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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Decaloghi: Roald Dahl è un grande (ma non sono del tutto d’accordo con lui)

Roald Dahl è un grande. Quando lo leggo non riesco a staccare. Domenica ho comprato “Un gioco da ragazzi e altre storie” cercando di convincere mia moglie che era un libro adatto per i nostri figli Giacomo e Giosuè, di dodici e sette anni. La verità è che avevo voglia di leggerlo e di capire come riesce a scrivere in modo avvincente (avvincente nel senso letterale, non lontano da avvinghiante).
“Un gioco da ragazzi e altre storie” è un libro di racconti un po’ surreali e un po’ autobiografici. Nel racconto “Un colpo di fortuna” c’è un sotto titolo (l’unico del racconto, quindi un secondo titolo?): Come sono diventato scrittore.

(Quasi) un decalogo

  1. Dovete avere una fervida immaginazione.
  2. Dovete saper scrivere bene. Con questo intendo dire che dovreste essere in grado di far vivere nella mente del lettore lo scenario che descrivete. Non tutti hanno questa dote. È un dono di natura, che si possiede o non si possiede.
  3. Dovete avere la capacità di resistenza. In altre parole, dovete, dovete applicarvi a quello che state facendo senza mai gettare la spugna, per ore, giorni, settimane, mesi.
  4. Dovete essere perfezionisti. Il che significa che non dovete mai essere soddisfatti di quel che avete scritto la prima volta ma riscriverlo in continuazione, fino a dare il meglio di voi stessi.
  5. Dovete avere una forte autodisciplina. Lo scrittore lavora in solitudine. Non siete alle dipendenze di nessuno, non c’è nessuno pronto a licenziarvi se non vi presentate al lavoro, o a farvi una ramanzina se andate a rilento.
  6. Sarà un vantaggio se siete dotati di senso dell’umorismo. Non è essenziale quando si scrive per il pubblico adulto, ma è indispensabile se il libro è rivolto ai bambini.
  7. Dovete avere una buona dose di umiltà. Chi è convinto di scrivere cose meravigliose, va incontro a cocenti delusioni.

p. 161-162,
in Roald Dahl, Un gioco da ragazzi e altre storie, Salani 2001 (1977).

Queste le indicazioni di Dahl per vivere di scrittura. Me lo vedo con l’indice puntato, che si gratta la testa, che fa la faccia scura, e poi finisce con una risata.

Non sono d’accordo con il punto 2 e con il punto 5

Punto 2

Dahl è in contraddizione con se stesso: lo potete verificare direttamente leggendo il racconto (tempo richiesto 30 minuti circa).
La scrittura non è un dono di natura (qualunque cosa sia la natura). E il percorso scolastico di Dahl lo testimonia: nessuna particolare propensione veniva segnalata negli anni delle medie (se non si vuole leggere il racconto, a prova di quanto affermo è sufficiente la quarta di copertina del libro). Semmai quello che veniamo a sapere è che sono essenziali incontri fortunati. Per quel che lo riguarda con una fantastica maestra (una strega incantatrice? la signora O’Connor) e uno scrittore di fama Cecil Scott Forester (un mago timido?).
Una seconda – e più convincente prova – sono le prescrizioni del decalogo stesso. Che senso avrebbe fornire indicazioni se non ci fosse possibilità di cambiare, migliorare, trasformare. Se il futuro è già scritto, tanto vale sedersi e aspettare.

Punto 5

Anche sul lavorare in solitudine, mi permetto di eccepire. Chi scrive ha bisogno di momenti di solitudine e di poter lavorare da solo. Ma spesso (sempre più spesso) si scrive con altri, per altri, insieme ad altri. E per parte mia lo trovo appassionante e divertente. Certo [mi scuso per l’inserto psicosociologico] vale quello che Renzo Carli sintetizza così: «L’identità sociale comporta differenti processi di identificazione; ma perviene alla sicurezza sociale se accede, prioritariamente, alla solitudine capace di autostima e autonomia» (Carli, 2008, p. 110[1]). Ma qui voglio sottolineare che la capacità di solitudine è precondizione per essere sociali e la scrittura è solo in alcune sue parti un’attività solitaria, mentre mi pare essere un’attività sociale e che crea socialità. A volte le buone idee nascono dalle conversazioni volanti, dalle skype session interrotte e riprese, dal lavoro in gruppo (nonostante i detrattori).

Aggiungerei quattro punti

Dalla lettura del racconto si possono evincere altre quattro indicazioni, scontate forse, ma che Dahl richiama senza aggiungerle all’elenco (peccato ne sarebbe uscito un endecalogo magico):

  1. Scrivere richiede tempo. Decisamente molto tempo. Trovate il tempo, tutto il tempo che vi serve, e altro ancora. Fate – se potete – una poderosa provvista di tempo.
  2. Non è facile guadagnarsi da vivere scrivendo, per questo chi scrive lo fa quando può, nei ritagli di tempo, quando il lavoro, e il resto degli impegni, glielo consentono (anzi no, quando riesce a sottrarre tempo al lavoro e a tutte le altre cose importanti).
  3. Per scrivere è necessario venire affabulati e iniziati alla lettura (e non tutti i libri si equivalgono): Dahl ci propone un elenco (p. 170-171) e ci racconta di come passava i sabati mattina nel collegio dove era rinchiuso(!) a studiare…
  4. Della quarta indicazione, che chiude il racconto… ne parlerò in un prossimo post, che è a buon punto.

