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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Il design dell’accoglienza per favorire la partecipazione [#collaborare]

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La partecipazione scaturisce dalle intenzioni profonde e dalle pratiche concrete. La sintonia o la distonia fra ciò a cui miriamo e le attività che mettiamo in campo viene percepita dai piccoli segnali solo all’apparenza impercettibili. In questo post proviamo a mettere a fuoco tre aspetti che nell’esperienza di conduzione di gruppi di lavoro, momenti formativi, laboratori di progettazione in partnership, incontri fra cittadini e di comunità, ci sembrano importanti per creare quel clima di avvio sufficientemente aperto, disponibile, curioso che è uno degli ingredienti che non vanno sottovalutati nei processi partecipativi. Tre aspetti contribuiscono a innescare uno spazio di incontro rilassato e collaborativo:

  • la sede dell’incontro;
  • i materiali e strumenti di lavoro;
  • le attività di ricevimento.

Insieme contribuiscono a determinare come si propone a chi parteciperà di mettersi in relazione, di interagire, di co-lavorare per raggiungere obiettivi che in parte sono enunciati nelle comunicazioni di invito, in parte vengono affermati, richiamati, promossi e regolati proprio dagli elementi ambientali, strumentali e relazionali che marcano e danno significato al momento di avvio (accoglienza).
Non è dunque superfluo ricordare che il design dell’accoglienza determina sviluppi e prefigura esiti delle proposte di partecipazione che si costruiscono e si propongono in molteplici situazioni.

Ambiente (luogo e ambientazione interna)

Le sedi e gli ambienti parlano, dialogano, accolgono e orientano chi vi entra, li attraversa, vi svolge una qualche attività.

Il luogo dell’incontro, la location, il posto, quel particolare edificio, quella particolare sede dicono molto sul senso dell’incontro: la scuola media, la biblioteca, la sala di comunità, il community hub, il centro civico, la sala consiliare, il salone parrocchiale, il teatro dell’oratorio, un agriturismo, un ristorante, la sala riunione dei commercianti, il circolo locale, la sede di una associazione (o delle associazioni), la consulta di quartiere, la palestra comunale, il teatro locale, il centro anziani, il salone delle vecchie scuole elementari, il coworking, la sala conferenze di un albergo, una sala attrezzata della scuola professionale… e così via. È impossibile descrivere gli innumerevoli luoghi usati, che si prestano, o che possono venire adattati a luogo di lavoro in gruppo, di formazione, di incontro per momenti di partecipazione, ma ciascuno si costituisce come primo elemento comunicativo che invita (o respinge), che può far sentire a proprio agio, più prossimi al proprio contesto culturale di riferimento, o ancora ospiti di uno spazio non conosciuto, un po’ incerti e – a volte – appunto, a disagio. Per questo in ogni caso la scelta dello spazio in cui ritrovarsi a lavorare, incontrarsi, promuovere la partecipazione non è neutra o insignificante. Può essere che si scelga di costruire un itinerario di ospitalità, e allora gli incontri si terranno di volta in volta in luoghi diversi… o che si scelga di dare rilievo ad un soggetto che si è reso disponibile (un ospite che ospita), o di fare del luogo un messaggio di coinvolgimento (uno spazio comune o “superpartes”). Ed è fondamentale preoccuparsi della raggiungibilità con i mezzi, della disponibilità di parcheggio e di rendere le informazioni disponibili sulla pagina dell’evento, con post su Facebook o Twitter che consentano di arrivare facilmente, con indicazioni sugli stessi volantini/locandine di promozione.

Insieme alla sede dell’incontro entra in gioco poi l’ambientazione interna, la disposizione degli spazi e degli arredi che è un secondo aspetto da non trascurare (al contrario da curare). Si potrebbe obiettare che gli ambienti hanno una loro conformazione strutturale… certo le pareti non si possono spostare, ma si può fare spazio e ordine, disporre le sedie, predisporre i tavoli, assicurarsi che gli ambienti siano puliti e accoglienti (riscaldati o raffrescati), che i bagni siano accessibili, che qualcuno abbia le chiavi per aprire la sede di lavoro un po’ prima per avere tempo di preparare lo spazio (o gli spazi) di lavoro. Se non si ha la possibilità di fare un sopralluogo prima è importante farsi mandare una descrizione degli ambienti, assicurarsi che della loro predisposizione si faccia carico qualcuno che ne ha la possibilità, chiedere di fare qualche foto, così da rendersi conto degli spazi di lavoro e della loro funzionalità per gli scopi di coinvolgimento, confronto e partecipazione.

Ma in ambito psicologico setting è un termine che descrive un insieme di aspetti non solo spaziali, di ambientazione interna, di arredi e della loro disposizione. Quando usiamo setting in senso psicologico-sociale intendiamo riferirci alle dimensioni spaziali e temporali, alle regole di presenza, uso, interazione e relazione nello spazio. Il design degli spazi temporanei di partecipazione è allora altrettanto influenzato dagli oggetti di arredo e dalla loro collocazione, dai tempi di lavoro, dal giorno, dall’ora di inizio e  dall’ora di fine, dalla scansione delle pause, dalla conduzione/accompagnamento/facilitazione offerta, dalle attività e dal coinvolgimento proposti, e quindi dal riconoscimento degli apporti dei partecipanti che si ricerca.
Affrontiamo allora due altri aspetti che determinano le condizioni operative e influenzano le possibilità di successo di momenti di incontro e partecipazione: i materiali e gli strumenti utili in particolare nella fase di accoglienza e le condotte da tenere per rendere i momenti iniziali adeguati alle finalità per le quali ci si ritrova a lavorare insieme.

