di Graziano Maino e Maria Giovanna Salaris
Il tema delle deleghe – lo si avverte immediatamente, quasi emotivamente – è complesso. E lo è in modo specifico nell’ambito delle imprese cooperative sociali. In questo post proveremo ad articolare alcuni ragionamenti da punti di vista diversi: giuridico, organizzativo, relazionale, tenendo in considerazione le questioni poste dal decreto legislativo 231/2001 a proposito della responsabilità amministrativa, e sapendo che quando si parla di deleghe si parla di potere, con tutto quel che ne consegue.
L’assetto di governance nelle cooperative sociali deve rispettare specifiche sfere di esercizio del potere. In particolare: l’assemblea esercita la potestà di indirizzo e di controllo generale, il consiglio di amministrazione esercita il governo, traducendo in azione le linee strategiche definite dalla assemblea, mentre figure con responsabilità organizzativa assumono una serie di poteri di gestione operativa (incarichi funzionali formalizzati). Si tratta di una configurazione che per funzionare con efficacia deve prevedere che sia definita la collaborazione fra le diverse sfere di potere, il loro perimetro, le modalità di assegnazione di compiti propri, le forme di controllo, di monitoraggio, di rendiconto e di valutazione. L’intento del post è chiarire in quale senso si parli di deleghe interne all’organo di governo (deleghe in senso proprio), di procure ad agire per conto dell’organizzazione, di ‘deleghe’ di operative (incarichi funzionali formalizzati). Non affronteremo invece il tema delle deleghe di voto in assemblea.
Cosa sono le deleghe e le procure da un punto di vista giuridico-legale? Quali elementi specifici sono rilevanti nell’ambito delle cooperative sociali (che sono cooperative di lavoro con finalità al tempo stesso mutualistiche e sociali, come recita l’articolo 1 della legge 381/1991)?
Facciamo un passo indietro (è d’obbligo per inquadrare la questione nel suo contesto): le cooperative sono imprese formate da un legame co-imprenditoriale fra i soci (articolo 2 della legge 142/2001). Questo legame colloca nell’assemblea la fonte dell’esercizio del potere sia di indirizzo che di controllo. Vi è quindi una sfera di responsabilità che non possono essere delegate e che la cooperativa dovrebbe attrezzarsi per assicurare che vengano esercitate nella sede e nelle forme adeguate, e cioè non esautorando, neppure parzialmente l’assemblea, il luogo delle scelte e delle decisioni di indirizzo, strategiche e di controllo (mentre osserviamo come nelle esperienze si riscontrano difficoltà e qualche rinuncia).
Quindi le deleghe affidabili all’organo di governo hanno specifici limiti: non possono cioè venire delegate al CdA o al gruppo dirigente di vertice, prerogative affidate per legge all’assemblea.
La possibilità di conferire deleghe interne all’organo di governo deve essere prevista dallo statuto della cooperativa (o da specifico voto assembleare). Inoltre i contenuti, i limiti, i vincoli, la durata devono essere definiti in modo esplicito e formalizzato mediante delibera dell’organo di governo, affinché la persona o il comitato delegato non corrano il rischio di agire oltre i parametri normativi propri del codice civile (art. 2381 codice civile).
Volendo riepilogare, si comprende che:
Dunque, in sintesi: l’assemblea non può spogliarsi dei propri poteri. Si pone dunque in concreto la questione di come assicurare l’assunzione e l’esercizio di tali poteri. Di più, l’organo di governo a sua volta ha una sfera di potestà da chiarire e definire.
Che significato hanno deleghe e procure nei contesti organizzativi? Nelle cooperative i rapporti tra compagine sociale, organo di governo e struttura tecnica di direzione amministrati, sono segnati da dinamiche delicate.
Osservando lo svolgimento delle assemblee si nota, non di rado, la difficoltà ad esercitare da parte dei soci una partecipazione democratica diretta, piena e consapevole, come i principi cooperativi per contro richiedono e l’art. 2 della legge 142/2001 ribadisce ai commi a e b. Accade anche che l’organo di governo eletto segnali competenze insufficienti rispetto alla complessità del mandato che gli viene affidato, e che – più in generale – il disegno e i processi di governance (programma di mandato, compiti, modalità di lavoro, responsabilità) siano scarsamente esplicitati, lasciati per lo più a prassi tramandate oralmente (Maino, 2016).
Inoltre non è raro incontrare una concentrazione di potere effettivo nelle strutture tecnico-amministrative di vertice, sia con soluzioni che le vedono presenti negli organi di governo o anche (con qualche isomorfismo con la pubblica amministrazione) collocandole all’esterno del consiglio. In questo caso, considerando l’asimmetria effettiva delle competenze, le competenze di amministrazione richiedono forme di mandato, di raccordo, di rendiconto e di valutazione per collegare l’azione di di governo (CdA) con le responsabilità apicali di gestione operativa (gruppo dirigente). Risulta dunque essenziale il disegno della governance specifica e l’attribuzione di poteri espliciti (incarichi o ‘deleghe’ funzionali) alle figure dirigenti da esercitarsi nell’ambito di indirizzi strategici e amministrativi chiari ed espliciti.
La delega è l’attribuzione da parte del consiglio di amministrazione di poteri di gestione ad un comitato esecutivo composto da membri del CdA, oppure ad uno dei componenti (art. 2381 codice civile, comma 2). Il conferimento di delega si esplicita in un’autorizzazione statutaria o assembleare, oppure in una delibera consiliare, che fissi con precisione l’oggetto e i limiti della delega stessa. In considerazione degli obblighi che il delegato si assume, consistenti in una porzione di prerogative ed oneri che precedentemente erano di esclusiva competenza del consiglio di amministrazione, è essenziale l’accettazione esplicita della delega da parte del delegato. La delega ha un valore puramente interno alla società, ciò comporta che, in caso di atti compiuti dai delegati che eccedano i limiti posti dalla delega e che provochino un danno alla società, ne risponderà la società stessa, e l’organizzazione potrà esperire unicamente un’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 codice civile nei confronti del delegato, non essendo gli atti compiuti dal delegato opponibili ai terzi. (Periti e Del Sasso, 2013).
