Il legislatore italiano ha emanato l’8 giugno 2001 il decreto legislativo 231/2001 intitolato “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, entrato in vigore il 4 luglio 2001.
Anche grazie alla pressione dell’Unione Europea, il decreto legislativo 231/2001 nasce per contrastare la corruzione e la criminalità d’impresa, per prevenire la commissione di reati, per responsabilizzare le imprese ad agire con correttezza nel mercato e nelle relazioni con diversi interlocutori.
Il carattere innovativo del D. Lgs. 231/2001, consiste nel superamento del principio secondo il quale “societas delinquere non potest” (le organizzazioni non possono commettere reati), principio peraltro chiaramente sancito dell’articolo 27 della Costituzione secondo cui “la responsabilità penale è personale” – delineando a carico degli enti (persone giuridiche e associazioni) una responsabilità che il legislatore denomina “amministrativa”, ma che nella sostanza ha portata penale.
L’accertamento della responsabilità dell’ente, infatti, presuppone la commissione, o il tentativo di commissione, da parte di una persona fisica di uno dei reati specificamente previsti dal D. Lgs. 231/2001; i cosiddetti “reati presupposto”.
L’autore del reato dovrà essere un soggetto legato all’ente da un “rapporto giuridico qualificato”, ovvero una persona che rivesta una funzione di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale; oppure da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’ente stesso oppure soggetti sottoposti alla direzione o alla vigilanza di uno dei suddetti soggetti.
Il reato dovrà essere commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente; pertanto l’ente non risponderà se le gli autori del reato hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
Tuttavia tali criteri di attribuzione di responsabilità non sono di per sé sufficienti, ad addossare una responsabilità all’ente, è infatti necessario che il giudice in sede penale, verifichi la sussistenza di una “colpa” in capo all’ente.
La colpa dell’ente, che potrebbe essere definita come “colpa nell’organizzazione” è costituita da tutte quelle scelte di politica aziendale non avvedute, che hanno lasciato spazio alla commissione dei reati presupposto. In sostanza la colpa dell’ente consiste nella mancanza da parte dello stesso, di una strategia d’impresa avveduta e finalizzata alla prevenzione del rischio di commissione del reato.
La responsabilità in capo all’ente non è solidale a quella dell’agente, si tratta di una responsabilità distinta, che quindi sarà oggetto di accertamento autonomo da parte del giudice penale. La responsabilità dell’ente, infatti, potrebbe sussistere anche nel caso in cui non sia stato identificato l’autore del reato o se il reato è stato commesso da persona non imputabile.
In sostanza l’ente verrà considerato colpevole non per il fatto di aver agevolato la commissione del reato, ma perché non ha saputo impedirne la commissione. La negligenza dell’ente sarà quindi da ricercarsi all’interno dell’ente stesso, nella sua organizzazione, in quanto nonostante fosse potenzialmente capace di dotarsi degli strumenti atti a prevenire i reati non lo ha fatto, implicitamente accettando il rischio che gli stessi si verificassero.
Gli enti forniti di personalità giuridica, le società e associazioni anche prive di personalità giuridica, incluse le società cooperative, sono i soggetti ai quali è destinato D. Lgs. 231/2001, che invece non è applicabile allo Stato, agli Enti pubblici territoriali, agli Enti pubblici non economici e agli Enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (partiti politici e sindacati).
Nel D. Lgs. 231/2001 la responsabilità dell’ente è strettamente connessa alla posizione funzionale dei soggetti che commettono il reato (artt. 5, 6, 7, 8).
In particolare, l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da:
Nell’ipotesi in cui siano i suddetti soggetti a commettere il reato la colpa dell’ente è presunta, ciò significa che sarà l’ente che dovrà fornire la prova, in caso di procedimento penale, dell’esistenza di una causa di esonero da responsabilità a suo favore. Dovrà provare che:
A differenza del reato commesso da persona in ruolo apicale, in questo caso non è l’ente a dover fornire in sede penale la prova di una causa di esonero della propria responsabilità, l’onere di provare che la commissione del reato è dovuta all’inosservanza degli obblighi di direzione o di vigilanza grava interamente sull’accusa (Pubblico Ministero), infatti (art. 7):
Non ogni reato previsto dall’ordinamento italiano comporta la responsabilità degli enti, ma solo quelli previsti espressamente dal D. Lgs. n. 231/2001, denominati reati presupposto.
