La fatica di scrivere è un fatto.
Indubitabile.
Esperienza comune, ma non per questo meno irritante.
La fatica di scrivere è sempre la stessa?
Gli scrittori la esorcizzano forse anche confessandola.
Consideriamo per un attimo che l’impertinenza, scaricata da Cervantes nel prologo del Don Chisciotte, sul lettore non sia baldanza ma insicurezza. L’ammissione della sua difficoltà a comporre il prologo (a finire l’opera) potrebbe essere letta non come artificio retorico, ma come vera e propria ammissione della fatica di scrivere.
1. Qual è la ‘tessitura’ della fatica?
2. Come ne esce Cervantes?
1. Cervantes riconosce che è difficile finire, decidere che – bene o male – alla produzione deve essere posto un termine. Finire significa aprire, concludere in fondo è esordire: chiudere un testo è mettere a punto l’inizio, l’ouverture [quale che sia il testo, non necessariamente un capolavoro].
Cervantes, rivolgendosi al suo lettore ideale, si esprime così:
[…] e ti so dire che sebbene siami costato qualche travaglio il comporla, nulla mi diede tanto fastidio quanto il fare questa prefazione che vai leggendo. Più volte diedi di piglio alla penna per iscriverla, e più volte mi cadde di mano per non sapere come darle principio. Standomi un giorno dubbioso con la carta davanti, la penna nell’orecchio, il gomito sul tavolino, e la mano alla guancia, pensando a quello che dovessi dire, ecco entrar d’improvviso un mio amico, uomo di garbo e di fino discernimento, il quale, vedendomi tutto assorto in pensieri, me ne domandò la cagione. Io non gliela tenni celata, ma gli dissi che stava studiando al prologo da mettere in fronte alla storia di don Chisciotte, e ci trovavo tanta difficoltà, che m’ero deliberato di non far prologo, e quindi anche di non far vedere la luce del giorno alle prodezze di sì nobile cavaliere.
Cervantes è in stallo. Non sa come proseguire. Da giorni pensa a come dare avvio al componimento. Bloccato, ipnotizzato davanti al compito. Incerto (dubbioso), pensieroso (assorto), preoccupato – ammette poco oltre – del giudizio dei lettori e dell’inconsistenza della storia. L’amico prova a consolarlo. Ma Cervantes reagisce e lo interrompe: “Come vi figurate di riempire il vuoto che genera la mia preoccupazione e di chiarire il caos della mia confusione?”. L’amico sostanzialmente gli dice di agire con una certa sfrontatezza. Di agire come se si sentisse sicuro.
2. Come ne esce allora Cervantes? Dichiarando la sua incertezza e accettando il suggerimento dell’amico (di fatto confrontandosi e facendo leva sul supporto offertogli) di non idealizzare i modelli (irridendoli quanto basta per attenuarne l’incommensurabilità).
Se ho ben capito (ma a mia volta sono incerto) la fatica di scrivere può prodursi per insicurezza, tanto da non sapere come chiudere e come mettere a punto l’introduzione (come ritornare al punto di partenza e dare unitarietà alla propria produzione scrittoria). Indugiare nell’incertezza non aiuta: meglio dichiararla e cercare aiuto (torneremo sullo scrivere come attività con componenti di partecipazione abbastanza pronuciate). E forse conviene esporsi al rischio. Già la fatica di scrivere nasce anche dal prefigurare il, dall’esporsi al giudizio altrui (anche di un post-it possiamo essere insoddisfatti). Conviene allora abbassare l’asticella: la propria e l’altrui. E uscire da comparazioni che sono solo paralizzanti…
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