Il lavoro semisommerso di chi fa consulenza: elaborare, fare rete, comunicare.

L’indicibile del lavoro e il lavoro indicibile: ciò che non viene detto? che è meglio non dire? che è difficile o non si riesce ad esprimere? quello che sfugge e quindi non si lascia dire?
Diletta Cicoletti riprende il tema (lo avevamo lasciato lì, appoggiato; non proprio dimenticato ma quasi) e tira fuori la questione di come ci raccontiamo con il passare del tempo, nel succedersi delle situazioni, nel ‘pataclick’ contemporaneo del digitale 2.0. Chi siamo e come ci presentiamo per (poter) lavorare?
Già, chi siamo? E cosa facciamo – che non (ci) diciamo – per lavorare in qualità di consulenti?
Mi impegno a stare nella parte emergente del semisommerso. Affronto la questione, per chi a qualche titolo svolge attività ascrivibili al campo della consulenza, di mettersi nelle condizioni di stare sul mercato, rispondendo in questo modo al nucleo della domanda “chi siamo?”. Siamo persone che hanno l’esigenza di stare nel/sul mercato (insight vs. ovvietà?). Soggetti che insieme ai contenuti del loro lavoro devono curare un lato commerciale più o meno riconosciuto. Di qui l’esigenza di presentarsi. E non è solo che noi cambiamo, e che cambia la realtà. Cambia anche il mercato, sembra estendersi, contrarsi, sussultare, inclinare, farsi ripido, instabile, scosceso (wonderland?). Ma non voglio indulgere verso il lato minaccioso delle cose. Voglio segnalare come viene affrontare questa complessità.
Ho l’impressione vengano intraprese tre direttrici:
- Qualcuno lavora alla produzione di contenuti, riflette, documenta, racconta le esperienze di lavoro. Uno sforzo elaborativo di costruzione di conoscenza, per sé e per i clienti (attuali e potenziali): articoli, post, libri. Più recentemente ebook meno costosi, forse meno impegnativi. Si può fare consulenza se non si ricavano apprendimenti dall’esperienza, se non contribuisce a sviluppare qualche nuovo punto di vista, non solo critico, ma eventualmente propositivo? Lavoro non strutturabile, a prima vista non riconosciuto, impegnativo, faticoso. Vero. Ma anche entusiasmante, avventuroso, piacevole, rigenerante.
- Anche fare rete è essenziale: molte reti e molti modi di stare in relazione. Dalle reti professionali e crossprofessionali, alle reti di imprese settoriali o territoriali, alle reti tangenti o fuori campo specifico: di impegno civico o culturale, fino alle reti di impresa temporanee o simultanee. L’obiezione che mi è capitato di sentire è che le reti implicano condizionamenti e – a volte – vassallaggi. Vero, le reti impigliano, ma qualche volta salvano. Stare in rete svagatamente, più che condizionamenti consuma energie. Senza minimizzare le controindicazioni, il tema mi sembra come e per cosa stare/fare rete.
- Ma la pubblicità è ancora l’anima del commercio? Comunicare nella consulenza è facile a dirsi, difficilissimo a farsi. A ben vedere elaborare e fare rete sono forme di comunicazione. Provo a dire cosa intendo per comunicazione: non si tratta solo di sviluppare idee non si tratta neppure di investire nel rimanere connessi (nel continuo riconfigurarsi dei network più o meno strutturati, si tratta proprio di trovare uno spazio di visibilità, di costruire spazi di interazione, di mettere idee, intuizioni, pensieri, ricerche in formati non solo trasmissibili ma dialoganti: produrre articoli, post, slides o video è solo l’inizio. Lavorarci sistematicamente e intenzionalmente (l’intermittenza non paga). Si finisce così per investire tempo ed energie, in particolare se si lavora da soli. Tempo ed energie sottratte. Verissimo. Ma senza comunicazioni intenzionali, l’esito è l’oblio. Senza comunicazioni in sintonia con le trasformazioni tecnologiche l’esito è l’inefficacia.
Tre direttrici, per alcun* divergenti, esclusive. Per altr* alternabili. Per altr* ancora intrecciabili. Con i pro e con i contro del caso: lavoro supplementare, non sempre apprezzato, a volte non immediatamente remunerativo.
Tre direttrici, in solitaria, oppure no.

Like this:
Like Loading...
Related
Recent Comments