Originariamente i reati previsti dal Decreto si limitavano a poche fattispecie; successivamente a seguito di diversi interventi legislativi, il campo dei reati è stato esteso notevolmente, e ricomprende:
Va evidenziato che il D.Lgs. 231/2001, non è statico, ma si tratta di una norma in continua estensione: il legislatore infatti può richiamare nel perimetro del D. Lgs. 231/2001 nuove fattispecie di reato.
Le sanzioni previste per l’ente giudicato responsabile per un illecito amministrativo dipendente da reato, si distinguono in :
Delle sanzioni pecuniarie risponde soltanto l’ente con il suo patrimonio o con il fondo comune (art. 27) e vengono applicate per quote (da un minimo di cento quote fino ad un massimo di mille). Nella commisurazione della sanzione pecuniaria, il giudice:
Va evidenziato che l’obiettivo della sanzione non è il risarcimento del danno subito dal soggetto offeso, bensì la punizione dell’ente che con la sua negligenza ha consentito la commissione del reato.
Le sanzioni interdittive. L’interdizione è un istituto giuridico che comporta una limitazione temporanea, in tutto o in parte, dell’esercizio di una facoltà o di un diritto; le sanzioni interdittive previste per l’ente dal D. Lgs. 231/2001 sono:
Le sanzioni interdittive si applicano solo in relazione ai reati per le quali sono espressamente previste, non si applicano quindi a tutti i tipi di reato disciplinati dal D. Lgs. 231/2001. Quando è prevista l’applicazione della sanzione interdittiva, la stessa viene applicata solo ricorre almeno una delle seguenti condizioni (art. 13):
Il giudice, in caso di applicazione della sanzione interdittiva, può disporre a cura della cancelleria ma a spese dell’ente la pubblicazione della sentenza di condanna. La sentenza è pubblicata una sola volta, per estratto o per intero,
Le sanzioni interdittive non sono applicate se la sanzione pecuniaria è in forma ridotta.
Se la sanzione interdittiva comporta l’interruzione dell’attività, il legislatore ha previsto che l’ente possa proseguire l’attività con un Commissario, per il periodo della durata della pena, qualora ricorrano due condizioni particolari (art. 15):
La confisca del prezzo o del profitto del reato, viene sempre disposta nel caso di sentenza di condanna, salvo per la parte che può essere restituita al danneggiato (art. 19, comma 1). Se non è possibile confiscare il prezzo o il prodotto, la confisca può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato (art. 19, comma 2).
Il D. Lgs. 231/2001 elenca le esigenze fondamentali alle quali deve rispondere il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo, per la gestione della responsabilità degli enti:
(art. 6)
(art.7)
Il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo è sostanzialmente un documento, formato da un insieme di regole e di procedure organizzative dell’ente che costituiscono un regolamento interno adottato dall’ente in modo formale.
Nella formulazione della norma non viene specificata l’obbligatorietà dell’adozione di un modello organizzativo, ma dalla lettura sistematica del 231/01 si intuisce chiaramente come la predisposizione di un modello sia di fatto “obbligatoria” incidendo, la sua adozione, sulla responsabilità dell’ente: esimendolo da ogni responsabilità o riducendo la gravità delle eventuali sanzioni (pecuniarie, interdittive) applicabili.
L’Organismo di Vigilanza, è una componente essenziale del Modello Organizzativo. È l’organo deputato al controllo ed al monitoraggio circa la corretta applicazione del Modello Organizzativo stesso. Può essere composto da uno o più soggetti, in ogni caso si tratta di un organo interno all’ente. Il D. Lgs 231/01 non fornisce indicazioni a riguardo il numero dei componenti, sarà l’ente stesso che, in relazione alle sue dimensioni e alla sua complessità organizzativa, sceglierà la composizione monocratica o plurisoggettiva. I componenti l’OdV, che possono essere membri interni o esterni all’ente, dovranno avere caratteristiche particolari di autonomia, indipendenza e dovranno essere in possesso di requisiti di professionalità e competenza relativi alla specifica attività svolta dall’ente.
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