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Organizzare, riorganizzare (disorganizzare?)
Questo post non mi soddisfa pienamente.
Lo pubblico lo stesso.
Preparandolo ho intravisto dove posso migliorare sensibilmente.Commenti nel merito dell’argomento (e commenti critico-propositivi sui post) welcome.
Vorrei mettere a disposizione delle persone che stanno seguendo il corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni, alcuni spunti per accompagnare le fasi di avvio delle ricerche sul campo che hanno proprio l’obiettivo di avvicinare e conoscere alcune organizzazioni.
Nel corso delle prime due lezioni del corso di Psicosociologia 2013 abbiamo individuato le organizzazioni da contattare per realizzare un’attività di ricerca sul campo:
E nelle due prime lezioni del corso di Psicosociologia 2014 abbiamo individuato altre organizzazioni:
Nel 2017 invece le organizzazioni oggetto di ricerca-intervento sono:
Una certa varietà, non c’è che dire. Situazioni non solo conosciute per interposta persona, ma decisamente diverse. Cosa le accomuna? In che senso diciamo che sono organizzazioni? Qual è il denominatore che ci consente di considerarle come sistemi di cui possiamo predicare il concetto di organizzazione?
L’obiettivo di lavoro dei gruppi che si sono costituiti è di sviluppare una ricerca conoscitiva da presentare in forma di report e pubblicamente, finalizzata a:
Potrebbe essere d’aiuto in questo processo di progressivo avvicinamento qualche coordinata sull’idea di organizzazione, possibile oggetto di studio o, forse, contenitore di possibili oggetti di studio…
Vorrei dare un contributo dicevo, fornire qualche riferimento per entrare in contatto con le organizzazioni. Ho ripensato più volte alle cose che mi è capitato di leggere per individuare quale spunto e offrire qualche brano antologico.
In questo post ne presento due, ma vorrei chiedere a chi legge di segnalarne altri, anche riecheggianti le situazioni organizzative oggetto di ricerca dei gruppi di lavoro… Ne potremmo mettere in circolazione di interessanti per costruire una visione pluriprospettica, più capace di aiutarci nel cogliere aspetti e fattori rilevanti, che identificano le organizzazioni e le loro specificità.
Attingo dalla letteratura. Seguendo la vicenda professionale dell’avvocato d’affari Andrea Campi, raccontata da Duchesne (Federico Baccomo), in Studio illegale, romanzo nato da un blog e pubblicato da Marsilio nel 2009, si può avere un’idea di come sono fatte e di come funzionano le organizzazioni immateriali internazionali (fisica e microfisica).
Mi chiamo Andrea Campi.
Ho trent’anni.
Sono un professionista serio.
Ultimamente non sto troppo bene.
pp. 17Stiamo lavorando a un’acquisizione societaria: il nostro cliente, una banca d’affari francese, sta trattando l’acquisto di un ramo d’azienda italiano da parte di una società tessile tedesca, a sua volta assistita da uno studio legale inglese. Internazionalità è la parola d’ordine, ma cosa leghi l’alta finanza alle mutande, a me non è ancora completamente chiaro.
pp. 18-19Lavoro nello studio legale Flacker Grunthurst and Kropper, dipartimento corporate, sede di Milano – centro di Milano –, leading law firm nel panorama mondiale.Più di 5.000 avvocati disseminati per il globo – Washington, New York, Londra, Parigi, Berlino, Madrid, Tokyo, Mosca, Città del Capo, Pechino, ecc. – raggruppati sotto il propiziatorio nome di 3 avvocati morti qualche secolo fa, fondatori di altrettanti studi legali indipendenti che, da qualche anno, si sono uniti al grido di fonderci per sopravvivere al mercato, fonderci per aggredire il mercati. 5.000 destini legati da un filo sottile, oltre che dall’incapacità di scrivere correttamente il nome del luogo in cui lavorano. Questo è più di un nome, questo è un brand e questo brand vuole dire eccellenza. Così sta scritto sopra il faccione che campeggia sulla home-page italiana del sito web dello studio. Il faccione, piegato in una smorfia tra la soddisfazione per i soldi guadagnati e il rincrescimento per tutti quelli ancora da guadagnare, è quello di Francesco Persecati, il managing partner dello studio, un cinquantenne dai capelli tinti di rosso, che indossa mocassini in coccodrillo e provvede al mantenimento di tre mogli, il tutto con uguale nonchalance.Poco sotto il faccione, si staglia il sobrio slogan che accoglie gli utenti: Un sostegno ai tuoi interessi, scelto per presentare la filosofia dello studio dopo che il precedente, Con la legge, oltre la legge, rischiava di sollevare troppa attenzione presso