Mainograz

Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Avviare una comunità di pratica: quattro idee guida

Dai proviamo a preparare una super sintesi…

Con @MarcoCau siamo impegnati nell’accompagnare l’avvio della comunità di pratica fra i cinque partenariati territoriali finanziati dal bando Capitale naturale – connessioni ecologiche e servizi ecosistemici per la tutela della biodiversità promosso da @FondazioneCariplo.

Diverse le domande intorno all’avvio di una comunità di pratica. Come attivare un gruppo ampio di soggetti diversi e aiutarli a condividere saperi? Come affrontare problematiche simili, in contesti con caratteristiche non sempre assimilabili, sviluppando esperienze specifiche, prendendo in considerazione punti di contatto importanti? Come sostenerne l’operosità e l’efficacia, senza sovraccaricare i gruppi di lavoro già impegnati nelle loro attività-obiettivo?

Intanto mettere in funzione una comunità di pratica non è una operazione che si fa ‘su’, ma si fa ‘con’. Si tratta di un ‘come’ che sta nelle mani di chi è chiamato a facilitarla e animarla, ma che è anche (soprattutto?) nelle mani di chi vi partecipa, la estende invitando a partecipare, la sostiene con i propri apporti…

In questo sforzo – collettivo e supportato da figure di facilitazione – si possono identificare alcuni epicentri di attenzione. Ne segnaliamo quattro, ma il discorso non è chiuso.

1. Coinvolgere
In avvio si tratta di promuovere il coinvolgimento dei/lle partecipanti. Si tratta di un lavoro in progress (per più ragioni, ci ritorneremo). Tra le accortezze, intravediamo l’importanza di accogliere le persone e di farle sentire accolte, con il bagaglio di esperienze, idee e domande che portano con sé. Si tratta poi di riconoscere, cioè di ricercare, quanto di utile può venire messo a disposizione da ciascuno: si tratta di una ricerca collettiva, paziente e creativa (non prefigurabile millimetricamente in sede di progettazione del lavoro comune).
Una ulteriore accortezza che impegna chi facilita e chi via via si aggrega alla comunità di pratica è favorire la partecipazione, un passaggio più sfidante rispetto al far parte di un gruppo: la domanda è come sentirsi parte, senza sentirsi forzati? La varietà di proposte/possibilità da contemplare per dare apporti non può essere scarna né rigidamente predefinita. In qualche modo ci sembra che vada assicurato che le porte di ingresso (e di uscita, e di rientro) rimangano aperte, così che sia legittimata la partecipazione di quanti sono interessati da e alla comunità di pratica.

2. Condividere
Una comunità di pratica è un gruppo fluido, a maglie larghe, che mette reciprocamente a disposizione esperienze e conoscenze, che interagisce con ondeggiamenti inevitabili. È uno spazio che consente di raccontare (porzioni di) quello che si fa e di raccontarsi in quello che si fa e si affronta. Una comunità di pratica non solo condivide e riflette sull’operatività, ma scambia anche qualcosa di importante di quello che le persone che vi sono implicate portano nel proprio bagaglio di saperi. Si tratta dunque di allestire contesti di incontro che favoriscano lo scambio e la messa in comune di esperienze e conoscenze.

3. Confrontare
Ma anche trovarsi e mettere in comune non basta. Il materiale messo in circolo può essere investigato, le attività presentate suscitano osservazioni collegamenti inaspettati. Si tratta di favorire considerazioni sulle ipotesi che guidano l’azione, sulle cornici interpretative e sulle condizioni di contesto che determinano la complessità degli interventi e le caratteristiche degli esiti. Una comunità di pratica, guadagnato il grado di fiducia necessario consente di confrontarsi sulle difficoltà, di ripensare le posizioni assunte dai soggetti in campo, di socializzare saperi taciti, esperienziali, non (ancora) formalizzati. In una comunità di pratica che ha raggiunto una buona funzionalità vengono messi a disposizione i trucchi del mestiere.

