La più parte degli economisti sostiene che per uscire dalla crisi è necessario far ripartire i consumi.
Lo spiega bene anche Roubini su ilsole24Ore del 05 giugno 2010. In queste affermazioni generali (non necessariamente generiche) rimane in ombra quali consumi andrebbero incentivati, promossi, sostenuti. In effetti diversi possono essere gli stili di consumo.
Ci sono consumi rapidi o lenti, costosi o economici, che consumi che consumano risorse, fatica, ambiente. Si tratta di consumi che non evidenziano costi che lasciamo ad altri, che non internalizzano l’inquinamento che viene causato per produrre il bene o il servizio, che non mostrano lo sfruttamento di lavoratori, che non considerano le ricadute in termini di costo che si determinano col necessario smaltimento dei residui di uso.
È come se andassimo a mangiare in una mensa dove nel costo del pranzo non è inclusa la pulizia del locale e lo smaltimento degli avanzi. I primi che si siedono trovano un posto pulito, quelli che seguono trovano dapprima un locale con una certa quantità di scarti, di piatti sporchi, di residui di cibo, provano a ‘slalomare’, e poi a far posto liberando qualche porzione di spazio. Ma già al terzo turno si avrebbe l’impressione di mangiare in una discarica.
Ci sono consumi invece che muovono economia, ma forse con maggiore attenzione a collegare il mercato con l’ambiente. Ho sentito un pezzetto di Fahreneiht la trasmissione di Radio3 di mercoledì 16 giugno 2010. Intervistavano Guido Viale sul suo ultimo libro La Civiltà del riuso, pubblicato da Laterza. Facevano un sacco di esempi su un’economia che promuove il riuso e i consumi sono di un tipo particolare, si attenua l’usa e getta, viene incentivato un mercato che rilancia a nuova vita tanti prodotti. Cose che si deteriorano possono essere aggiustate (certo ci sarà una qualche curva che descrive l’andamento e individua il punto in cui non è più conveniente riusare ed meglio smaltire, e saranno curve diverse a seconda dei prodotti).
E a un certo punto è stato fatto l’esempio degli strumenti musicali. Ci sono strumenti (e oggetti) che acquistano valore con il passare del tempo. Nel pezzo di trasmissione che sono riuscito a sentire non si è fatto cenno ai libri. I libri non sono un bene usa-e-getta. Possono essere letti più volte. I libri possono essere più volte regalati. E le biblioteche fanno dell’uso prolungato (un riuso assolutamente normale, quasi non visto, e non sempre valorizzato) uno degli aspetti centrali della loro attività. In questo senso le biblioteche prestando e riprestando i libri, ma anche fornendo un luogo di incontro collettivo hanno una funzione sociale, culturale ed ecologica ad un tempo. E in ogni caso non mi sembra deprimano l’acquisto di libri perché promuovendo la lettura (il consumo?) sollecitano il desiderio: in genere chi frequenta le biblioteche poi compra libri, li regala (nuovi e usati), li rimette in circolo (e qualcuno pure prova a scriverli).
Insomma che consumi andrebbero rilanciati per uscire da una crisi delicata senza gettare le basi di una nuova, ravvicinata e più intensa crisi?
Rileggere libri, riaggiustare cose rotte, reimmettere sul mercato prodotti che ci sembrano a fine ciclo… Progettare strumenti a tecnologia avanzata suscettibili di poter essere più volte potenziati?
Ammettere il riuso come una possibilità?
e pure le idee e le parole funzionano così! circolano e vengono ripetute ed usate! ed i bambini quando imparano a parlare raccolgono le nostre parole di adulti, le aggiustano alle loro possibilità espressive, le sperimentano e vedono come funzionano, le usano e riusano, le mettono in contesti sbagliati. poi diventano loro parole. Raccolte dal contesto, i bambini danno loro una nuova vita. E così ogni volta. Ma chi ci avrà insegnato, piantandocelo a fondo nel cuore, che solo le cose nuove hanno valore? che l’usato è consumato?
v
C’hai ragione Vittorio.
E anche noi ‘adulti’, quante parole riusiamo.
Che prendiamo dai giornali, afferriamo nelle conversazioni, appuntiamo ai convegni, rubiamo nei libri e nelle poesie…
Ci ripetiamo, citando noi stessi, inconsapevoli dei riusi.
Che forse varrebbe la pena abbondonare.
Una volta.
Riuso non solo come possibilità ma come NECESSITA’?
Sarebbe interessante scrivere le cose che possono essere riusate
e che ci danno vita, qualità di vita, gioia di vivere.
Sono molto d’accordo sui libri e sulla possibilità di nuove biblioteche,
cineteche …
Ci penso ancora…
Ciao.
Martina
Questo post mi ha fatto venire in mente un libro di Andrea Perin, La fame aguzza l’ingegno (2005) che offre interessanti elementi di riflessione sulla crisi a partire dalla cucina. In tempi di guerra, come raccontava mia nonna, non si buttava via niente, il riuso era normale e ci si ingegna, come nel preparare le ricette.
Matteo