Il dibattito è ricco e ininterrotto. L’Economist, in un articolo del luglio 2016 Teaching the teachers.
Great teaching has long been seen as an innate skill. But reformers are showing that the best teachers are made, not born, ha rilanciato la questione. La tesi è presto detta: nessuno nasce imparato. Anche il lavoro dell’insegnante è una pratica che si può insegnare e apprendere. L’articolo dimostra (il succo sta nel grafico che ho ripreso) che più si curano le metodologie e le tecniche di insegnamento più si raggiungono risultati significativi e apprezzabili in termini di acquisizione di conoscenze.
Il passaggio che illustra il grafico dice così: “Eric Hanushek, un economista dell’Università di Stanford ha stimato che nel corso di un anno scolastico gli studenti con insegnanti che per efficacia nell’insegnamento si collocano al novantesimo percentile, imparano l’equivalente di un anno e mezzo. Mentre gli studenti con insegnanti che si collocano al decimo percentile imparano quanto si apprende in media in metà anno. E si hanno gli stessi risultati in diversi paesi, senza particolari differenze fra la Gran Bretagna e l’Equador”.
In sostanza per essere un/a buon/a insegnante le conoscenze non bastano, servono anche competenze specifiche nell’insegnare e soprattutto la capacità di promuovere, attivare far crescere autonomia e competenze sociali nelle persone in formazione (e dei gruppi – aggiungo io). Il punto allora è come sviluppare la capacità di insegnare in modo efficace, quali schemi di azione privilegiare, quali approcci di metodo e quali strumentazioni e tecniche adottare…
Per la verità l’Economist arriva tardi: se volete saperne di più, in modo continuativo, se siete interessati ad approfondire le tematiche dell’insegnare (senza eccessi teorici) tre portali offrono numerosi materiali, discussioni, strumenti, esperienze e indicazioni pratiche:
E non importa – almeno per me – se vengono privilegiate tecniche per ragazzini e ragazzine delle primarie o delle media, o se si discute come lavorare con adolescenti. La più parte degli spunti riguardano proprio modalità concrete e operative, si concentrano su come condividere capacità professionali fra persone impegnate nell’insegnamento, e spesso non è così difficile riadattare indicazioni i in contesti di formazione professionale o rivolta a persone adulte (come le persone che frequentano l’università).
C’è un punto che non viene toccato dall’articolo a proposito di apprendimento degli insegnanti: si tratta del ruolo dei feedback che le persone in formazione possono dare (danno?) a chi ha (assume per il tempo necessario) il ruolo di docente (facilitatore/trice) dei processi di apprendimento e di sviluppo di nuove conoscenze. In effetti il grafico indica che i feedback sono la forma più efficace per promuovere apprendimento (ed anche la meno costosa). E se lo sono verso chi è in posizione di discente… è plausibile presupporre che lo siano anche per chi si trova in posizione di docente.
Per favorire lo sviluppo di un percorso che mescoli momenti di inquadramento concettuale con attività di ricerca conoscitiva sul campo condotta da gruppi di lavoro formati da studenti e studentesse, ragionando delle direttrici di attenzione del docente nel corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni (PPSDCE – Unimib) sono emersi quattro ruoli distinti ma necessariamente fluidi e mescolabili in ragione delle circostanze: formatore, consulente, autorità funzionale, valutatore. Quattro possibilità di azione:
Per favore, datemi feedback! I feedback sono il punto di partenza per sviluppare riflessioni e confronti. Il punto di partenza. Si possono dare (e ricevere) in molti modi. E anche il trattarli non è pre-scritto. Siate generosi/e (e garbati/e:-)
Io ti rispondo non solo perché lo solleciti ma perché resto colpito dalla qualità dei tuoi post. Complimenti e un caro saluto. (Avremo modo di rivederci e fare ancora qualcosa insieme?). Adriano
Certo che sì, Adriano!
Dai, costruiamo qualche bella occasione per lavorare (o anche scrivere) insieme.
Graziano:-)