Crisi
Nella crisi le persone (e le organizzazioni) sperimentano sentimenti di incertezza molto ampi. Più della normale incertezza che fa parte della quotidianità routinaria. A volte l’incertezza può essere percepita come insicurezza che investe a capacità di agire, di fare delle scelte o essere avvertita come minaccia. Nella crisi i riferimenti consueti non sono saldi, sembrano piuttosto sgretolarsi.
La crisi può essere percepita come condizione soggettiva, individuale, personale (tre diverse condizioni che possono investire il singolo) e come condizione oggettiva, propria del contesto, delle relazioni, dei sistemi quando perdono l’interconnessione. Non è solo un malessere personale o del gruppo, ma è una condizione che appare come uno stato, una caratteristica del mondo.
Una crisi che mina radicalmente la sicurezza è la sensazione di non poter far conto sugli altri.
Quando si è in crisi si fatica a pensare. La sensazione è quella di essere travolti. Se fosse possibile poter pensare la crisi, già il senso di oppressione sarebbe minore, e qualche possibilità, un leggero sollievo, si affaccerebbe. La crisi è la fatica di pensare. Il disorientamento di fronte a ciò che accade, difficile da ricondurre a quadri esplicativi e interpretativi, la sensazione che manchino i mezzi concettuali e le energie emotive per far fronte a cambiamenti che sembrano destabilizzare. Come pensare l’impossibilità di pensare?
Reazioni…
Alla crisi si può reagire in molti modi. Tacendola, negandola, affrontandola… Un effetto da considerare è come la reazione di esplorazione a tutto campo alla ricerca di possibili soluzioni può amplificare e alimentare le percezioni di essere in uno stato di crisi. Si tende a prendere in esame quello che succede, ad attivarsi, a fare ipotesi, a cercare di capire: si mette in campo una forte attivazione. La confusione sale, le variabili messe in movimento si moltiplicano, la confusione si fa ancora più confusa. E la sensazione, la percezione di crisi diventa ancora più tangibile. Attivarsi, divincolarsi, lottare, strenuamente mobilitarsi può non essere l’azione più saggia.
Uscire dalla crisi?
Conviene non enfatizzare (o non parlare della) crisi per contenerne gli effetti? Vale la pena comportarsi come se non esistesse? O è opportuno annunciarne trionfalmente la fine (e quindi implicarla), dandola per superata?
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