Appunto qui i passaggi che vorrei affrontare nella prima parte dell’ottavo incontro del corso di Psicosociologia dei Gruppi e delle Organizzazioni 2015 attualmente in progress in Unimib. L’introduzione d’inquadramento concettuale affronta la questione del domandare nei processi di ricerca conoscitiva e di intervento. A tema non vi il costrutto di domanda in ambito economico o sociale. La prospettiva è per certi versi più circoscritta: cos’è il domandare nelle attività di sviluppo di conoscenza? Sottolineo anche che non affronto un’altra (certamente più vicina) situazione in cui si sviluppa l’azione del domandare: la domanda che cliente rivolge al terapeuta, al consulente, o ad altre figure di aiuto. Si potrebbe dire che mi occupo della domandare in un senso molto vicino all’intervistare (anche se come si vedrà, l’intervistare non esaurisce il campo operativo del domandare).
Per prima cosa alcuni spunti. Si può digredire – con il piacere di andare subito altrove – o anche saltare i post di seguito segnalati, per tornarci in seguito, o anche mai più.
Che abbiate affondato nelle segnalazioni o che le abbiate skippate, l’appello che segue vi riguarda (e riguarda chi verrà a lezione): (altri) spunti, materiali, citazioni, slides, clip, idee sono richiesti per arricchire questo tentativo di mettere a fuoco l’azione del domandare. Non esitate dunque a condividere, dal vivo, nei commenti, successivamente. Ogni contributo welcome.
Mescolando le idee sollecitate dalla voce “Domanda”, curata da Christian Michelot nel Dizionario di Psicosociologia pubblicato da Cortina nel 2005 (pp. 354-357) e le riflessioni proposte da Daniela Gatti nell’articolo “L’intervista nel lavoro con le organizzazioni”, pubblicato da Animazione Sociale nel numero di febbraio 2008, alle pagine 43-49, ne escono questi tre snodi:
Domandare è aprire a una interlocuzione con l’altra persona o le altre persone con le quali si interagisce, e se anche l’occasione è definita da un’attività di ricerca, non è mai meccanica e irrilevante, chi domanda, la sua provenienza, il modo di porsi, di entrare in contatto, di condurre, di terminare e di accomiatarsi sono elementi che attivano le dimensioni cognitive ed emotive di chi si trova coinvolto. A partire da reazioni di fastidio, di irritazione per l’ingresso nel proprio spazio privato che ci accompagna anche in pubblico. E poi scattano i pensieri, su ciò che va detto (o non va detto), su quello che accade, sul senso dell’intervista. Fare ed essere intervistati non è mai banale. Domandare è aprire una relazione, seppure breve.
La domanda è uno strumento per raccogliere informazioni direttamente dalle persone. Delle diverse forme di intervista (a espressione libera, orientata, guidata molto si trova in letteratura). Qui desidero sottolineare una forma di intervista minimale, attivata dalla presenza più che da domande. Si tratta di colloqui nei quali le domande rimangono (volutamente o meno implicite), l’interlocutore inizia a raccontare spinto da ragioni diverse (in alcuni casi indagabili con delicatezza: “perché mi dice questo?”). I colloqui ero-epici di cui parla Girtler nel decalogo dell’antropologo, le informazioni raccolti a margine delle interviste vere e proprie, le informazioni date chiedendo che il registratore venga spento, sono potenti depositi informativi. Domandare è una azione esplorativa e costruttiva da non sottovalutare nelle ricerche conoscitive e di intervento.
Domandare è attivare o – anche – fermare. La conduzione di interviste crea aspettative, ritiri, stupori e eccitazioni, attiva pensieri, mobilita le autorità organizzative. Chi chiede agisce un potere quasi istantaneo: punta l’attenzione, attira l’attenzione, investiga, raccoglie elementi e induce a produrne di nuovi, nuovi pensieri, nuove mobilitazioni, nuove domande. Domandare (chiedere di intervistare) è già un intervento. E – sapendolo – ci si può organizzare con intenzionalità (si pensi solo a come cambia anticipare la richiesta di liberatoria, o anche a come le organizzazioni si allertano all’ipotesi che un gruppo di studenti del Dipartimento di psicologia si apprestino a far vista per una intervista). Domandare è azione. In che modo? Almeno due indizi: domandare attiva negli interlocutori il circolo emozioni-cognizioni, domandare produce in chi pone e in chi riceve la domanda un’attività di visioning, di prefigurazione alla quale immediatamente si reagisce. Per questo domandare è una azione da intraprendere con cura.
Le interviste sono un’attività impegnativa, non ovvia e non banale.
Dalla voce “Domanda” del Dizionario di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni, citata sopra viene un’indicazione ordinata: il proprio piano di intervista andrebbe fatto oggetto di un esame di messa a punto che ne chiarisca motivazioni, rilevanza, condizioni di conduzione, utilizzo successivo, e… elementi interferenti o sfuggenti:
Domandare introduce a più di uno scarto e apre la possibilità di approfondire ed estendere il lavoro conoscitivo, si può considerare…
L’apparente evidenza del domandare e la produttività certa in termini di raccolta di buone informazioni, vengono messe in scacco dal riesame dell’azione di produzione di conoscenze. Domandare è prefigurare, scegliere, cercare e ricevere, ma anche venire depistati, ostacolati, e perdersi.
La Cecla F. (1997), Il malinteso. Antropologia dell’incontro, Laterza, Roma-Bari.
A proposito dell’importanza del domandare, del porre le giuste domande e dell’ascoltare, oggi quando se ne parlava a lezione mi è venuto in mente questo video; non so se c’entri molto, però mi sembrava uno spunto interessante! http://www.ted.com/talks/ernesto_sirolli_want_to_help_someone_shut_up_and_listen?language=it#t-578885
Grazie!
Guardo il TED e lo linko :-)