Materiali e strumenti propri della fase di accoglienza

I materiali e gli strumenti che servono nelle fasi di accoglienza per lo più sono quelli che verranno utilizzati nel corso delle attività di formazione, laboratoriali, partecipative che si realizzeranno. Con due accortezze.

  • Per un verso si tratta di avere a disposizione un appoggio, un tavolo, un banchetto dove appoggiare i materiali da consegnare, raccogliere eventualmente le iscrizioni, i riferimenti per i contatti successivi (indirizzo, organizzazione, email, eventualmente la liberatoria per la privacy), consegnare i cartellini per scrivere i nomi (ci ritorniamo poco più avanti). Questo insieme di materiali/strumenti costituisce il supporto delle attività di ricevimento formalizzato. Spesso però negli incontri di partecipazione il momento dell’accoglienza è più informale, ma l’informalità non va confusa con la disorganizzazione o l’incuria dello specifico momento: si può (decidere di) non avere un prestampato o un registro ufficiale, per raccogliere le presenze e un foglio può bastare, o anche si può decidere che le presenze verranno raccolte nel corso della pausa o prima di uscire. Si può decidere che non è necessaria una reception volante, ma una o più persone che accolgono, che danno il benvenuto, che fanno accomodare sono indispensabili.
  • Un secondo aspetto che riguarda gli strumenti attiene alla loro predisposizione o messa in funzione nello spazio di lavoro: come la collocazione delle sedie e dei tavoli preannuncia le modalità di lavoro, allo stesso modo aprire il computer, collegare il proiettore e le casse, appendere alcuni poster, fogli 50×70 o A4 alle pareti è un modo per (far) prefigurare come si lavorerà insieme e quindi catturare l’attenzione facendo immaginare i lavori che verranno proposti. In particolare predisporre un piccolo spazio buffet, anche solo con alcune bottiglie di acqua, dei bicchieri, un bricco di caffè e qualche biscotto è un modo per marcare l’ambiente e segnare lo spirito con il quale si intende proporre il confronto e il lavoro collegiale.

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Le azioni e le attività che caratterizzano il ricevimento

Nello schema che apre questo post, alle intersezioni fra le tre sfere di attenzione (ambiente, strumenti, azioni) sono segnalati alcuni dispositivi di facilitazione che in parte abbiamo già illustrato. E abbiamo già accennato all’importanza che all’arrivo delle persone attese (se si tratta di un momento di confronto pubblico) o invitate/iscritte (se si tratta di un laboratorio formativo) vi sia una qualche forma di ricevimento formale e informale. Chi fa gli onori di casa può stare sulla soglia, dare il benvenuto, salutare, presentarsi. A volte sono le stesse figure di facilitazione che curano questo passaggio. Ciò che conta è ricevere, accogliere, riconoscere, introdurre. In alcuni casi – se le persone non si conoscono – presentarle a chi già arrivato, favorendo l’entrare in contatto.
Nella nostra esperienza di conduzione abbiamo notato che indossare un cartellino con il proprio nome favorisce le interazioni, attenua le distanze e agevola gli scambi. Sempre più spesso utilizziamo una forma molto fai da te, meno formale e più consona a momenti di lavoro che non siano formativi o accademici. Con il nastro da tappezziere largo 6 cm. e un pennarello è possibile preparare dei cartelli adesivi sui quali scrivere il proprio nome in stampatello. Ciò permette di spingere verso il registro dell’informalità, di passare al tu, di venire chiamati e di chiamarsi per nome. Naturalmente questo accorgimento richiede di essere trattato come una opportunità per facilitare l’avvicinamento fra le persone e non come un espediente manipolatorio. E da solo non è sufficiente a garantire l’esito produttivo di un incontro, costituendo un ingrediente fra gli altri a cui abbiamo accennato.

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Contrasti ed evoluzione del coinvolgimento

Una delle questioni che spesso si presenta (con una connotazione teorico-disquisitoria) attiene al contrasto che può venire percepito tra la predisposizione di un setting di lavoro e la proposta/richiesta di informalità nella partecipazione. Il contrasto è forse più apparente che reale. Arrivare e trovare uno spazio predisposto per lavorare, sapere che c’è un programma di lavoro, una regia, di solito (se non vi sono particolari tensioni) vengono accolte come condizioni che facilitano il lavoro per il raggiungimento degli obiettivi proposti.
Naturalmente la conduzione va introdotta (o autointrodotta) e legittimata (o autolegittimata). È necessario infatti che chi facilita il lavoro sia presentato/a e che il gruppo implicitamente accetti che questa figura assuma la regia del momento di lavoro. Nei casi di autopresentazione volti ad aprire l’attività di gruppo e ad autolegittimare la propria presenza è importante illustrare proposta e metodologie di lavoro che si adotteranno, e richiedere disponibilità e fiducia a lavorare insieme. Anche la disposizione degli arredi, la configurazione dello spazio di lavoro comunicano il grado di apertura o di direttività della sessione di lavoro. E si potrebbe obiettare che trovare gli spazi già allestiti può essere percepito come condizionante. In effetti ciò che smonta il clima di avvio è piuttosto il disordine, i ritardi e gli intoppi nell’avvio delle strumentazioni che si intende utilizzare (computer che non si collegano ai proiettori, casse che non amplificano, ecc…), il non trovare l’ambiente già pronto: pulito, riscaldato, strutturato per dare avvio al lavoro partecipato. E se alcune rigidità possono costituire un ostacolo (ambienti piccoli, impossibilità di ridisporre sedi e tavoli), tuttavia sarà il gruppo a trovare mediazioni e adattamenti per lavorare al meglio, a condizione che quello ragionevolmente utilizzabile sia stato predisposto per favorire la partecipazione.

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