Non ho mai pensato più di tanto a cosa significa ‘fare i compiti a casa’.
Adesso la questione mi ha frontalmente investito, come mi spiazza il passaggio dalle elementari alle medie.
Già le medie.
Le cose cambiano.
Cambiano i ragazzi (cambiano i figli!).
Giacomo torna a casa da scuola (la scuola mi sembra così seria ed esigente…) e ha i compiti da fare.
Quando sfoglio i libri di testo li trovo interessanti, ricchi di spunti e di proposte.
Ma per Giacomo i compiti sono un’incombenza da spostare nel tempo (ci si dovrebbe forse preoccupare del contrario…).
Quello a cui non avevo mai fatto caso è che fare i compiti, quando finalmente non si può più rimandare, significa gettarsi sugli esercizi assegnati.
E perdersi, ritrovare e non ritrovare il bandolo, capire schegge, fare più o meno quello che l’esercizio esige.
Salvo ritrovarsi la sera e dover riprendere in mano tutto.
Da capo.
C’è qualcosa che non torna.
Giovanna sostiene sia effetto dell’approccio delle elementari.
I compiti erano fare l’esercizio che serviva a fissare qualcosa che era stato ben chiarito a scuola.
Adesso il gioco comincia a farsi duro (anche per i genitori).
E un po’ di tecnica potrebbe non guastare.
Fare i compiti significa (provo a spiegarmela così):
– tenere a portata di mano un foglio per la brutta;
– rileggere le spiegazioni del libro;
– provare a fare qualche schemino riassuntivo;
– provare a fare gli esercizi guidati;
– solo allora buttarsi sugli esercizi (che a quel punto filano via);
– e (volendo esagerare) ridare un’occhio alle spiegazioni del libro.
Lo so, messa così la cosa sembra sofisticata e pretenziosa.
Ma – timer del forno alla mano – ci si mette la metà del tempo.
Unico inconveniente è che bisogna essere in due.
Genitore e figlio.
Si presentano alcune domande:
– la truccologia per affrontare lo studio (i metodi e le tecniche) non dovrebbero essere di pertinenza della scuola?
– i prof ci provano a dare le indicazioni… allora è proprio dura la preadolescenza?
– è giusto, saggio e opportuno aiutare i figli?
– e chi – per sovraccarico, fatica o indisponibilità – non ce la fa?
Parole di speranza welcome;-)
Attingendo alla mia esperienza, ecco qualche suggerimento:
– Fare i compiti con una persona di pari età, un amico/a. Il confronto aiuta a progredire, a non prendere il ritmo, a chiedere chiarimenti e a spiegare a propria volta. Mi viene in mente Vygotskij, un teorico dello sviluppo cognitivo: in sintesi, sosteneva l’esistenza di una zona mentale (Zona di Sviluppo Prossimale) entro la quale uno studente riesce a svolgere, con il sostegno di un adulto o in collaborazione con un pari più capace, prove che non sarebbe in grado di svolgere da solo. Attraverso il linguaggio e l’azione sociale, lo studente si appropria di nuovi strumenti cognitivi che gli permetteranno di risolvere in maniera autonoma problemi analoghi a quelli affrontati con gli altri. In mancanza di coetanei o di fratelli/sorelle più grandi, a mio avviso, è lecito anche l’aiuto di un adulto.
– Capire le richieste esplicite e implicite dell’insegnante. Da un lato è fondamentale applicare il metodo di studio più efficace a ogni compito per ottimizzare le risorse, dall’altro è necessario non perdere di vista la richiesta. Studiare tutto, incluse le note a pie pagina, è dispendioso ma a volte si rivela necessario.
– Se poi il carico di studio non ci permette di leggere, studiare fino all’ultima pagina il materiale assegnatoci, vale la pena rischiare, prendendo coraggio e affrontando le sfide. Anche quando sappiamo di non avere tutto sotto controllo.
Grazie Anna,
oggi ho comprato un libro per genitori alle prese con i compiti a casa di matematica.
Tornerò sull’argomento compiti!
;-)
Personalmente una delle grandi scoperte che ho fatto durante la scuola è stata quella di riuscire a “cavarmela” da sola, di saper gestire i miei tempi e i miei impegni, con un pò di fatica all’inizio, tanti errori, parecchie cancellature e qualche intuizione e indicazione utile al metodo di studio, tutto è poi filato liscio, con una buona dose di autonomia e autostima in più.