4. Sviluppare
Se le cose funzionano (e non sempre funzionano) una comunità di pratica diventa una comunità di apprendimento. Il gruppo consente che vengano formulate domande che premono alle persone e ai gruppi di lavoro, messi sul tavolo problemi, e che questi siano oggetto di ingaggio per le persone coinvolte. Sono le questioni concrete che interessano nel vivo dell’operatività, nella complessità delle scelte ad occupare lo spazio/tempo di lavoro di chi partecipa la comunità.
Scaturisce dalla fiducia e dall’investimento una comunità orientata a comprendere e a condividere quanto viene immesso nel suo perimetro attività, problemi e apprendimenti. Se una comunità di pratica raggiunge un buon grado di funzionalità si esprime in forma di cooperazione interdipendente una preziosa intelligenza collettiva.

“Ogni organizzazione ha bisogno di maggiore consapevolezza riguardo ai modi con cui osserva, analizza, ricorda e crea, e al modo in cui impara dalla pratica: correggendo errori, adottando nuove categorie quando quelle vecchie non funzionano e, talvolta, inventando modi di pensare completamente nuovi (Mulgan, 2018, 5).

C’è qualcosa che chi facilita può fare?
Non c’è limite all’ingegno e alla lettura delle specificità dei contesti. Di seguito alcuni spunti per come li abbiamo visti emergere dal lavoro sul campo.

  • Ci è sembrato che incida il favorire con gradualità contatti, assicurare possibilità di interazioni attraverso canali già a disposizione delle persone coinvolte, sperimentare nuove modalità di contatto.
  • Un secondo aspetto che crediamo vada curato riguarda il racconto e la documentazione del lavoro in progress che viene svolto, poter leggere la comune esperienza aiuta a ri/considerare le direzioni intraprese e i risultati via via conseguiti.
  • Un terzo aspetto che impegna chi facilita attiene alla raccolta e alla disponibilità delle informazioni e delle produzioni esito del lavoro comune: si tratta di assicurare accessibilità e rintracciabilità dei materiali che nascono nella/aalla comunità di pratica.
  • Una quarta attenzione mira a valorizzare quello che accade nell’ambito della comunità: si tratta di favorire la focalizzazione sul lavoro in corso, su quanto viene proposto, chiesto o offerto nel perimetro di attività. E qui vengono in aiuto le tecnologie digitali che possono favorire la collaborazione.

 

Riferimenti
Mulgan G., Big Mind. L’intelligenza collettiva che può cambiare il mondo, Codice edizioni, 2018 (2017).
Promoting adult learning in the workplace. Final report of the Education and Training 2020 Working Group 2016 – 2018 on Adult Learning, European Union, 2018.

2 comments on “Avviare una comunità di pratica: quattro idee guida

  1. Pingback: PROGETTARE IN PARTNERSHIP nel sociale, documentazione a cura di Graziano Maino e Marco Cau pubblicata nel 2018. Link alle fonti – MAPPE nelle POLITICHE SOCIALI e nei SERVIZI

Dai, lascia un commento ;-)

Responsabilità 231/2001. Una sfida per la cooperazione sociale

La fatica di scrivere (ebook a 0,99)

Writing Social Lab 2.0 (free ebook)

Le scritture di restituzione (ebook a 1,99)

Formare alla responsabilità sociale (free ebook)

Avvicendamenti (in libreria)

La carta dei servizi (in libreria)

Archives

Mainograz

Mainograz non raccoglie cookies di profilazione

Mainograz è il blog professionale di Graziano Maino, consulente di organizzazioni e network, professionista indipendente (legge 4/2013).

Scopo di questo blog è esprimere il mio punto di vista su questioni che reputo interessanti e discuterne con chi ha piacere di farlo.

Non raccolgo informazioni di profilazione sulle persone che visitano il blog Mainograz.

Tutte le statistiche sulla fruizione del blog Mainograz (ad esempio sulle pagine visitate e sugli argomenti ricercati) mi vengono fornite in forma anonima e aggregata da Wordpress.com.

Anche i commenti possono essere espressi senza dichiarare la propria identità. Mi riservo solo di verificare il contenuto del primo commento, che se accolto, consente poi di commentare liberamente.

Visitors

  • 536,513 visite da dicembre 2009