Forse conviene mettersi d’accordo sul significato che attribuiamo al termine Partnership, per non scoprire – quando è troppo tardi – che stavamo lavorando servendoci di premesse di senso così diverse da non essere conciliabili, ingannati dall’uso disinvolto del tag ‘partnership’. Non si tratta solo di concordare il codice linguistico, ma anche riferimenti e prospettive.
Per avviare l’esplorazione dei significati che il termine Partnership assume e cambia, prima di addentrami nell’analisi dei copiosi documenti disponibili, propongo una sintesi-commento di un articolo del politologo americano Stephan H. Linder dal titolo “Trovare un accordo sulla Partnership Pubblico-Privato. Una grammatica dei molteplici significati“. Si tratta di un contributo pubblicato nel 1999 (forse datato, forse no) che scaturisce da un contesto – quello statunitense – diverso da quello europeo e italiano. Un contributo che si riferisce – diversi passaggi lo segnalano – agli effetti sul welfare delle forme di collaborazione fra pubblico e privato e che soprattutto ha il pregio di non saltare a piè pari una accortezza di metodo: chiarire in che senso impieghiamo il sostantivo astratto ‘Partnership’.
Sintetizzo per punti i nuclei e le argomentazioni proposte, con l’idea che possano essermi d’aiuto come schemi di confronto e di ricerca.
La partnership si presenta come un modo innovativo per scardinare modalità di gestione ancorati al passato: attraverso la collaborazione (e i vincoli introdotti dagli accordi di partneship) dall’approccio burocratico si vorrebbe muovere verso una visione più imprenditiva, basata sull’efficienza e sul dinamismo manageriale. Il problema è che gli isomorfismi si sa dove iniziano ma non a dove conducono (non si sa chi emulerà chi) e la prospettiva ‘educativa’ che motiva la costruzione di PPP non necessariamente produce gli effetti ricercati.
Le partnership vengono promosse come risposte alle difficoltà di erogare i servizi, trasformando i problemi in opportunità commerciali. Secondo questa prospettiva l’obiettivo non è tanto sviluppare competenze manageriali da parte dei funzionari, quanto introdurre soluzioni, modelli operative e capitali attingendoli dal Privato. Più mercato nei servizi pubblici, meno vincoli grazie all’apporto di efficienza con l’introduzione di obiettivi economici privati. Più mercato e meno gare a vantaggio degli operatori economici e dei destinatari dei servizi (questa è l’ipotesi).
In questo terzo significato la costruzione di partnership mirerebbe ad avvicinare il Pubblico alla superiorità del Privato, diffondendo l’efficienza operativa del mercato, contaminando le prassi delle agenzie pubbliche e le competenze di chi lavora nei servizi pubblici con le esperienze di chi opera in imprese private.
Spostare il peso finanziario sui Privati consente al Pubblico di attivare interventi economicamente consistenti senza capitali propri. Queste forme di partenariato se da un lato formalmente non privatizzano i servizi, certamente ne spostano il controllo e determinano costi non trascurabili per periodi di tempo lunghi.
Per rispondere al sovraccarico determinato dalla pressione di diversi gruppi di interesse e dall’estendersi delle competenze loro affidate, le amministrazioni pubbliche – per mezzo di partnership – si affidano a organizzazioni private per rendere più efficace la loro azione frenata da vincoli amministratici. In questo modo esternalizzano il controllo delle procedure, attenuando il loro potere di regolazione, e flessibilizzano anche i rapporti di lavoro.
Attraverso le partnership il servizi pubblici e le organizzazioni private provano a sviluppare forme di collaborazione e a condividere responsabilità, conoscenze e rischi. Per il Pubblico i vantaggi sono determinati dalla partecipazione alla diffusione delle politiche e per il Privato dal contenimento di vincoli e controlli. La configurazione che si determina comporta il rischio che si determini un’attenuazione dell’impatto delle politiche intraprese.
Costruire partnership è un modo per manifestare l’esigenza di costruire un mix di collaborazioni a vantaggio della comunità o della società. L’idea è di unire le forze, di mettere a frutto iniziative di volontariato, formali o informali, donazioni e altre forme di aiuto, di farle interagire con politiche e interventi pubblici per produrre interventi e risultati di benessere collettivo. La partnership esprime coinvolgimento, attivismo locale, responsabilità, e trae spunto da orientamenti culturali, politici e religiosi, dall’idea che la partecipazione alla vita della comunità sia un comportamento positivo e che il dilagare del profit vada contrastato.
L’uso del termine Partnership nasconde l’intenzione di far arretrare l’estensione e il ruolo del Pubblico a vantaggio del Privato e viene usato per non forzare e non delegittimare le istituzioni pubbliche.
Le prime tre ragioni per promuovere Partership Pubblico-Privato descritte da Linder (1999) indicano come le prospettive neoliberiste mirino contrastare forme di welfare pubblico e promuovere modelli di servizi pubblici ispirati dal mercato (aprendo il campo alla contraddizione fra le logiche del mercato e quelle della responsabilità degli attori pubblici).
Nelle seconde tre forme il pendolo si sposta a vantaggio di visioni neocoservative che prevedono maggiore devoluzione dei poteri a favore di attori privati maggiormente autonomi.
Nelle ultime due forme, Linder (1999) recupera due ulteriori possibilità: l’alleanza Pubblico-Privatoper l’interesse locale (pur con motivazioni diverse) o il tentativo di infilatrazione silente del Profit a danno del Pubblico.
Rimane il fatto che oggetto di cambiamenti (e assalti) è il Pubblico: dalle Partnership il Privato sembra non venire sfiorato nei suoi assunti profondi.
Due considerazioni:
Associazione Civita, Linee guida per la valorizzazione della cultura in italia attraverso la collaborazione pubblico/privato, 2012.
De Angelis, C., Lavenia P., Rozzo P., Elena Seina E., Profit, non profit e Pubblica Amministrazione Buone prassi di collaborazione, CCIAA Roma, 2011.
Linder S.H., “Coming to Terms With the Public-Private Partnership: A Grammar of Multiple Meanings”, in American Behavioral Scientist, 1999, 43, pp. 35-51.
Mendola R., Bombardelli M., Impresa sociale di comunità/Rapporto pubblico-privato, Wikibooks, 2010.
Vaccari P., Partnership pubblico privato come strumento per le smart cities: come, quando e perchè…, ForumPA, 2013.
E – a proposito di Partnership – non abbiamo ancora detto (quasi) nulla del terzo dominio di senso e di azione: il NonProfit… (salvo non lo si voglia assimilare in tutto e per tutto al Profit).
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