Oggi è l’8 marzo e – come scrive wikipedia – è la “giornata internazionale della donna”, celebrazione che ricorre ogni anno per “ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne“.
Quello che mi chiedo è che senso ha per me, come donna, festeggiare l’8 marzo senza parlare delle scelte forzate che ancora oggi le donne sono costrette a fare.
Il richiamo è ad un articolo che ho letto questa settimana sul quotidiano locale L’Eco di Bergamo “Nuove mamme. Una su dieci lascia il lavoro. Scelta forzata nel primo anno di vita del bimbo. Le ragioni: pochi servizi per l’infanzia e troppo cari” (martedì 6 marzo 2012).
I dati citati nell’articolo devono far riflettere: nel 2010 in Lombardia su 66.000 lavoratrici in maternità, 4.586 si sono dimesse durante il primo anno di vita del bambino; il dato non si discosta molto dall’anno precedente, il 2009, dove su 65.200 donne in maternità 4.571 si sono dimesse. Questi e altri dati sono stati resi noti durante il convegno I crocevia del “tempo aperto”. Famiglia, lavoro, cupidigia organizzato dalla Cisl Lombardia (5 marzo 2012).
Qualcuno potrà considerare questo dato contenuto o comunque fisiologico, pertanto non degno d’attenzione. Dal mio punto di vista invece sono troppe le donne (7 su 100) che si licenziano non per scelta ma perché costrette.
Eccone alcuni:
> Quindi quali opportunità, quali alternative, quali possibilità di scelta hanno oggi le madri per continuare ad essere lavoratrici?
> Quali politiche si possono promuovere per incentivare la presenza delle donne nel mercato del lavoro e per garantirne la permanenza anche dopo la maternità?
Anche i dati OCSE – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – confermano che l’Italia non è un paese family friendly (OECD, Doing Better for Families, 2011). Detto questo cosa vogliamo fare? Semplicemente prenderne atto o tentare, invece, di mettere in campo azioni concrete che provano a rendere questo paese più vicino alle famiglie?
Concludo questo post citando Mario Draghi che in occasione del sue Considerazioni finali come Governatore della Banca d’Italia (31 maggio 2011) parla di un incredibile spreco di talenti. Queste le sue parole:
“La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un fattore cruciale di debolezza del sistema (…). Oggi il 60% dei laureati è formato da giovani donne: conseguono il titolo in minor tempo dei loro colleghi maschi, con risultati in media migliori, sempre meno nelle tradizionali discipline umanistiche. Eppure in Italia l’occupazione femminile (…) è più bassa che in quasi tutti i paesi europei soprattutto nelle posizioni più elevate e per le donne con figli; le retribuzioni sono, a parità di istruzione ed esperienza, inferiori del 10% a quelle maschili. Il tempo di cura della casa e della famiglia a carico delle donne resta in Italia molto maggiore che negli altri paesi: aiuterebbero maggiori servizi e una organizzazione del lavoro volti a consentire una migliore conciliazione tra vita e lavoro, una riduzione dei disincentivi impliciti nel regime fiscale”.
Tutto questo per sottolineare che la presenza delle donne nel mercato del lavoro non è una questione di pari opportunità ma di opportunità di crescita economica per il nostro paese.
Questo post è anche l’esito delle riflessioni nate dalla lettura del libro di Maurizio Ferrera, Il Fattore D. Perché il lavoro della donne farà crescere l’Italia, Mondadori, 2008.
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Laura Papetti è socia di Pares, scrive su Conciliazione Plurale, è appassionata di tematiche di genere e fa tante altre cose.
L’ha ribloggato su Conciliazione pluralee ha commentato:
In occasione della giornata internazionale della donna riproponiamo la riflessione di Laura Papetti, che a distanza di un anno è ancora drammaticamente attuale. Oltre agli auguri resta molto altro da fare…
Segnalo questa iniziativa della cooperativa sociale Itaca di Pordenone: http://www.itaca.coopsoc.it/dettaglio-news.aspx?id=41
In tema di conciliazione hanno proposto alle socie della cooperativa che rientrano dalla maternità di lavorare sulla loro capacità di far fronte a questa transizione delicata, complessa e faticosa.
Mi sembra un segnale da considerare (e da interpretare) il fatto che una organizzazioni lavori per aiutare a sviluppare competenze (e resistenze /resilienze)…
Aggiungo a quanto già detto da Laura che anche da recenti ricerche dell’MIT è confermato che la partecipazione di donne ai gruppi di lavoro è un fattore che favorisce lo sviluppo di intelligenza collettiva, di cui mi pare ci sia tanto bisogno.
vedi video http://vimeo.com/37389182
Eppure le donne continuano un costante e costretto ritiro dalla scena lavorativa, partendo da una situazione che non si è mai avvicinata a quella ideale!!
Rossella
Ringrazio Rossella per il rilancio…molto interessante. Laura
È assolutamente uno spreco di talenti quello che deriva dalla cosidetta discriminazione sottile (ma che non va per il sottile) operata sulle donne, a volte dalle donne stesse che sono riuscite ad accedere al potere e che, invece che “demolire il sistema dall’interno”, adottano una sorta di antisciovinismo, vestendosi di abiti e habitus tipicamente (e beceramente) maschili.
Io vorrei che la festa di oggi, che sembra essere sempre più oggetto di critica di anno in anno, fosse una festa nella quale tutti si potessero identificare, uomini e donne, non nell’ottica di usurpare un presidio culturale (la rivendicazione di diritti femminili), ma per comprendere che è dalla rivendicazione di un gruppo che è ancora per molte cose un gruppo dominato (sic) che può partire una riflessione su tutto il sistema.
Innanzitutto, rimanendo nel perimetro della questione di genere, domandarsi perché si parli di part-time per le donne, che sembrano essere in automatico le uniche depositarie dei compiti di cura della casa. E I PADRI??? Che la loro presenza non sia solo richiesta in termini accusatori dalle madri, ma che siano essi stessi a rivendicare il diritto e il piacere di occuparsi della casa e della famiglia.
Inoltre credo che sulla questione “Lavoro” il punto di vita femminile possa diventare uno spunto essenziale per riflettere sul part-time IN GENERALE come possibilità di lavoro con una propria dignità, al posto di essere sentito come una forma mutilata di lavoro. Ampliando infine ulteriormente il raggio della riflessione alla questione del tempo, che sia visto come risorsa da rispettare e centellinare, al posto di essere il foglio bianco su cui ogni superiore possa segnare il tuo prossimo impegno (che spesso, di fatto, coincide con qualcosa che lui/lei non è riuscito a portare a termine).
Insomma, potenzialmente l’8 marzo può essere una festa che ha ancora molto da dire e da dare. Ben oltre le mimose.
Grazie Armando (che piacere sentirti).
Condivido il tuo pensiero, in modo particolare quello che scrivi sui padri e sul part time (molto interessante). Non a caso ho parlato di politiche conciliative e modalità di lavoro flessibili per i neo-genitori, pensando ad entrambi: uomini e donne, padri e madri.