PS

Mi chiedo se c’è qualcosa da capire anche per chi non fa lo scrittore di professione, ma nel suo lavoro scrivere è un’attività decisamente importante…


[1] Carli R., “Continuità generazionale d’impresa e costruzione dell’identità. Due casi clinici”, in Trentini G. e Togni M. (a cura di), Continuità generazionale d’impresa. Dimensioni psicologiche e relazionali, Franco Angeli, 2008, pp. 107-125.

5 comments on “Decaloghi: Roald Dahl è un grande (ma non sono del tutto d’accordo con lui)

  1. annaomodei
    2 May 2012

    Aggiungo in corsa alcune personali considerazioni…

    A proposito del punto 2, sono sollevata che qualcuno sia in disaccordo (c’è speranza per tutti:-); credo che influisca molto la percezione di riuscire a cimentarsi in modo efficace con la scrittura e questo significa che qualcuno deve averti dato fiducia o indicato la strada da seguire.

    A proposito del punto 5, invece, penso che una dose di autodisciplina sia (a volte) necessaria soprattutto se scrivere è un attività extra lavorativa e non ti viene facile come il sugo di una pasta.

    Bel post!
    Un saluto
    Anna

    • mainograz
      2 May 2012

      Sì Anna, hai ragione, la fiducia è un ingrediente essenziale (è l’ingrediente segreto;-)
      Non ci avevo pensato.
      Mi sa che faccio una aggiunta al post.

      By the way segnalo che la fiducia non è energia monovettoriale, la si dà e la si riceve, è piuttosto una costruzione (un capitale soggetto alle fluttuazioni del mercato).

      In effetti nel racconto Dahl è ammaliato dalla signora O’Connor e lanciato dallo scrittore famoso incontrato per caso: due persone che (nelle avversità) gli danno fiducia (e di cui Dahl si fida).

  2. laurapapetti
    1 May 2012

    Ho una serie di post depositati sul desktop in attesa di essere chiusi. Il mio cronoprogramma prevede questo nei prossimi ritagli di tempo tra lavoro e famiglia. Però prometto (ma non so dirti per quando) di trasformare il mio commento in un post!

  3. mainograz
    1 May 2012

    Una spolverata di parmigiano, sale, pepe, un filo d’olio extra ed ecco che il post è pronto.
    Una foto recuperata dall’archivio, al più uno scarabocchio, scatto con il cellulare, attivi bluetooth scarichi, alleggerisci e… il gioco è fatto.
    Quindi, in sintesi, con un poco di lavoro ancora il tuo commento (secondo me) diventa un post.
    Cosa ne dici?

  4. laurapapetti
    1 May 2012

    E’ il primo maggio e il post di Graziano si ricollega alla mia attività pomeridiana.
    Sto infatti riguardando alcuni materiali sulla scrittura del rapporto di ricerca in vista della lezione di domani (quarto incontro del Laboratorio di Metodologie Qualitative – Facoltà di Psicologia della Bicocca di Milano).

    Questa la citazione che voglio condividere.

    “Senza ombra di dubbio siamo tutti degli scrittori. Lettere o e-mail agli amici, appunti per i nostri colleghi di lavoro, o persino le liste della spesa sono forme di scrittura. L’atto di scrivere, a quanto pare, è qualcosa che tutte le persone alfabetizzate fanno giornalmente. Tuttavia quando si deve scrivere un rapporto di ricerca tendiamo a viverlo con paura e sconforto” (A. Marvasti, Qualitative Research in Sociology, Sage, London, 2004, pagina 119).

    Trovo queste parole sempre molto stimolanti, anche se nel mio caso la fatica non è tanto legata alla scrittura dei Rapporti di Ricerca, bensì ai post e agli articoli. In questo caso la revisione e la rilettura di quanto scrivo è quasi ossessiva. Scrivo e riscrivo, leggo e rileggo, vedo e rivedo.

    Silverman nel suo testo “Manuale di ricerca sociale e qualitativa” adatta i suggerimenti forniti da Marvasti creando una tabella interessante dal titolo “Superare il blocco dello scrittore” (David Silverman, pagina 333).
    Eccone un estratto:
    – scrivere è un’arte che richiede pratica ininterrotta e maestria;
    – non smettere mai di scrivere;
    – quando scrivete cercate di immaginare il vostro pubblico;
    – cogliete il momento, l’attimo.

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This entry was posted on 1 May 2012 by in Decaloghi, La fatica di scrivere.

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