espliciti). Di qui l’attenzione sul controllo deittico (la cura dei riferimenti e degli agganci) della scrittura, anche di quella 2.0.

Un testo senza contesto, che testo è?

Perché la deissi è importante? Molti testi non hanno collegamenti espliciti con il contesto. Vivono nell’implicito dell’intesa fra chi scrive e chi legge. Se il ragionamento o lo scambio interno al testo smarriscono il filo con il mondo al quale si riferiscono (riferimenti spaziali, temporali e personali, per dirla con voce tecnica ‘deissi’) e con l’interno del testo (coerenza interna), si smarrisce la possibilità di comprenderne il senso. Diversi elementi grammaticali possono svolgere la funzione di connettivi: avverbi, locuzioni avverbiali, congiunzioni, verbi, preposizioni, circonlocuzioni.

Per chi parla o si trova coinvolto in una comunicazione, non sempre il contesto precede il testo, non sempre il contesto è condiviso. È proprio quella conversazione o quel testo che si mettono all’opera per costruire o ampliare il contesto di senso. Per questo un’accortezza è scrivere costituendo con maggiore intenzionalità il contesto di comprensione (questo è un punto che merita un post dedicato, ci ritornerò, promesso).

Posto un messaggio su whatsapp la sera e il messaggio viene letto la mattina. Scrivo: “Domani entro mezzogiorno mandatemi i materiali richiesti”. Di che domani parlo? Il mio domani, o il domani di chi legge? Se chi legge è accordo butta l’occhio alla data di pubblicazione (e non è un caso che ci sia). Quanto ai materiali richiesti, chi scrive certo confida che sia chiaro a tutti di cosa sta parlando (ma a volte non è così, perché qualcuno ha perso le battute, qualcuno è stato offline ed è rientrato da poco, qualcuno non risale la conversazione per chiarire come si arrivati al punto).

Per volere di Richelieu

“Tenete,” disse “e siate maledetto!”
Athos prese la carta, ripose la pistola alla cintola, si avvicinò alla lampada per assicurarsi che fosse proprio quello il biglietto voluto, lo spiegò e lesse:

“Il latore della presente ha fatto quello che ha fatto per ordine mio e per il bene dello Stato.
3 dicembre 1627
Richelieu”.

p. 484
Alexandre Dumas, I tre moschettieri, BUR, 2003 (1949).

Per spiegare la deissi questo passaggio de I tre moschettieri si presta opportunamente: Athos si fa consegnare dalla perfida Milady il lasciapassare ottenuto dal cardinale Richelieu. Si noti come, la formula che chiama in causa un ‘latore’ (una persona indefinita) e un comportamento ‘indefinito’ (quello che ha fatto) è motivato e giustificato da un ordine autoritativo e da un interesse superiore deresponsabilizza l’autorità che concede il permesso di agire. Che cosa verrà fatto, per quale ragione, ad opera di chi, lo si comprende solo leggendo il romanzo di Dumas. In origine Milady avrebbe dovuto uccidere D’Artagnan. Quello che accadrà… Be’, quello che accadrà è rimandato alla fine del romanzo (o del post).

Ostacoli al connettersi con il contesto di senso

Se in una conversazione multipla scrivessi: “domani vengo da voi”… o so per certo che tutti i destinatari controllano il momento di pubblicazione del messaggio e sanno che il voi sono alcune specifiche persone, o viceversa non è chiaro a quale domani mi riferisco: domani rispetto a oggi, o domani rispetto a domani (tempo nel quale leggerò la mail)? Da voi? Se i voi fossero più gruppi di persone: di quali voi stiamo parlando? Nel parlato e nello scritto costituiscono elementi deittici quelle parti del discorso che collegano il discorso o il testo ad un contesto che contribuisce a dare senso agli enunciati e alle conversazioni.
Quando si scrive disseminare riferimenti ad un contesto che non è (o non può essere) condiviso costituisce un ostacolo alla comprensione dei contenuti. Se scrivo email, sms, tweet o post su Facebook ne escono messaggi inintelligibili e perciò inutili. Di qui l’interesse e l’attenzione per le dimensioni deittiche della comunicazione. Segnalo forme di deissi temporale, personale, spaziale, sociale rispetto alla posizione sociale e alle sigle.

Avverbi di tempo

Prima o dopo, ieri, ierlatro, domani o postdomani… fra dieci minuti, subito: se non posso determinare il momento in cui queste espressioni vengono pronunciate non posso attribuire loro alcun valore temporale. Un tweet che invita ad un concerto funziona perché la cornice che lo veicola lo determina temporalmente. A volte per risparmiare si omettono informazioni temporali circostanziate, ma se ciò favorisce i rilanci e le condivisioni (messaggi brevi possono essere condivisi e commentati), dal punto di vista dell’immediata intelligibilità non è un vantaggio. Se poi scrivo le date complete facilito la possibilità di salvare nelle agende.

Avverbi di luogo, pronomi e aggettivi dimostrativi

Qui, là, su, giù, a destra o a sinistra… rispetto a chi? rispetto a quale riferimento spaziale certo? Questo e quello, l’altro… nulla da dire, a condizione che sia chiaro il riferimento. Quanto agli indirizzi, se li scrivo per intero facilito la possibilità di richiamarli (volendo posso anche attivare mappe…).