Schematicamente, la delega:
La procura è un negozio giuridico unilaterale che conferisce ad un soggetto terzo il potere di rappresentare l’ente verso l’esterno, ovvero di manifestare la volontà determinata dagli organi gestionali ovvero di compiere gli atti giuridici in cui si concretizza l’attività sociale.
La caratteristica che la differenzia dalla delega consiste nel fatto che la procura può essere conferita a soggetti diversi da quelli che compongono il consiglio di amministrazione. Mediante la procura in sostanza, si conferisce a soggetti terzi il potere di rappresentanza che per legge spetterebbe unicamente agli amministratori. Per il valido conferimento della procura la legge richiede che la stessa abbia la forma prescritta per il contratto che il rappresentante deve compiere; ad esempio nel caso in cui venga conferito al soggetto il potere di vendere un bene immobile, la procura dovrà essere conferita per iscritto, in quanto la legge prevede l’utilizzo della forma scritta per la vendita di beni immobili; qualora invece si conferisca la procura per l’acquisto di un oggetto mobile (scrivanie, computer…) la stessa potrà essere conferita anche oralmente.
Dal nostro punto di vista qualora gli atti da compiere impegnino l’organizzazione verso terzi è opportuno che la procura venga conferita per iscritto mediante atto notarile, con conseguente iscrizione dell’atto nel Registro delle Imprese. Il contenuto della procura dovrà indicare con precisione poteri e limiti a tali poteri conferiti al rappresentante dal rappresentato.
Gli atti posti in essere dal soggetto munito di procura, debitamente pubblicata nel Registro delle Imprese, che eccedano i limiti posti al suo operato saranno opponibili ai terzi, cioè non produrranno effetti in capo alla società rappresentata. (Periti e Del Sasso, 2013).
Affronteremo la questione degli incarichi funzionali nel secondo post che seguirà, nel quale metteremo a tema il conferimento di responsabilità gestionali operative mediante la costruzione dell’organigramma e del funzionigramma e attraverso il Ionferimento di deleghe, procure e in carichi funzionali negli ambiti della salute e sicurezza sul lavoro (D. Lgs. 81/2008) e della responsabilità amministrativa (D. Lgs. 231/2001) che costituiscono un importante presidio (risposte organizzative) per la prevenzione dei rischi e dei reati previsti dai sistemi organizzativi per la sicurezza e per la responsabilità (Consiglio e Clerici, 2013).
Nelle cooperative sociali parlare di deleghe o di procure può suscitare ritrosie. Gli interlocutori si muovono sulle sedie, si allontanano dal tavolo, cambiano espressione e si fanno più attenti/e. Comportamenti più volte osservati, rispetto ai quali ci interroghiamo. Diverse le preoccupazioni che vengono segnalate:
In relazione alla prima considerazione la distribuzione delle responsabilità non va intesa come una scomposizione dell’azione amministrative e di gestione in feudi fra loro sconnessi se non belligeranti, ma come l’articolazione dei campi di azioni nell’ambito di un disegno – e di una cura – unitari, che rimane affidato all’organo di governo e alle figure di vertice.
In relazione alla seconda considerazione l’assegnazione di responsabilità relativamente a specifici campi di azione è solo in parte una devoluzione: deleghe e procure non spogliano chi attribuisce i poteri di specifiche responsabilità di indirizzo (i contenuti degli incarichi) e di controllo. Dall’attribuzione di deleghe, procure e incarichi funzionali l’esercizio del governo e della gestione dovrebbero venire rinforzati e resi più fluidi, immediati e rispondenti.
In relazione alla terza considerazione si può osservare come il conferimento di deleghe formali o funzionali contribuiscono a definire il perimetro di azione di specifici ruoli o funzioni organizzative.
La materia resta delicata e torneremo ad approfondirla, anche attraverso un ciclo di interviste e un successivo esame per comprendere più a fondo rappresentazioni e ragioni non sempre esplicitate con chiarezza, che contengono pensieri che meritano di essere considerati con attenzione.
Dove Michele non riesce con metodo, Romano può arrivare con il fiuto. Fanno una bella coppia, crescono assieme. Mi fido fino in fondo di loro. Aver fiducia nei propri collaboratori è fondamentale nel mio lavoro. O forse nel lavoro di tutti.
«Ho una novità.», dico aprendo la riunione. «Stamattina è venuto da me il notaio Buonasorte, che come sapete è il più importante della città. Ha denunciato la scomparsa della moglie. Non sto nemmeno a motivarvelo, ma sento che ci si sia sotto qualcosa, perciò mi metterò a cercare la signora. Voi nel frattempo proseguite il lavoro sul traffico di droga. Michele coordinerà le indagini. Lavorate affiancati come sempre e chiamatemi in causa solo per cose davvero importanti. Se la questioni del notaio fosse una stupidaggine, comunque non tornerei a rompervi le scatole nell’indagine che state conducendo. Se invece diventasse significativa, chiederò a Romano di darmi una mano. In questo momento non ho la più pallida idea di quel che troverò. Tutto chiaro?»
p. 25
Gianni Zanolin, Polvere e cenere, Edizioni L’Omino Rosso, 2015.
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