la guardia di finanza. Dribblando una serie di immagini selezionate per trasmettere un senso fiducia e competenza – bambini che corrono in mezzo a prati fioriti, lunghi scaffali di libri, un uomo in giacca e cravatta sopra una collina immobile a guardare le nuvole – si ottiene il quadro completo dei servizi che lo studio mette a disposizione dei più grandi colossi industriali e finanziari. Assistenza legale ad amplissimo raggio, su qualsiasi materia abbia un’allettante traduzione in inglese: corporate, finance, dispute resolution, tax, employment, real estate. E aggiungerei etcicera ecticera, come dice Giuseppe, che non è disposto a rinunciare alla pronuncia inglese in generale, figuriamoci poi a favore del latino («Tu la fai semplice, Endriu, ma ti sei mai chiesto perché il latino è morto? E allora stiamo attenti a non fermare l’evoluzione anche, e soprattutto, nelle piccole cose»). La parte più interessante del sito è la sezione fotografica: una sterminata rassegna di avvocati, alcuni immortalati davanti alla biblioteca, altri apparecchiati alla scrivania, altri ancora appoggiati a una colonna, tutti con l’espressione sorniona di chi l’ha fatta sporca ma sa che la passerà liscia. Nella foto che mi ritrae, per un particolare effetto ottico, sulla cravatta fa bella mostra di sé una grossa macchia nera dalla forma vagamente fallica. Ogni tanto chiamo Londra, dove gestiscono il sito, chiedendo che la foto sia sostituita. Mi risponde una ragazza del technical support che replica sempre No, no, you’re beautiful e mette giù. Alle volte ho il sospetto che mi prenda in giro. Non credo però. La sede di Milano conta circa 300 elementi, tra partner, avvocati, praticanti, stagisti, segretarie, centraliniste, tecnici, fattorini, amministrazione e contabilità, distribuiti su cinque piani di un anonimo palazzo nel centro. Il mio ufficio si trova al terzo piano, una piccola stanza che si affaccia su una strada dove le auto tendono ad allungare i pedoni con una certa regolarità.
È qui che lavoro.
È qui che ho imparato a essere un professionista serio.
È qui che ho cominciato a non sentirmi bene.
pp.52-54
Duchesne (Federico Baccomo), Studio illegale, Marsilio, 2009. [in neretto quello che nel libro è in corsivo]
In questo brano troviamo diversi temi interessanti per il nostro lavoro di avvicinamento alle organizzazioni. Le organizzazioni possono superare i confini coincidenti con la sfera di azione personale, non essere visibili da fuori, né collocabili in un preciso luogo, e finire per essere inconoscibili a chi vi lavora. Le organizzazioni possono essere raccontate da chi vi lavora, e avere presentazioni ufficiali e tra queste due narrazioni si possono cogliere dissonanze piuttosto marcate. Le organizzazioni producono qualcosa la cui materialità e il cui senso non sono ricostruibili agevolmente.
Ergo?
Non fidatevi delle presentazioni dei siti, della retorica 2.0, delle foto e degli slogan. Non fidatevi di un solo punto di vista (il romanzo ha infatti un seguito, e si racconta la storia di Giusebbe Sobreroni, capo di Andrea Campi). Non fidatevi dell’inglese. Non fidatevi dei subcodici linguistici. Non fidatevi di nulla. Ma considerate tutto.
Attingo dagli scritti di una collega, Diletta Cicoletti, sociologa e co-blogger su Appunti di lavoro. Entriamo in un’altra dimensione… per la verità rimaniamo a Milano ma lo skyline cambia, così gli odori (i profumi) e i rumori.
Sempre e comunque panettiere, Carlo lavorava da Peck. Poi un giorno è riuscito ad aprire il suo negozietto: una vetrina con una porta, talmente piccola che si entra di profilo.
Mi colpisce molto l’organizzazione razionalissima degli spazi, la predisposizione di cassette di vimini minuscole, della portata massima di 10 rosette. Stessa cosa per pizze e focacce, una vera delizia per altro. 10 pizzette, 10 focaccine assortite, le famose focacce farcite (max 2 tipi diversi). È nell’ora di punta il controllo é dopo ogni cliente: chi é al banco comunica quante pizzette e focacce ci sono ancora, in modo da attivare Carlo che inforna al momento.
Come si fa? In uno spazio così piccolo ad organizzarsi?
“Qui abbiamo calcolato il fabbisogno del quartiere, i single non comprano tanto pane e i single anziani hanno abitudini precise. Da anni. Li seguiamo e li assecondiamo, prendiamo ordinazioni solo per le grandi quantità e abbiamo aggiunto alcune vaschette mono o bidose di cannelloni o lasagne o parmigiana. Ai lavoratori della pausa pranzo piacciono molto e anche alle badanti in pausa o agli anziani che non si cucinano più da soli”.