Verbi all’infinito

L’infinito, lo dice la parola stessa, è un tempo indefinito. È il tempo delle affermazioni atemporali (appunto). E quindi è ottimo per affermazioni generali, ma non aiuta a collocare nel tempo della realtà, a dire i soggetti che compiono l’azione, salvo non corredarlo opportunamente da orari o da marcatori deittici precisi: “Domani, lunedì 17, chiamare prima di pranzo”. Si intende che sono io che dovrò chiamare? O che sei tu o è la persona alla quale lascio il post-it sul tavolo o mando l’sms? I verbi all’infinito decontestualizzano e detemporalizzano: affermano certo azioni, ma non ci consentono di ancorarci alla realtà.

Aggettivi e pronomi personali

Se il verbo è all’indicativo, in genere si comprende bene chi parla. Più facile inciampare con il lei, e con i pronomi possessivi, o con le forme impersonali… “La coordinatrice invita la docente e i suoi collaboratori”. La posizione dell’aggettivo ‘suoi’ farebbe pensare ai collaboratori della docente, anche se si potrebbe intendere suoi della coordinatrice (i di lei collaboratori). A volte nelle scritture veloci si incespica anche nei riferimenti io/tu, in particolare riferendo discorsi diretti e trasformandoli in discorsi indiretti.

Indicazioni di posizionamento sociale

Titoli o esplicitazioni di ruoli (responsabile, referente, dirigente, addetto/a, ecc.) aiuta certamente a far comprendere meglio di chi si sta parlando e in quale veste viene inserito o coinvolto nella conversazione.

Sigle

Nel campo della deissi, un punto dolens è costituito dalle sigle. Non è infrequente che in comunicazioni pubbliche, nel corso di interventi gruppi di lavoro, nel testo di relazioni e documenti professionali si faccia uso di sigle con l’obiettivo di semplificare e guadagnare spazio. Ma spesso non è questo l’effetto prodotto, al contrario, al primo impatto il testo si presenta come costruito per destinatari già introdotti. Se voglio promuovere un convegno sugli In-book e sulla CAA, sostenendo che si tratta di un tema importante per l’apprendimento, e se voglio rivolgermi ad un pubblico vasto, allora è saggio che spieghi cosa sono gli In-book e la CAA. Ma – salvo non sia una scelta intenzionale mantenere un velo di inintelligibilità per suscitare un moto di curiosità – le soluzioni adottabili per incrementare la comprensibilità di un testo non mancano. Si tratta di soluzioni che vanno dall’esplicitazione tra parentesi, alla sigla tra parentesi e sempre più spesso all’uso di link per facilitare l’esplicitazione (naturalmente sui supporti cartacei c’è bisogno di note o di parentesi esplicative).

L’implicito provoca danni

Dal punto di vista del lettore, l’incuria deittica (spargere impliciti impropri) non solo genera problemi cognitivi ma anche relazionali. Provo a segnalare alcuni problemi che mi capita di riscontrare.

  • Se non viene curata la corretta connessione deittica del testo con il contesto, chi legge può sentirsi messo a distanza o anche impropriamente avvicinato (la dis/attenzione deittica colloca ingroup o outgroup).
  • La percezione di distrazione verso i riceventi dovuta agli impliciti è controproducente, ed è ancora più antipatica quando ci si rivolge a un gruppo definito di destinatari e escludendo intenzionalmente un pubblico più ampio.
  • Il mancato controllo dei connettori deittici può provocare impressioni (anche involontarie) di auto-innalzamento a esperto conoscitore di un determinato tema, con retroazioni relazionali non auspicabili.

Se penso a Twitter, la sfida è stare nei 140 caratteri (anche meno per favorire il retweet), essere ficcante e comprensibile. La sfida è lanciare l’invito e fornire tutti gli elementi utili. La sfida è riportare il discorso di una terza persona senza generare confusione su chi ha detto o fatto cosa. La sfida è chiarire (o almeno non confondere). La sfida è non irritare, non perdere il contatto, mantenere la stima 2.0. Insomma, se si sbaglia la deissi si inibisce la comprensione e si alterano le relazioni.

Riferimenti

Bonomi I, Masini A., Morgana S., Piotti M., Elementi di linguistica italiana, Carocci, 2010.
Cisotto L., Didattica del testo, Processi e competenze, Carocci, 2006.
Hanks W. F., “Indessicalità / Indexicality”, in Duranti A. (a cura di), Culture e discorso. Un lessico per le scienze umane, Meltemi, 2001, pp. 168-172.
Raso T., La scrittura burocratica. La lingua e l’organizzazione del testo, Carocci, 2005.

Non tutto è perduto

“Sì, lo so, siete un uomo di coraggio, signore” disse il cardinale con voce quasi affettuosa; “posso dunque dirvi subito che sarete giudicato e condannato.”
“Un altro potrebbe rispondere a Vostra Eminenza che ha la grazia in tasca; io mi accontenterò di dirvi: ordinate, monsignore, sono pronto.”
“La grazia?” disse Richelieu sorpreso.
“Sì, monsignore” disse d’Artagnan.
“E firmata da chi?” Dal re?”

E il cardinale pronunciò queste parole con una singolare espressione di disprezzo.
“No, da Vostra Eminenza.”
“Da me? Siete pazzo signore.”
“Monsignore riconoscerà certamente la sua scrittura.”
E d’Artagnan presentò al cardinale il prezioso foglio che Athos aveva strappato a Milady e che aveva poi dato a d’Artagnan perché gli servisse da salvaguardia.
Sua Eminenza prese il foglio e lesse con voce lenta, staccando ogni sillaba:

“Il latore della presente ha fatto quello che ha fatto per ordine mio e per il bene dello Stato.
3 dicembre 1627
Richelieu”.

pp. 680-681
Alexandre Dumas, I tre moschettieri, BUR, 2003 (1949).

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