Mainograz

Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Scritture verticali assertive

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Eccoci di nuovo nel campo delle scritture organizzative.
Cosa ci dice il cartello nella foto? Nella sua essenzialità intimativa merita un’analisi puntuale.
Intanto collochiamolo nel contesto. Siamo in un corridoio di una ASL lombarda. Lungo il corridoio si alternano uffici di figure responsabili, uffici amministrativi (come quello fotografato), una sala riunione, uffici di medicina legale, uffici veterinari, studi per visite mediche. Le porte sono numerate: stanze con funzioni differenti si susseguono.
Uscendo dall’ascensore non ci sono indicazioni e non ci sono display informativi. La prenotazione che ho in mano indica il piano, ma non la stanza. Sono in una specie di atrio e non so dove andare. Di fronte due porte aperte, mi avvicino, nessuno mi rivolge l’attenzione e io non oso chiedere. Sulle porte i numeri crescono in senso antiorario, e vanno verso sinistra. Non so perché ma a me viene spontaneo andare a destra. Trovo lo studio medico che cercavo e mentre aspetto leggo il cartello. Mi chiedo cosa implicitamente racconti dell’organizzazione e di come funzionano le cose. Lo fotografo. E adesso vengo al dunque.
Cosa ci dicono messaggio e supporto in relazione al contesto?
Il cartello è scritto con caratteri maiuscoli e grandi (ma non dà l’idea di essere urlato), infilato in una busta trasparente e fissato con lo scotch. Il testo è essenziale, non un punto, non un accenno di esasperazione. L’impressione è che chi lo ha scritto volesse semplicemente dire quello che ha detto: “Gestione amministrativa non disturbare” (un ottimo esempio di assertività scrittoria: nulla di più di quanto serve, non metamessaggi, non laspus, solo una comunicazione quasi minimalista).
Il supporto – carta comune inserita in una busta trasparente, fissata con nastro adesivo trasparente – rinforza la fermezza: il messaggio è fatto per durare.
Dunque c’è una porta, di norma chiusa (come adesso che nel momento della foto), con un cartello che intima – senza ammettere repliche – di non disturbare. E perché c’è l’esigenza di scrivere un cartello dissuasivo?
L’idea che mi sono fatto è che ancora una volta siamo in presenza di un esempio di auto-organizzazione, una forma di contrasto a un design dei servizi calato dall’alto, non efficacemente progettato. Nei servizi con molti accessi una reception è vitale: per gestire l’accoglienza, orientare l’utenza, dare (e raccogliere) informazioni, proteggere l’operatività. Qui l’orientamento in ingresso manca, e forse manca anche quello in uscita. Gli utenti devono scoprire da sé dove devono andare, procedono a tentoni, aiutandosi reciprocamente, cercando di indovinare, chiedendo dove si apre uno spiraglio. E giustamente chi deve svolgere attività amministrativa si rinserra in uno spazio e lo difende da intrusioni disturbanti.
Se prevale la comunicazione autoreferenziale (la stanza numero 1 è quella riservata alle riunioni, la stanza collettiva), se prevale l’impegno a comunicare la cura per la comunicazione e non a comunicare contenuti informativi utili ai fruitori dei servizi (grandi numeri sulle porte, a cui poi però non corrispondono riferimenti in sede di prenotazione delle visite), se prevale – ancora una volta – la cultura sanitaria sulla cultura sulla cultura del servizio pubblico (nessuno accoglie, nessuna informazioni per non perdersi, nessuna separazione funzionale degli spazi), allora non resta che intimare con fermezza di non disturbare, chiudere la porta e offrire il miglior servizio possibile compatibilmente con le condizioni ambientali nelle quali si opera.

A proposito di scritture organizzative verticali

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