“Se capiti al mattino intorno alla pausa pranzo trovi la massima produzione possibile e siamo in tre: io preparo e impasto, una persona sta sempre al banco e un’altra in base alle esigenze”.
Come si fa ad organizzarsi, mantenendo prezzi politici e altissima qualità?
“Io odio gli sprechi, qui è tutto ‘giusto’ e se mi viene male una focaccia me la mangio io. La sera prima della chiusura abbiamo lavorato bene se non è avanzato nulla: non butto mai via il pane. È vietato, e non lo rivendo certo il giorno dopo. Me lo mangio. Quindi, se non voglio diventare una botte, meglio lavorare bene, o no?”
Si può fare politica facendo e vendendo il pane. Sotto elezioni, consiglio una pizza o, ancor meglio, una focaccia farcita dal mio focacciaro di fiducia.Diletta Cicoletti su Appunti di lavoro, il 17 febbraio 2013. [Diletta Cicoletti ha scritto della guardia giurata, del macellaio, del traslocatore, dell’amministratore di condominio, di altro].
Le organizzazioni in movimento, sono frutto di progetti, raccolgono e rilanciano esperienze precedenti. Spesso sono piccole, capaci di reagire ai cambiamenti, di adattarsi al contesto, di trovare soluzioni innovative. Non solo organizzazioni grandi, ma anche micro, che coincidono con un piccolo o piccolissimo gruppo (presto ci occuperemo dell gruppo di lavoro nei sistemi produttivi).
Non è facile ragionare di organizzazioni. ‘Organizzazione’ è un termine all’apparenza neutro, un costrutto intercambiabile che assume connotazioni più precise se collocato in un contesto di senso e investito di esperienze e vissuti personali. Di cosa parliamo quando parliamo di organizzazioni?
Lévy (2005, p. 208) nota come ‘organizzazione’ sia una «parola entrata nell’uso in tempi recenti, per indicare un’entità specifica, diversa dal gruppo, dalla comunità, o dalla società. […]. Più che a un oggetto il termine si riferisce a uno stato o a un’azione (l’azione dell’organizzar/si) che presuppone soggetti individuali e collettivi.». Le organizzazioni sono ad un tempo il prodotto dell’organizzare (organized) e le azioni e i processi stessi dell’organizzare (organizing). Weick rinforza il concetto:
Le organizzazioni sono strutture di aspettativa reciproca, legate a ruoli che definiscono ciò che ognuno dei suoi membri dovrebbe aspettarsi da se stesso e dagli altri.
Un’organizzazione è un’entità sociale identificabile che persegue obiettivi multipli attraverso le attività coordinate e le relazioni fra partecipanti e oggetti. Un tale sistema sociale è aperto e dipende per la sua sopravvivenza da altri individui e sottosistemi all’interno dell’entità più ampia.
p. 14
Weick K.E., Organizzare. La psicologia sociale dei processi organizzativi, ISEDI, 1993.
Riprendo dagli appunti del corso di Psicosociologia che Marco Brunod ha tenuto nel 2007.
Il punto di partenza per conoscere l’organizzazione è l’idea che ciascuno ha dell’organizzazione stessa, a patto di sostenere alcuni processi onerosi:
- Rinunciare all’ideale di un sapere progressivo, fondato su un metodo scientifico, pianificato e strutturato, che permetta di separare i veri problemi dagli pseudo-problemi.
- Riconoscere la limitatezza, la parzialità del proprio sapere, per potersi decentrare da esso e apprezzare i pensieri di altri.
- Accettare che le organizzazioni rappresentino più cose nello stesso momento.
Si tratta di sviluppare rappresentazioni pluriprospettiche. E occorre integrare diverse rappresentazioni determinate da diversi riferimenti culturali (approcci e saperi pre-esistenti), dalla specificità degli osservatori, dalla loro distanza dall’organizzazione osservata (vicinanza – lontananza), dagli obiettivi individuali, di di gruppo, e organizzativi, dalla propensione all’osservazione, all’ascolto e alla riflessione, dagli strumenti per conoscere l’organizzazione. Si tratterà di raccogliere dati, di procedere con osservazioni dirette intenzionali e occasionali (fortuite), di prestare attenzione e ascolto alle cose che verranno dette [a microfono acceso e spento], alle riflessioni individuali e di gruppi che andranno producendosi [e che si vanno depositando negli spazi 2.0 di lavoro comune, ‘off-corso’, on-line].
Questi spunti costituiscono una premessa per servirsi della scheda (una mappa?) che riporto nel paragrafo che segue, indicazioni per avviare un processo di conoscenza orientato [anche se già i portatori dei organizzativi hanno cominciato a raccontare, e già i siti sono stati scandagliati e i primi contatti informali sono avvenuti].
Baccomo F. Studio illegale, Marsilio, 2009.
Eco U., Il nome della rosa, Bompiani, 1980.
Kaneklin C., Manoukian F. O., Conoscere l’organizzazione. Formazione e ricerca psicosociologica, NIS, 1990.
Lévy A. “Organizzazione”, in Barus-Michel J., Enriquez E., Lévy A. (a cura di), Dizionario di psicosociologia, Cortina, 2005 (2002), pp. 208-216.
Normann R., La gestione strategica dei servizi, Etas, Milano, 1998 (1984).
Sennett R., Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, 2012 (2012).
Weick K.E., Organizzare. La psicologia sociale dei processi organizzativi, ISEDI, 1993.
Caro Graziano,
capisco l’insoddisfazione quando si trattano temi di questa portata: da dove partire? come “organizzare” (ops) i materiali? che cosa trascurare? cosa sarà più utile – la suggestione di un film o di un romanzo oppure la certezza di una tabella a doppia entrata? e per chi?
Ti seguo in questa perenne insoddisfazione che però è anche motore per cercare ogni volta la strada più… bella? panoramica? giusta? corta? lunga? in discesa? in salita? in compagnia?…
Due riflessioni a caldo, per nulla sistematizzate.
1. La famiglia è una forma di organizzazione. Forse la prima organizzazione che conosciamo e che, insieme alle altre che mano a mano sperimentiamo [l’asilo nido, la scuola materna, la scuola elementare, … il palazzo, il quartiere, la città, … l’ambulatorio del pediatra (o il pronto soccorso…) quando ci si ammala, il gruppo di amici, l’oratorio, il parco, la società sportiva, l’associazione, il “partito” …] contribuisce a “organizzare” i nostri pensieri, sguardi e modi di vedere le organizzazioni. Penso che un buon modo per avvicinarsi alle organizzazioni sia quello di cominciare a chiedersi in quale tipo di famiglia si è nati e cresciuti, quali valori ha cercato di trasmettere, che modi di relazione con gli altri, sia internamente che esternamente aveva, come affrontava i problemi, … Mi chiedo come mai in questi due anni nessuno studente abbia mai proposto di conoscere “l’organizzazione famiglia”.
2. La scuola è l’altra organizzazione nelle quale, fin da bambini, passiamo come persone la maggior parte del nostro tempo. A scuola, in modo diverso che in famiglia, ci si confronta con le regole, con l’autorità, gli altri, i diversi. Si vive e si partecipa, in modi diversi, una Istitu-zione. Termine che richiama per assonanza la parola Tradi-zione, un altro elemento che ci può aiutare a ri-conoscere le organizzazioni per-come-sono e a distinguerle da come-le-vorremmo. Come sai, di “scuola” proviamo a ragionare sul blog appuntidilavoro, magari può offrirvi qualche spunto.
http://appuntidilavoro.wordpress.com/category/scuola/
Complimenti per la scelta (eversiva?) di ragionare in rete anche offrendoci i dubbi (ma come un prof con i dubbi?), che poi sono ciò che muove nella ricerca e nella conoscenza anche delle organizzazioni, altrimenti che cercheremmo a fare?
Buon lavoro,
Matteo
Ciao Matteo.
Quest’anno moltiplicherò i rimandi ad http://appuntidilavoro.wordpress.com, blog collettivo che sta seguendo due filoni di ricerca cruciali:
– l’osservazione-partecipante (preoccupata e fiduciosa) della Scuola (tre gruppi di occuperanno di scuola, guardando organizzazioni diverse).
– l’indicibile del Lavoro (gli indicibili?, i lavori indicibili?).
Quanto all'”organizzazione famiglia”… ci è capitato di avvicinare organizzazioni famigliari (imprese di famiglia). Ma hai ragione, della famiglia non ci siamo mai occupati in quanto organizzazione. Dipenderà dal titolo/taglio del corso? Dipenderà dalla mia impreparazione? Dipenderà dal tema così vicino (così vicino che adesso chiudo questa risposta e mi tuffo in un film con Giosué, il mio piccolo di 9 anni che, dopo una polemica di mezz’ora contro la domenica, adesso accenna alle preoccupazioni per la scuola di domani…
Grazie come sempre,
Graziano:-)
PS
Dubbi? Quanti ne vuoi! :-)